Te ne dovevi andare Te ne dovevi andare

Te ne dovevi andare

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Uno sceneggiatore si ritira insieme alla moglie attrice e alla figlia di quattro anni in una casa isolata tra le montagne per scrivere il seguito del suo film di maggior successo. Il paesaggio è da cartolina: il minuscolo paese in fondo alla valle, la strada stretta e piena di tornanti, i ghiacciai quasi azzurri nell'aria frizzante di dicembre. Ma l'idillio è solo apparente. Mentre la moglie manda sms e la figlia fantastica nel suo mondo di bambina, la casa si trasforma in un puzzle di Escher a cui manca l'ultimo pezzo. Fra strani rumori improvvisi, oggetti che spariscono, vetri di finestre che non riflettono più la sua immagine, al narratore resta solo la scrittura per mantenere il contatto con la realtà. Però nulla è come sembra, e gli elementi classici del racconto dell'orrore si ricompongono in un gioco raffinato tra le percezioni del protagonista e la fantasia del lettore. L'orrore è davvero nella casa o all'interno delle relazioni personali?



Recensione della Redazione QLibri

 
Te ne dovevi andare 2022-02-19 08:58:37 Valerio91
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    19 Febbraio, 2022
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Escher

Un romanzo brevissimo, enigmatico e dalle tinte piuttosto fosche.
La frase “la casa si trasforma in un puzzle di Escher”, scritta nella trama, è bastata a convincermi a dare una possibilità a questo autore tedesco (altro punto a favore), Daniel Kehlmann, che pare sia principalmente famoso per il suo romanzo “La misura del mondo”. Nel corso della narrazione il lettore si rende conto che anche la prosa si trasforma in una sorta di puzzle, un insieme di pezzi che man mano che si procede si deformano e smettono di combaciare, così come accade nella vita del protagonista. C’è da dire che, in questo racconto, l’armonia non compare quasi mai nemmeno nella sua vita privata, che anzi paradossalmente troverà un momento di equilibrio solo quando il mondo intorno sarà deformati irrimediabilmente, non lasciando spazio ad alcuna riconciliazione.
In breve - altrimenti si finirebbe per raccontare l’intero romanzo - uno sceneggiatore decide di fare una vacanza in una casa in montagna per completare la sceneggiatura del seguito del suo film di maggiore successo - a mio avviso una mezza porcata - nella speranza di avere il tempo e la tranquillità per lavorarci seriamente. Peccato che sua moglie e sua figlia non siano granché d’accordo e già prima che la casa cominci a “dare i numeri” lo distolgano continuamente dal suo intento. A essere sincero, in più punti e in più idee si vedono le tracce e le influenze del caro Stephen King: il romanziere che si “isola” per completare il suo lavoro, il “terreno maledetto” che ci ricorda un po’ l’idea alla base del “Pet Sematary”… l’autore tedesco in questo caso sembra dovere molto all’americano.
Sebbene l’idea sia intrigante e la scelta di stile anche piuttosto azzeccata, vuoi per la brevità del racconto o per alcuni cliché, il lavoro di Kehlmann si conclude in fretta e non lascia chissà quale impressione. Purtroppo i racconti brevi devono essere particolarmente incisivi, altrimenti ti lasciano indifferente. Probabilmente Kehlmann, se non l’ha già fatto, in questo senso dovrebbe lasciarsi guidare dall’esempio di un altro autore di lingua tedesca che in quest’arte eccelleva: il mio caro Friedrich Dürrenmatt.
Ma per ora… rimandato.

“È questo posto. Non è la casa. La casa in sé è innocua, semplicemente sorge dove sarebbe stato meglio non sorgesse. Suppongo che esistano molti luoghi come questo, ma probabilmente gli altri sono irraggiungibili, in fondo al mare o all'interno di grotte in cui nessuno ha ancora messo piede. O invece qui ne esiste soltanto uno, e il prossimo è distante anni luce nell'universo infinito. Solo a pensarci c'è da impazzire - un infinito reale, non immaginario, pieno di oggetti, esseri e galassie e ammassi di galassie e ammassi di ammassi di galassie e così via, senza fine in nessuna direzione. E qua e là punti dove la materia diventa rarefatta. Parole. Non rendono l'idea di com'è veramente.”

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