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Sulla pietra

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Un rapimento, svariati delitti e un assassino, forse mancino forse no. Saranno solo leggende e superstizioni ma, da quando è ricomparso il fantasma dello Zoppo, in Normandia le sciagure non si contano più. A sei anni da “Il morso della reclusa”, torna Fred Vargas con uno dei personaggi capolavoro del noir, lo svagato e visionario Jean-Baptiste Adamsberg, commissario del XIII arrondissement di Parigi. Il guardacaccia Gaël Leuven era un marcantonio solido come uno scoglio bretone, ma per ucciderlo sono bastate due coltellate al torace. A Louviec lo conoscevano tutti. Compreso Josselin de Chateaubriand (forse discendente di quel Chateaubriand), il nobilastro dall’abbigliamento eccentrico che adesso è il principale sospettato. Richiamato in Normandia dal commissario locale, Adamsberg si addentra nelle numerose ramificazioni del caso. Ma pur perdendosi come di consueto in false piste e digressioni mentali, in osservazioni prive di qualunque nesso con l’indagine, c’è da scommettere che anche questa volta verrà a capo del groviglio di omicidi ed efferatezze. Grazie alle sue illuminazioni proverbiali ma anche, forse, all’energia ancestrale dei menhir.



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Sulla pietra 2024-07-11 14:55:34 Lonely
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Lonely Opinione inserita da Lonely    11 Luglio, 2024
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Sulla pietra di un Dolmen

Fred Vargas torna , dopo 7 anni, con un giallo della serie del commissario Adamsberg.
Il commissario,un po’ svagato, dotato di un forte intuito, generoso, animalista (nel precedente Il Morso della Reclusa salva un piccione, qui un riccio) e difensore dei poveri, viene incaricato di seguire un caso, lontano dal suo distretto parigino, nelle ombre della Bretagna. Così, lasciando a capo del suo commissariato il fido Danglard, Adamsberg si sposta con tutta la sua squadra a Louviec, dove avvengono inaspettatamente una serie di omicidi, tutti annunciati dal Fantasma dello Zoppo che si aggira per il paese, con la sua camminata claudicante, poco prima che avvengano i delitti.
Questa volta ad Adamsberg toccherà dipanare una matassa intricata, e si affiderà come al solito alla sua perspicacia, e alle sue “bolle”, che come arrivano devono subito essere prese in considerazione altrimenti velocemente spariscono.
“Sono le bolle, le idee vaghe. Stanno risalendo dal fondo melmoso. Si muovono, si incrociano, si scontrano. Non posso permettermi di trascurarle troppo a lungo, altrimenti torneranno a rintanarsi in fondo al lago.”
E in questo caso così difficile anch’esse “erano numerose, scisse, a tratti quasi ostili tra loro o, al contrario, troppo unite per vederci chiaro, gli davano del filo da torcere.”
E Adamsberg, riflettendo disteso al sole “sulla pietra” di un dolmen che sorge nei pressi di Louviec, spende buona parte del suo tempo ad analizzarle e rimetterle in ordine, perchè abbiano un senso logico.
E di filo da torcere non gli manca, tanto che, durante l’indagine, viene messa in pericolo la sua vita e soprattutto quella dell’unica donna della sua squadra, il tenente Retancourt, un colosso di femmina difficile da sopraffare.
Tra i soliti personaggi che i lettori di Vargas conoscono bene, qui se ne aggiungono anche altri molto caratteristici, Mael “il gobbo” , Josselin de Chautebriand, sosia e forse pronipote del nobile visconte e famoso scrittore, e Jonas, il proprietario di una locanda sempre disponibile a cucinare per tutti gli avventori e soprattutto per la squadra di Adamsberg.
Nonostante il thriller e i colpi di scena, il romanzo procede lentamente, e i dettagli sono così tanti, forse troppi, che spesso sfuggono al lettore. L’assassino, nonostante la fitta trama, è facilmente intuibile e il movente, il rancore, verosimile, ma fragile.
Mescolando leggenda e realtà, l’atmosfera misteriosa ci cattura fino alla fine, in una lettura tutto sommato piacevole, anche se, personalmente, trovo che manchi quel tocco di originalità che ha sempre distinto i romanzi di Vargas.

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