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Recensione della Redazione QLibri
American graffiti technology
Quando si dice: la classe non è acqua.
Magari non molti ne sono a conoscenza, ma la scrittrice americana Patricia Cornwell, autrice di fortunati best seller del genere dei medical-thriller, è una figlia d’arte, in un certo senso, o per meglio dire una pronipote d’arte.
Discende infatti direttamente da Harriet Beecher Stowe, l'autrice del famosissimo “La capanna dello zio Tom”, un testo miliare per il riconoscimento dei diritti umani e dell’abolizione della schiavitù ai tempi della guerra di secessione americana.
La Stowe, nel romanzo che le diede la fama ma anche in altri suoi scritti, descriveva le nefandezze e le atrocità perpetrate all’epoca, e chissà, forse ancora oggi, su esseri umani di altro colore, per i motivi più abietti, economici in primo luogo, e mascherati da una ipocrita parvenza di paternalismo e perbenismo.
La Cornwell non le è stata da meno, è anche lei una osservatrice attenta della parte più infida della società americana del suo tempo, ed una critica severa dei guasti brutali e sanguinosi che questa, carente di etica e propinatrice di esempi e figure deleterie per una sana crescita morale dell’individuo, provoca nelle persone più deboli, disagiate e disagevoli: siano queste le vittime innocenti di omicidi e fatti delittuosi, ma anche gli stessi colpevoli.
Per questo, e non a caso, il suo personaggio più noto è il medico legale Kay Scarpetta, che conta milioni di affezionati lettori in tutto il mondo.
Un medico legale addetto principalmente alle autopsie su vittime di omicidi, che seziona i cadaveri per reperire tutti gli elementi utili che chiariscono le cause di morte violenta.
Talora suggeriscono, per chi possiede innati la scienza e la sensibilità necessaria, finanche i motivi reconditi che portano un assassino ad accanirsi sulle sue vittime, fino a decretarne la morte.
La dottoressa Scarpetta indaga quindi indirettamente su vittima e responsabile, quasi fossero le due facce della stessa medaglia: l’omicidio.
La maggiore efferatezza che un essere umano può perpetrare ai danni di un suo simile.
Non si limita quindi a svolgere esclusivamente il suo compito di medico legale in indispensabile supporto all’ingrato lavoro della squadra omicidi della polizia locale.
Oltre ad esaminare le vittime sul tavolo delle autopsie, rilevando cause ed indizi di primaria importanza per l’identificazione dell’autore dei delitti, Kay Scarpetta incide più a fondo con il suo bisturi, partecipa in primo piano direttamente o indirettamente alle indagini giudiziarie, per il tramite dei suoi sodali, l’amico poliziotto Pete Marino, il marito Benton Wesley dell’FBI e la propria nipote Lucy, anche lei in servizio all’FBI come esperta informatica.
Patricia Cornwell, come molti scrittori, ma raramente in maniera tanto evidente come nel suo caso, ha immesso tanto di sé in questo personaggio della dottoressa Scarpetta, ed è questo uno dei motivi del successo dei suoi romanzi, quelli che vedono protagonista il medico legale: la scrittrice americana descrive semplicemente sé stessa, lo fa bene, con stile, accuratezza e precisione, non potrebbe farlo meglio, è come guardarsi allo specchio, senza troppo sforzo.
La Cornwell, infatti, è una donna eccezionale, una gran signora colta, affascinante, intelligente, sensibile e sopra le righe, non perché eccessiva, ma perché ha fatto tesoro del suo intenso vissuto personale, è stata infatti una donna che ha avuto e superato con sacrificio, tenacia e perseveranza problemi medici di natura non indifferente.
Per di più non è nata nel benessere e nella tranquillità finanziaria, ha dovuto affrontare una vita difficile carente di risorse economiche, nel bisogno e nelle rinunce.
Ha allora sfruttato il suo talento naturale per lo sport, è stata infatti una valente tennista che ha lambito il professionismo, assicurandosi in tal modo l’accesso alle borse di studio nell’università americana e conseguendo brillantemente una laurea in inglese.
Si è poi impiegata con fortuna a vario titolo nei servizi tecnici sia nel campo della medicina anatomo patologica che nelle scienze informatiche, da qui la sua padronanza delle materie nei suoi lavori.
Soprattutto, come Kay Scarpetta, Patricia Cornwell è una donna che da sempre mostra empatia per i suoi simili, perché ha vissuto sulla sua pelle quanta possa essere terribile e nociva la meschinità umana, pronta a ferire stupidamente e impietosamente la sensibilità dei propri simili, spesso solo per il gusto di farlo, inducendo i più fragili e deboli a compiere quegli atti delittuosi di cui sia lei che il suo personaggio ne hanno avuto evidenza fisica nelle sale autoptiche.
Basti in ultimo ricordare che Patricia Cornwell, con semplicità e determinazione, ha avuto il coraggio in epoca non sospetta, nella società americana ancora pervasa di bigottismo e cecità di vedute, di rivendicare apertamente le proprie scelte personali di vita, è stata una dei primi personaggi noti e conosciuti dall’opinione pubblica a rivelarsi in un coming out, esponendo senza problemi ma anche senza alcuna vanteria i propri orientamenti sessuali, che la porteranno in seguito anche a contrarre regolare matrimonio con una persona dello stesso sesso.
I libri con Kay Scarpetta, per concludere, specialmente i romanzi cronologicamente editi per prima, sono testi originali, sorprendenti, diversi da altri, sono una bella rivelazione anche per i non appassionati. Certamente, va considerato che sono thriller di genere, ma risultano comunque ben scritti, gradevoli, anche interessanti ed avvincenti, insomma una discreta se non ottima lettura.
Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco.
Successivamente infatti la scrittrice ha ritenuto, giustamente, di dover crescere e staccarsi dalla inevitabile ripetitività dei racconti con il personaggio che le ha regalato popolarità, e si è cimentata in altri generi letterari, creando altri eroi di carta: ma non con uguale successo di critica e di lettori, anzi.
Dopo una serie quindi di libri con poca o nessuna fortuna, la Cornwell pare essersi ripresa con l’ultima sua creatura, Callisto “Calli” Chase, una giovane agente dei servizi di sicurezza della NASA, l’ente spaziale americano, che ha fatto il suo esordio nel romanzo precedente a questo, “Quantum”. Malgrado la giovane età, Calli è una donna affascinante per molti versi, nel fisico, nei modi, nell’intelligenza, sapiente e scientificamente multi-abile: è infatti una pilota, una scienziata, una esperta della più raffinata e avveniristica tecnologia informatica, una specie di agente segreto addestrata pertanto all’uso delle armi, di tattiche e strategie di vigilanza e sicurezza, un agente specialissimo quindi, un cyberninja come lei stessa si definisce:
“Gli agenti speciali, i cyberninja come me, devono avere una laurea. Alcuni hanno anche un dottorato e una formazione in diverse discipline che spaziano da scienze e ingegneria a psicologia e arte…ma sono anche ingegnere aerospaziale, fisica quantistica, pilota collaudatore e astronauta in fieri”.
Un altro particolare che la caratterizza è che Calli ha una sorella gemella, un vero e proprio clone perfettamente identico ed interscambiabile, Carme, come lei agente dei servizi di sicurezza della NASA. Con tale premessa, data la sua preparazione il minimo da aspettarsi è che Calli sia coinvolta in intrighi, azioni, avventure galattiche che hanno a che fare con la salvezza del pianeta, che contemplano pertanto dimestichezza con un’informatica altamente specialistica, l’Intelligenza Artificiale elevata alla massima potenza, il cybercrimine, i voli spaziali e quanto altro di avveniristico si possa ipotizzare: oserei dire che si tratti di autentici romanzi di fantascienza, ambientati ai nostri giorni e portati al parossismo.
Per spiegarmi meglio, tutti conosciamo almeno tramite la pubblicità quei moderni Smart TV che permettono di fare a meno del telecomando, offrendoci la possibilità di cambiare canale o regolare il volume con un cenno, semplicemente facendo sventolare una mano nell’aria: ebbene, tramite particolari sottilissimi e microscopici dispositivi impiantati in lei, per mezzo di mega sofisticati computer, algoritmi inestricabili e tecnologie segretissime, Calli va oltre, sventolando le dita apre porte e mette in moto l’auto a distanza, telefona senza cellulare e senza auricolare, riceve in un batter d’occhio direttamente in testa miriadi di informazioni su qualsiasi cosa richieda, vede o sente.
Va in giro con un’auto, un grandioso SUV del tutto futuristico, che a momenti non soltanto ti conduce da solo, ma è dotato di computer, schermi, touchscreen che in pratica ti collegano con tutto e tutti, è corazzato e armato di lanciafiamme, cannone sparacqua ad alta pressione in grado di bucare i pneumatici avversari, rampa di lancio per droni, pannelli solari, fucili mitragliatori che sparano infallibilmente dal retro senza neanche mirare, in grado di perforare un blindato, la stessa autovettura con un semplice tocco cambia in corsa colore della carrozzeria e targa, la forma dell’auto non ancora, ma insomma ci stanno lavorando: al confronto, la mitica Austin Martin di James Bond è una reliquia preistorica. Come le sue avventure salva mondo.
Insomma, il romanzo è questo: un cyberromanzo. Un testo specialistico, assolutamente di genere.
Può piacere, certo, ma ha anche qualche punto debole, diciamo così.
La trama è complicata, un sequel del romanzo precedente, un prequel del prossimo, un pochino troppo intricata e piena zeppa di sigle, di acronimi, di termini scientifici, di rimandi alla fisica quantistica e all’ingegneria che, per quanto interessanti, alla lunga stancano.
Probabilmente sarà un mio limite se non riesco ad apprezzare in pieno, è vero che chi non ama la matematica e la fisica quantistica è perché non la capisce; purtroppo, però a non capirla sono in parecchi. Inoltre, manca di suspense, di thrilling, di attesa, di paura.
Anche lo stile di scrittura è particolare, ridondante, Patricia Cornwell indubbiamente sa scrivere, scrive bene, ci mancherebbe, ne ha data ampia prova, e però proprio per le caratteristiche della storia e della protagonista stavolta effettua in un certo senso uno “spin”, una rotazione sull’asse della sua scrittura, che appare più elaborata, forse più elegante, ma a mio parere anche più involuta, appesantisce la lettura. Per esempio:
“Avanzo attraverso il parcheggio infido e fangoso con gli alberi spogli che schioccano con un rumore di ossa e i vecchi cespugli sempreverdi che frusciano come rigide sottogonne sferzati dalle raffiche di vento.”
Ecco, mi appare pesante e anacronistica come descrizione, sepolcrale, per di più detta da una moderna cybereroina. Tutto il romanzo, quindi, appare come una celebrazione dell’american way of the life, un excursus onorifico del patriottismo e della capacità tecnico scientifica americana all’avanguardia nella ricerca e nelle scienze, specie quelle aereo spaziali, tale che i posteri possano un giorno apprezzare l’American graffiti technology e rilevarne quanto abbia inciso nel progredire dell’umanità.
Ci sta pure, ma è il modo che non va, è troppo, troppa carne al fuoco.
Non riesci a voltarla per una giusta cottura, ti sfugge, finisce che si brucia, o peggio si carbonizza.
Servirebbe, più che uno spin, un differente step.