Poirot e i quattro
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Più antologia che romanzo
Più volte ho rimarcato il mio scarso apprezzamento nei confronti della spy story, un sottogenere che non mi attira per nulla e mi ha quasi sempre deluso, anche quando c'erano di mezzo autori come la cara Agatha; è stato il caso del dimenticabile "Avversario segreto" e de "L'uomo vestito di marrone", che da mesi cerco inutilmente di dimenticare. Ma se alla solita ricetta -fatta di complotti internazionali e spie trasformiste- aggiungessimo un buon taglio di detective belga? il risultato sarebbe una porzione abbondante di "Poirot e I Quattro" una pietanza decisamente insolita nella bibliografia christieana.
Il primo motivo per cui questo romanzo si può considerare anomalo è da ricercarsi nella sua genesi: nasce infatti da una serie di storie brevi pubblicate settimanalmente sulla rivista The Sketch, poi incorporate in una narrazione più lineare. La storia parte con il ritorno in Inghilterra del capitano Arthur Hastings, che ridiventa il biografo di Poirot ancor prima di appoggiare il piede sul suolo britannico, dopo la sua trasferta in Argentina; il buon Hercule è impegnato ad indagare su un'organizzazione criminale nota come I Quattro, mandanti e a volte esecutori dei delitti che -di capitolo in capitolo- dovrà risolvere. Non si tratta quindi in una sola, grande indagine quanto di far luce su tanti, piccoli crimini nella speranza di arrivare pian piano a smascherare i membri del gruppo.
Pur essendomi divertita parecchio durante la lettura, i punti a favore di questo romanzo sono ben pochi. Tra questi c'è la ritrovata dinamica tra Poirot e Hastings, che rende sicuramente spassose le scene in cui si stuzzicano a vicenda; risultano carini anche i riferimenti ai romanzi precedenti, che mi hanno fatto inoltre apprezzare di aver ricominciato la serie su Poirot in ordine cronologico! Se siete poi in cerca di un romanzo che sia fruibile come raccolta di racconti è senza dubbio un'opzione da valutare: si può tranquillamente lasciar passare del tempo tra una missione contro I Quattro e l'altra, e questo perché non è necessario tenere a mente degli indizi in vista di un grande colpo di scena finale.
E proprio il finale è uno degli aspetti che ho trovato meno riusciti in questa narrazione, forse perché mi aspettavo una risoluzione meglio strutturata dopo pagine e pagine in cui non si fa altro se non sbandierare l'enorme acume dei Quattro. Quest'ultimi non sembrano di conseguenza degli avversari tanto temibili, al punto che Poirot ritiene di potersi anche dare all'ippica (o meglio, alla coltivazione di zucche) dopo averli sconfitti. L'unico a creare veramente dei problemi ai protagonisti è il Numero Quattro, un personaggio al quale viene assegnata però una storia personale che rende quantomeno inverosimile la sua appartenenza ad un'organizzazione del genere.
La mia principale difficoltà con questo romanzo è che mi è sembrato poco misterioso, per essere un mystery. Ovviamente si tratta di impressioni soggettive, ma ho davvero sentito la mancanza di un vero caso da risolvere, con tanti possibili sospettati; qui alla fin fine si conoscono già i colpevoli, almeno a grandi linee, quindi a Poirot non rimane che spiegare pazientemente alle autorità come sono stati orchestrati i vari crimini. Ciliegina sulla torta, la demonizzazione delle rivoluzioni, qui viste unicamente come prova tangibile dei complotti dei Quattro per spingere gli Stati verso il caos ed instaurare un nuovo ordine mondiale. Ma il buon Hercule non vuole passare per paranoico, proprio no!
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