Pietr il Lettone
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Maigret e il Lettone
Corre l’anno 1931, un nuovo decennio del Novecento ha avuto inizio quando fa il suo ingresso nel mondo editoriale un personaggio inedito quanto di poi fortunato: Jules Maigret. Il commissario e la sua struttura fisica massiccia nel paradosso essendo egli enorme e ossuto, senza baffi, sempre rasato, senza scarpe rinforzate i suoi vestiti di stoffa fine, con una struttura plebea ma che eppure, vuoi per il suo essere, vuoi per la sua sicurezza, arrivava tutto d’un pezzo. Tanto che dal momento del suo giungere, tutto sembrava doversi spezzare contro di lui, lui e la sua pipa inchiodata alla mascella.
Maigret è un uomo con un carattere forte, burbero, di poche parole e buone. I modi sono bruschi, è sempre alla ricerca di calore negli spazi e nei luoghi e al contempo è placido, dichiaratamente pigro per poi di fatto non esserlo.
Ad essere oggetto dell’indagine è Pietr il Lettone, un uomo di età apparente di 32 anni, di statura pari a 169 centimetri, un uomo che si presume essere appunto lettone o estone, che parla correttamente il russo, il francese, l’inglese e il tedesco, un uomo molto istruito che sembra essere a capo di una banda internazionale specializzata in truffe. Una banda che è stata individuata a Parigi, ad Amsterdam, a Varsavia, in diverse città europee; luoghi che lo avrebbero visto come protagonista e che adesso lo vedrebbero approdare nella giurisdizione di competenza del commissario Maigret. Tra queste pagine, a far da padrone, è proprio il rapporto commissario/ricercato, un rapporto fatto da attese e da appostamenti ma che nel suo cadenzare e alternare la voci è anche molto attuale e riporta a tanti scritti del nostro vivere quotidiano e presente. L’indagine si scioglie tra un giusto grado di tensione e quotidianità che trattiene. A far da perno è il fulcro centrale dell’opera ovvero il focalizzare sul nesso psicologico, sulla condotta del colpevole, sulla sua psicologia.
Primo romanzo di Simenon in cui appare Maigret, “Pietro il lettone” è una sorta di episodio pilota che si avvicina molto più al thriller/poliziesco che al giallo canonico a cui poi si affezioneranno i lettori nei capitoli successivi. Questo lo rende un buon episodio per avvicinarsi al personaggio e scoprirlo ma anche per poi cogliere quelle che saranno le evoluzioni della penna, del protagonista e delle avventure sino alla sua maturazione definitiva. La lettura si presta a lasciarsi divorare, è un libro infatti che si legge tutto d’un fiato e che accompagna passo dopo passo. Degne di nota le descrizioni dei luoghi e della società che qui viene descritta in modo talmente vivido da essere percepita come concreta dal lettore. Ciò vale anche per il contesto storico, descritto e ricostruito magistralmente.
“Al punto in cui era la sfida sarebbe stato inutile fare tanti misteri. Maigret riprese il cammino e duecento metri più avanti trovò il Lettone, che non aveva tentato di approfittare di quell’incontro per sfuggire alla sorveglianza. E perché avrebbe dovuto? La partita si giocava su un alto terreno. Gli avversari si vedevano in faccia, quasi tutte le carte erano in tavola.”
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Uno pseudogiallo
Quella con Simenon è stata la mia prima vera esperienza di lettura di un giallo seriale. Ho acquistato un’edizione dell’Adelphi intitolata I Maigret volume uno che contiene cinque romanzi in ordine cronologico ma non immediatamente successivo, il primo dei quali è appunto Pietr il Lettone. Ho scelto tra i cinque quest’ultimo per svariati motivi; innanzitutto è il primo romanzo di Simenon nel quale compare il commissario Maigret, una sorta di episodio pilota, ed è quindi il primo che consiglio di leggere a quanti intendono approcciare a questo autore, ma, con alcune dovute precisazioni. Il romanzo presenta delle particolarità rispetto ai successivi: più che un vero giallo sembra avvicinarsi al thriller/poliziesco toutc ourt. Già dalle prime pagine (dove troviamo il cd. “ritratto parlato” del ricercato) sappiamo chi sia il personaggio sulle cui tracce si trova Maigret e che in un modo o nell’altro (questo posso dirlo senza disvelare nulla) è coinvolto nell’omicidio di turno. In realtà, a tal proposito c’è da dire che ambiguità che si risolvono in tiepidi colpi di scena vi sono, ma ugualmente mancano dei veri e propri punti di tensione che incitano a quella lettura nervosa e compulsiva che caratterizzano il genere, eppure Pietr il Lettone costituisce per un verso l’emblema di una fra tutte le peculiarità che normalmente si associa a Simenon per distinguerlo da altri, ovvero la forte empatia che lega l’autore/protagonista ai colpevoli.
Maigret ci viene presentato come un uomo burbero, di poche parole e dai modi bruschi. Mangia in continuazione e ovunque vada è attratto da fonti di calore quali stufe camini e simili. La dichiarata placidità (quasi pigrizia) associata al carattere del personaggio è contraddetta nei fatti dalla sua grande attività. Il commissario durante le indagini si sposta molto e di continuo, anche se ferito gravemente, anche a costo di non far ritorno a casa propria per giorni. Ha un modo molto particolare di occuparsi del caso: si lascia guidare dall’istinto e pertanto potrebbe piantonare la hall di un albergo per ore pur in assenza di apparente motivo. Ma veniamo al punto: in Pietr il Lettone il motivo della narrazione appare essere –più che il crimine o i crimini commessi- più che la ricerca del colpevole, proprio il rapporto tra commissario/ricercato che qui prende le forme di un acchiapparello sui generis:
“Al punto in cui era la sfida sarebbe stato inutile fare tanti misteri. Maigret riprese il cammino e duecento metri più avanti trovò il Lettone, che non aveva tentato di approfittare di quell’incontro per sfuggire alla sorveglianza. E perché avrebbe dovuto? La partita si giocava su un alto terreno. Gli avversari si vedevano in faccia, quasi tutte le carte erano in tavola.”
Anche se vagamente leziosa ho apprezzato la scena in cui Maigret e l’inseguito si trovano faccia a faccia condividendo una surreale quotidianità; proprio questo è il luogo/non luogo scelto da Simenon per far risaltare il secondo indiscusso motivo della narrazione: la psicologia del colpevole con annesso esame delle ragioni che sottendono la condotta. Anche se quantitativamente non è l’elemento a cui viene dato maggior spazio, qualitativamente parlando è tutto ciò che rimane della vicenda una volta concluso il libro.
Per quel che mi riguarda non credo di essere diventata amante del genere eppure qualche pregiudizio me lo sono tolto. Quella dei Maigret è stata una piacevole esperienza di lettura che pertanto consiglio agli amanti del giallo e ai lettori onnivori e non.
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L'inizio
All’alba degli anni trenta del secolo scorso, esordisce fra queste pagine il commissario Maigret: dotato di pipa, Brasserie Dauphine e moglie amorevole, è però una figura abbastanza diversa da quello della serialità che verrà. Assai più Jean Gabin che Gino Cervi, il poliziotto è qui discendente dalla scuola dei duri proveniente da oltreoceano già a partire dal massiccio aspetto fisico che lo fa apparire una sorta di elefante parcheggiato nel lussuoso hotel Majestic e dalla scarsa loquacità che lo contraddistingue: senza la bonarietà che comparirà in seguito, Maigret percorre una storia molto più noir che gialla con il suo incrociarsi di destini che segnano uomini perduti. Avvisato del viaggio verso Parigi di un famoso criminale internazionale, all’arrivo del treno il commissario trova un uomo morto nella toilette dopo averne visto un altro, ben vivo e somigliante, andarsene: entrambi potrebbero essere il ricercato e così l’unica soluzione è mettersi alle calcagna del secondo che presto mette in mostra una sempre più evidente personalità bipolare. Rischiando di lasciarci la pelle e avendo pietà solo pe le donne maltrattate dalla vita, Maigret finisce per mettere in chiaro ogni mistero in un finale forse eccessivo – l’episodio troppo lungo sugli scogli di Fécamp – ma di notevole impatto emotivo, oltre che duro in modo insolito per chi l’ha conosciuto dalle indagini successive. E’ inoltre impossibile non notare come tra le fila dei cattivi ci siano siano in pratica solo degli stranieri: lo sguardo che indaga spietato sulle loro vite – fatte di pulsioni mediocri in balia dell’avidità – è però lo stesso che lo scrittore utilizzerà per analizzare senza scampo la società francese (o, più in generale, il consorzio umano se consideriamo anche i romanzi ‘statunitensi’) nei libri che verrranno. Del resto, lo stile è perfettamente maturo, benchè Simenon abbia scritto il libro a venticinque anni, tanto che nel corso del tempo gli è bastato affinare la capacità di descrivere una persona in poche frasi o un paesaggio – meglio se piovoso o, quantomeno, intriso di umidità – grazie a rade pennellate che mettono in risalto particolari che, a loro volta, restituiscono con precisione l’insieme almeno dal punto di vista emotivo. In più c’è, ovviamente, un’abile costruzione che porta l’intreccio a calamitare l’attenzione malgrado la vicenda appaia – specie all’inizio – lontana dalla vita di tutti i giorni: le pagine si girano volentieri e la rassicurante presenza di Maigret nonè l’unico motivo.
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L’atto di nascita ufficiale del commissario Maigre
Che il commissario Maigret abbia portato fortuna al suo autore Georges Simenon è indubbio, con risultati di vendita tali da consentirgli di condurre una vita agiata. Sono ben 75 i romanzi e 28 i racconti in cui compare questo strano poliziotto che si fida solo del proprio istinto e che conduce le indagini non come un investigatore perfetto e impeccabile come Sherlock Holmes; no, lui Maigret per un po’ brancola nel buio, ma poi scatta il suo intuito e da allora il percorso dell’indagine è in discesa e non c’è più scampo per il colpevole. Settantacinque romanzi sono tanti, con alcuni particolarmente riusciti e altri – pochi in verità –di standard non elevato, ma in ogni caso di facile lettura e particolarmente graditi a una vasta platea di lettori di ogni continente.
È quindi del tutto naturale che abbia cercato il primo libro in cui nasce ufficialmente il commissario Maigret e l’ho trovato, perché Pietr il Lettone è il primo giallo, datato 1931, in cui lo si vede all’opera. Per quanto ovvio, Simenon si è impegnato a fornirci una descrizione abbastanza dettagliata del personaggio (Maigret non somiglia ai poliziotti resi popolari dalle caricature. Non aveva né baffi né scarpe a doppia suola. Portava abiti di lana fine e di buon taglio. Inoltre si radeva ogni mattina e aveva mani curate. Ma la struttura era plebea. Maigret era enorme e di ossatura robusta. Muscoli duri risaltavano sotto la giacca e deformavano in poco tempo anche i pantaloni più nuovi.). Maigret ha quindi una struttura enorme, è un uomo robusto, sempre con la pipa in bocca, determinato nelle sue indagini, ma già in questo ultimo giallo ha un’altra caratteristica: una carica umana che lo porta a non ledere la dignità degli altri, anche quando questi sono dei criminali. È sposato, ma la moglie é presente solo nell’ombra, tranne che nelle ultime pagine; dalla descrizione del commissario emerge un particolare curioso: data la stagione autunnale in cui è ambientata la storia, quando esce mette in testa un cappello, ma non un cappello qualsiasi, né un borsalino, né un berretto o un basco, bensì una bombetta. Come prima opera, poi, questa ha quasi le cadenze di un thriller mozzafiato (l’aiutante di Maigret viene assassinato, lo stesso commissario viene ferito seriamente) e i colpi di scienza sono incalzanti, a differenza dell’andamento più tranquillo dei successivi episodi.
Non sto a indicare la trama, perché è complicata, ma molto ben articolata, e con un finale in un certo senso inaspettato, anche se a guardar bene del tutto logico.
Sono pagine che si leggono con piacere e il trovarsi di fronte per la prima volta a questo mitico protagonista aggiunge emozione all’emozione, e viene da subito spontaneo tifare per lui nell’eterna lotta fra il bene e il male.
Quindi, Pier il Lettone è senz’altro meritevole; trascorrerete un po’ di tempo in modo assai piacevole, perché di Maigret ce n’è uno solo e quello che c’è basta e avanza per regalare ai lettori un sano svago.