Phobia
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Recensione della Redazione QLibri
Paura della paura
Mamma un cane nero. Un grosso cane nero in salotto. Io lo ho visto, credimi mamma.
Dormi, e' stato solo un sogno.
Mamma corri, bussano alla finestra. L'uomo in giardino bussa alla mia finestra.
Dormi Harvey, era un ramo, il ramo ed il vento.
Lei scende le scale e intravede una luce in cucina, suo marito forse e' rientrato in silenzio.
La striscia illumina il pavimento sotto il frigorifero. Sei tu ?
Si intravedono le caviglie magre, troppo magre nel completo di Stephen, i pantaloni corti, troppo corti. La voce si soffoca in gola, una frase che e' un tremolio, Chi e' lei ?
Amore sono io . Non avere paura Sarah.
Paura della paura.
La piastra incandescente, le mani in avanti, l'unica cosa che resta di me sono le mie impronte.
Ora non piu'.
Se siete precoci nell'ira potreste riuscire a surriscaldarvi gia' alle prime pagine, quando l'esordio propone il soggetto piuttosto ritrito del marito estraneo che si insidia nella pacifica famigliola benestante. Se invece siete nella media, il tempo della rabbia verra' depennato con lo scorrere delle pagine, dove Wulf Dorn ci dimostra che quello non era il fulcro , ma uno dei tanti elementi della vicenda. La trama infatti si infittisce scorrendo ad un ritmo serrato, coi capitoli brevi che alternano scene diverse, un incessante accavallarsi di prospettive che convergono ad un unico scopo che sembra sembre piu' sfuggente : la soluzione.
Amo il romanzo psicologico di Dorn, che riesce a scrivere di nuovo un libro di ottima qualita' senza ricorrere alla violenza esplicita, senza la cattiveria esponenziale, senza inondarci di sangue.
Quando la voglia di un buon thriller assume la concentrazione del glucosio nel sangue di un diabetico, Phobia e' l'insulina che trattengo nella siringa trasparente. Una goccia panciuta guizza dall'ago, lo appoggio sulla pelle della fronte, affondo e inietto. Ora sono molto soddisfatta.
Buona lettura.
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Opinioni inserite: 10
PIU' CHE IL VERO WULF E' UN GIALLO
Ho optato per questo titolo perché avevo amato follemente “La psichiatra” e in “Phobia” compare Mark, un personaggio del primo libro che ho citato.
La cosa che non mi è piaciuta è che secondo me rispetto a “La psichiatra”, in “Phobia” Dorn cambia completamente genere. Mentre il primo è un thriller psicologico che mette a fuoco il cervello e tutti gli scherzi che può farti, il secondo è strutturato come un vero e proprio giallo.I gialli non mi dispiacciono. Ma non mi piacciono se poi, oltre al mistero da risolvere, non ci sono contorni di trama.
Sulla trama non ho cose brutte da dire, perché sappiamo tutti molto bene quanto Dorn sia un mago della scrittura. Inoltre, come si legge alla fine, il tutto si ispira a qualcosa che è realmente accaduto. Non si può chiedere di più, se amate il genere.
Se invece non vi piacciono i gialli, io non ve lo consiglio.
Sono rimasta un pochino delusa....
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PAURA IN CASA
Che dire?
Non mi stanco mai di leggere i libri di Wulf Dorn, hanno una carica e un'adrenalina tale da farti rinchiudere in casa e non smettere mai di leggere il libro.
Vuoi perchè ti mette addosso paura, vuoi perchè sei curioso di vedere come mai potrà andare a finìre la storia; fatto sta che dalla prima pagina resti incollato e, pagina dopo pagina, cerchi, insieme ai protagonisti, di risolvere il mistero. Chi sarà mai l'uomo che entra in casa di Sarah spacciandosi per suo marito? Riuscirà a capire a quale gioco sta giocando l'estraneo?
Un'astuzia da non sottovalutare di Dorn è anche lo studio di capitoli corti, che ti invogliano anch'essi di continuare a sfogliare le pagine.
Un thriller intessuto di suspance, dove tutto non è come sembra e solo alla fine (finale a sorpresa) si capirà cosa esattamente è successo e sopratutto perchè proprio a Sarah.
Non ne rimarrete delusi!
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La paura ha una casa in cui abitare.
C'è una grande differenza tra paura e fobia: la paura è un'emozione primaria, imprevedibile perchè spesso generata da eventi casuali o da situazioni di pericolo inattese e generalmente induce ad una reazione immediata ed attiva, un tentativo di difesa o di fuga per esempio.
La fobia invece è una paura profonda, radicata nell'inconscio, una paura spesso malata perchè originata da sensazioni e visioni distorte della realtà più che da circostanze evidenti.
E mentre la paura, così come la gioia, ci accompagna sin da bambini essendo un'emozione che impariamo a conoscere dai primi anni di vita - chi tra noi non ha mai controllato nell'armadio o sotto il letto prima di addormentarsi? - la fobia si manifesta generalmente in età più adulta perchè ha bisogno di sedimentare, si nutre con le esperienze di vita più dolorose e negative amplificandone gli effetti collaterali sulla nostra coscienza che le percepisce così con timore, con l'ansia crescente che possano ripresentarsi e che non si abbia la capacità di affrontarle: è quella che generalmente si manifesta come 'paura di fallire'.
Questa è la fobia di Sarah Bridgewater: nonostante fosse una donna di successo e molto apprezzata per il suo lavoro tanto da meritare una promozione ed una posizione di prestigio in ambito lavorativo, inspiegabilmente ed improvvisamente perde fiducia in se stessa a tal punto da temere i suoi stessi collaboratori, persino una semplice riunione diventa per lei causa di panico.
Sarah ha paura di non essere all'altezza del suo compito e delle aspettative che gli altri hanno di lei.
"Ad un certo punto, però, qualcosa era cambiato. A poco a poco, e senza che lei all'inizio se ne rendesse conto. Una paura inesprimibile, un terrore orribile era risalito dagli abissi del suo subconscio affiorando in superficie. La prima volta risaliva a più di un anno addietro. Da allora era diventata il suo fedele compagno, compariva ogni volta che lei era sola.
Il medico aveva definito questa sua paura irrazionale un disturbo fobico e le aveva consigliato un terapeuta con cui approfondire le cause. La terapia, però, non aveva sortito gli effetti sperati, e Sarah si ritrovava sempre più spesso a ripensare ad una frase che aveva letto in un romanzo di Shirley Jackson: Qualunque cosa voglia frullarti lì dentro, lo fa e basta."
Ma non solo in ufficio, anche a casa: Sarah ha paura di parlarne col marito perchè teme la sua reazione dinanzi alla sua debolezza, teme il suo dispiacere e la sua delusione e per questo si isola dal marito e lo allontana da se stessa.
Ha paura anche di non saper proteggere adeguatamente il figlio dalle insidie di un mondo sempre più violento, una società sempre più cattiva: e quando una notte il figlio la chiama impaurito dopo aver udito dei rumori e visto un'ombra alla finestra, lei deve sforzarsi per apparire sicura di sè, nessuna titubanza dinanzi al figlio per convincerlo che si tratta solo di rumori causati dai rami dell'albero, divenuti troppo lunghi tanto da urtare la finestra.
E' una paura infondata quella del figlio, non c'è nessuno oltre la finestra e nessuno potrà mai fargli del male.
E' stata brava Sarah; nonostante, fosse sola in casa col figlio Harvey visto che il marito sempre più spesso trascorre la notte fuori per lavoro, è riuscita a tranquillizzarlo placando i suoi incubi.
"E' questa la differenza tra la paura di un bambino e quella di un adulto, pensò mentre ascoltava ancora insonne il vento che soffiava. I bambini hanno paura di cose irrazionali, di uomini spaventosi capaci di volare, di mostri nell'armadio, poi però si riaddormentano perchè credono che mamma e papà li proteggeranno dai mali del mondo. I bambini non sanno ancora molto delle vere creature dell'orrore che sono in agguato oltre i vetri scuri della finestra. Delle paure ben più complesse di qualsiasi baubau o di qualsiasi mostro orribile, perchè non hanno un volto, non hanno una forma, per quanto ci si sforzi di dar loro un nome."
Ora è lei però che sente dei rumori, a piano terra. Rumori ben distinti, inequivocabili. Sono i rumori volontariamente attenuati che fa suo marito quando torna tardi a casa nel tentativo di non svegliare la moglie ed il bambino.
Ma perchè non l'ha avvisata? Come mai Stephen è rientrato in anticipo senza dirle niente, neanche una telefonata.
Lo capirà ben presto, quando prenderà coscienza che l'ombra di quell'uomo nella cucina della sua casa, il volto a malapena illuminato dalla luce del frigorifero aperto, le cicatrici che ne deturpavano l'aspetto.. quell'uomo non era Stephen, non era suo marito.
Ma aveva i suoi vestiti, aveva le sue chiavi.. e la chiamava per nome, la chiamava Sarah, con dolcezza, le aveva persino portato un mazzo bellissimo dei suoi fiori preferiti e un regalo per Harvey, la playstation che desiderava da sempre.
Non era suo marito, ma sapeva tutto di lei e della sua famiglia.. ma soprattutto conosceva bene la sua paura.
E la paura, in tutte le sue forme, regna sovrana in questo romanzo al cardiopalmo di Wulf Dorn e
chi cerca emozioni forti non ne rimarrà certo deluso.
Non vi nascondo, però, un mio personale giudizio non del tutto positivo che ha preso forma dopo i primi capitoli del libro, sicuramente i più interessanti, trovando poi conferma durante il prosieguo della lettura sino all'epilogo finale.
Ho avuto infatti l'impressione di una trama confusionaria, in cui gli eventi che si intrecciano contribuiscono solo a renderla più caotica (e spesso inutilmente prolissa) ma non apportano alcun valore aggiunto alla storia anzi rimangono spesso eventi isolati, citati ma non adeguatamente sviluppati.
Lo stesso personaggio di Mark Behrendt, amico di infanzia di Sarah e psicologo di successo caduto in crisi dopo la morte (accidentale?) della moglie, mi sembra una forzatura nel senso che la storia avrebbe potuto evolversi allo stesso modo anche senza il suo contributo; solo alla fine si intuisce il suo ruolo di congiunzione con un probabile sequel del romanzo.
L'accostamento del personaggio di Mark a Sarah, pur tralasciando la banalità della circostanza del loro incontro, avrebbe avuto più senso se fosse stata curata ed approfondita la storia di Mark, le cause che hanno portato alla morte della moglie determinando così in lui una fobia simile a quella di Sarah: paura degli uomini, paura di fallire, paura di non poter proteggere le persone più care.
E ritengo poco convincente anche l'uomo cattivo, la misteriosa figura che si intromette nella vita della famiglia Bridgewater sconvolgendo l'esistenza di Sarah e del marito Stephen: ho trovato alquanto semplicistica la motivazione del suo comportamento oltre che, lasciatemelo dire, una forte analogia col protagonista della fortunata serie horror cinematografica "Saw".
In definitiva, nonostante l'ottima premessa, Phobia non ha soddisfatto pienamente le mie aspettative: la paura, la fobia, sarebbe stata ottima protagonista di questo thriller psicologico ma rimane relegata solo nel titolo, accennata nei primi capitoli per poi essere abbandonata e perdersi così tra le righe di una storia dai connotati moralistici, inneggiante il valore della vita e della famiglia.
"Ma voglio svelarti un segreto, Mark, che in fondo conosci da tempo. La paura ha una casa in cui abitare". Picchiettò la tempia. "Quassù. E allo stesso tempo questo è l'unico posto in cui possiamo affrontarla. Mark, il tempo a nostra disposizione è limitato, e sarebbe uno spreco trascorrerlo in compagnia della paura".
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Tra noi non è ancora finita!
Wulf Dorn parte forte sin dalle prime pagine per questo thriller spiazzante.
La bella Sarah diventata vittima di un gioco crudele da parte di uno psicopatico che si auto elegge giudice e carnefice del destino altrui.
Il maniaco non è un mistero, si individua sin da subito. Ma attenzione, non è la solita caccia all'uomo, anzi si dimostrerà proprio il contrario.
E' una ricerca delle proprie paura quelle che "non si manifestano con un mostro come nei bambini" ma emergono dal passato in modo cruento.
Sarà proprio questa ricerca interiore a mettere a nudo le proprie paure e a trovare la chiave per arrivare alla risposta della domanda: "Perché proprio Sarah, perché proprio la sua famiglia."
Il romanzo è ricco di colpi di scena anche nel finale che sembra non finire mai. Il ritmo incalzante non lascia spazio a punti in cui rilassarsi.
Appello alla polizia londinese: se qualcuno avvista un maniaco... fidatevi!
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INIMITABILE DORN
"Il passato è storia: contano solo il momento e il luogo presenti, perché stabiliscono il corso del futuro".
Questa frase racchiude a mio avviso il significato dell'intero libro di Dorn. Il passato ci plasma e crea le basi per quello che avverrà nel presente e che diverrà il futuro.
Dorn in questo nuovo capolavoro cambia l'approccio con il lettore. Non bisogna scoprire "cosa", evidente quasi da subito, ma "perché", e ciò è evidente e lo si comprende solo capendo i personaggi, la loro storia e dunque il loro passato. Il passato che diviene causa delle loro azioni e dunque crea il presente e pone le basi per il futuro.
Non nascondo la mia delusione superata la prima parte del libro, nel momento in cui ho compreso che la trama non era ciò che credevo, ma più andavo avanti nella lettura e più la mia curiosità cresceva.
Come per gli altri libri di Dorn, leggi l'ultima pagina, ti fermi e poi pensi: però...sarebbe davvero un bel film!
Consigliato!
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Non sono infatti i difetti a renderci umani?
Phobia è un viaggio nella paura, un'esplorazione del lato oscuro delle persone, un incontro con un super-ego angosciante ed ingombrante.
La storia che fa da medium ha una location totalmente diversa da quelle che Dorn ci aveva precedentemente mostrato, ora ci troviamo in Inghilterra, più precisamente a Forest Hill.
Sarah Bridgewater è una donna comune, con una vita comune, almeno fino a quando non incappa in una problematica che darà il titolo a questo libro: la paura.
La paura di fallire, di sbagliare, di non credere più in se stessa, quella paura che l'aveva fermata e l'aveva resa un'ulteriore pedina di una dama mortale.
Dovrà misurarsi con essa, affrontarla e, eventualmente, superarla.
Tutto inizia quando suo figlio Harvey, una notte, sostiene di aver visto un uomo alla finestra, Sarah ritenendola una rappresentazione mentale infantile non ci fa molto caso, ma ciò che troverà in cucina avrà dell'inverosimile: un uomo, con gli stessi abiti del marito, si sta preparando un panino.
Sostiene di essere Stephen ma contro di lui giocano le innumerevoli cicatrici sul viso, e caratterizzazioni totalmente diverse dal reale Stephen, che sarebbe dovuto essere via per lavoro.
Così per Sarah ed Harvey iniziano una slavina interminabile di problemi, di giochi, di terrore, che il caro Mark Behrendt (chi ha letto la Psichiatrà comprenderà) sarà in grado di sbrogliare.
Dico con estrema cognizione di causa che Phobia è un libro alquanto particolare, l'inizio è esplosivo, il lettore, sin dalle prime pagine, si trova catapultato in una storia molto avvincente, della quale riuscirà ad apprezzare cambiamenti ed inversioni nel corso della lettura.
Devo ammettere di essere rimasto alquanto deluso dal finale, credo con fermezza che Dorn dovrà scrivere un seguito, se non altro per non lasciare tutti noi sulle spine.
Phobia è davvero un libro eccezionale, scritto in modo sublime da Wulf Dorn, riesce ad impaurirti, interessarti e ti rende schiavo di quelle pagine.
La lettura è scorrevole, molto ben schematizzata, con un intreccio altresì complesso, e dunque molto spesso occorre fare appello alla propria memoria per non perdere il filo della storia.
In sostanza un libro indubbiamente da leggere, un ennesimo capolavoro di questo autore che, purtroppo, permane ancora poco conosciuto, ma che meriterebbe maggiore visibilità.
"Non era mia intenzione muoverti rimproveri o giudicarti per il tuo comportamento. Volevo solo spingerti a riflettere, spero sinceramente di esserci riuscito."
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I mille volti della paura
La Paura come parte viva della quotidianità di ognuno di noi, come esperienza che tutte le persone sane hanno provato nella loro vita.
Conviviamo con le nostre paure, cresciamo con loro, le combattiamo e spesso cediamo a loro, ma a volte ci aiutano anche a crescere e ad imparare.
Quando però la paura diventa estrema, va al di là di ogni sana sensazione naturale e sfocia nella malattia, nella fobia e allora c’è bisogno di aiuto per sopravvivere.
Sarah, Mark, il signor Nessuno, Stephen e tutti gli altri attori sono a loro modo tutti in preda alle loro paure, in forme differenti, con conseguenze diverse.
Eppure c’è una rete nascosta che li tiene tutti uniti, a corredo di una trama da psicothriller di tutto rispetto.
Wulf Dorn ancora una volta riesce a convincere strutturando una storia partendo da tanti rami differenti per poi giungere al tronco, sintesi e unione di una trama articolata che trova alla fine il suo senso più profondo e compiuto.
Il livello di tensione e quindi la proporzionale voglia di leggere il capitolo successivo appena finito il precedente sono alti grazie a diversi elementi che sono parti integranti della storia, quali la brevità dei capitoli che donano snellezza alla storia e il sorgere continuo di elementi nuovi, tutti concorrenti alla costruzione del finale.
Questa è la storia di una paura, di tante paure e l’insegnamento che loro abitano dentro di noi, per cui inutile cambiare casa, regione o compagna, dobbiamo affrontarle per sconfiggerle, altrimenti ci seguiranno ovunque!
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Mai fermarsi alle apparenze...
Dorn non sbaglia un colpo...
Almeno personalmente, ho trovato tutti i suoi thriller molto ispirati e carichi di una perfetta dose di suspance e adrenalina e anche in questo caso, con "Phobia" la formula adottata ha centrato in pieno il bersaglio.
Lo stile classico dell'autore mantiene le sue più che collaudate connotazioni: tanti e brevi capitoli, dotati di un ritmo e di un tasso di coinvolgimento altissimo, perfettamente incasellati e alternati tra di loro, che inchiodano gli occhi sulle pagine facendole scorrere che è un piacere...
La trama è ben congegnata e anche se non originalissima, offre a mio parere alcune interessanti tematiche tra le righe, risulta più profondo dei precedenti a livello di argomenti, regala spunti di riflessioni che vanno al di là della classica facciata del thriller psicologico classico.
Un romanzo che merita e che non deluderà chi è alla ricerca di una bella "botta" di adrenalina", sia chi è alla ricerca di un giallo dai toni forti e inquietanti.
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La paura ha una casa....
Ultimo capolavoro di Wulf Dorn e ammetto che l'aspettativa di questo libro era molto alta,e come ogni aspettativa alta è molto facile rimanerne delusi. Ecco...questo non è il nostro caso. Wulf Dorn è il maestro dello psico-thriller,riesce a farti immergere nella storia e a farti provare le stesse emozioni della protagonista che in questo caso è Sarah,il personaggio secondario principale è Mark (e da questo deriva il fatto che è stato denominato il seguito della "Psichiatra" e in questo apro una parentesi in parentesi,mi sembra molto debole il legame con il precedente libro,penso che sia usata questa denominazione solo per marketing),poi abbiamo Stephen,marito di Sarah che viene misteriosamente rapito. In sostanza la storia è quasi un poliziesco cioè Sarah e Mark alla ricerca dell'assassino o rapitore di Stephen per scoprire la verità. Il soggetto in questione che noi chiameremo semplicemente Nessuno,per sua volontà,come possiamo capire è uno psicopatico,che si finge in tutto e per tutto Stephen,tanto di introdursi in casa di Sarah e farsi vedere chiaramente da lei,ma ammetto che il suo scopo è nobile,per quanto i mezzi siano sbagliati,ma il perchè fa tutto questo è davvero nobile.Forse me la penserò solo io così,un pò da psicopatica,ma penso che quello che ha fatto passare a Stephen se lo meritava!!! Lui ha fatto un enorme sbaglio,se ve lo rivelo non avrebbe senso leggere il libro quindi mi sto zitta.
Questo libro,ok è un thriller anche un pò poliziesco,ma ha un significato e la morale molto profonda. A me ha trasmesso la seguente.
Ogni uomo/donna vive la propria vita,alcuni sono l'eccezione alla regola,ma il filo della vita è :nasci,cresci,ti innamori,ti sposi,lavori,figli,nipoti,morte. Ma noi tutti diamo per scontato tutto questo,la bellezza ci sfugge dalle mani perchè ce l'abbiamo davanti gli occhi. Capiamo quanto una persona sia importante e fantastica solo dopo averla persa,ci rendiamo di aver avuto la felicità solo quando il nostro mondo ci crolla addosso. Dovremmo apprezzare,invece,quello che abbiamo puntare sempre in alto,ma concepire ogni singolo istante come qualcosa di irripetibile,perchè nella nostra vita non ci sarà più un 20 settembre 2014,o un 21 o 22. Ci sono solo giorni,uno dopo l'altro ed è compito nostro fare un capolavoro!
Detto questo,voglio augurarmi che molti di voi lo leggeranno perchè merita tanto tanto tanto!
P.S= Penso che comunque Dorn pensi ad un continuo visto il finale!
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L'impazienza di Giobbe
Quando Wulf Dorn torna con un nuovo romanzo, mi carico di aspettative. E forse, questo è un errore, perché in genere l’aspettativa – tanto più se è alta – spesso produce delusione.
“Phobia”: il titolo preannunciato su di me ha agito come lo specchietto per l’allodola, per il conclamato interesse che nutro nei confronti del thriller psicologico.
Da brava allodola, mi sono dunque precipitato in libreria per procurarmi lo specchietto. Che ha funzionato, se misura della riuscita di un libro sono i tempi di lettura e l’incapacità di staccarsi dalle pagine (quelle di “Phobia”, quasi, si girano da sole).
Il romanzo è stato annunciato come sequel de “La psichiatra”, il primo fortunato romanzo che ha consacrato Dorn come stella della letteratura di tensione. In realtà, la connessione con il primo romanzo è piuttosto estrinseca, in quanto “Phobia” si limita a condividere con “La psichiatra” il personaggio di Mark Behrendt, il medico che qui affianca l’amica d’infanzia Sarah, alle prese con un imprevisto che sconvolge lei e la quiete del quartiere di Forest Hill.
Infatti, una notte, il marito Stephen fa ritorno a casa… solo che… solo che non è lui a tornare! Perché l’intruso, che è vestito come Stephen (“E’ un pazzo. Indossava il vestito di Stephen e si comportava come se fosse mio marito”) e conosce perfettamente tutte le abitudini di famiglia, in realtà è “la versione da incubo di suo marito”.
Chi è l’orrendo personaggio (“La maschera del suo viso pieno di cicatrici apparve ancora più orribile e finta”) che fa irruzione nella vita della giovane donna e che nel finale le chiederà di essere chiamato Giobbe?
Cosa vuole da Sarah?
Che fine ha fatto Stephen?
Come si può evincere da queste premesse, la trama è avvincente e procede con ritmo serrato (con un calo, forse, nella parte centrale, con la comparsa di Mark che in questa storia agisce sotto tono, un po’ come fa l’incantatore con i serpenti).
Il mio dubbio riguarda principalmente la tenuità della dimensione psicologica del romanzo. Sarah soffre di una fobia generica (“Il medico aveva definito questa sua paura irrazionale un disturbo fobico e le aveva consigliato un terapeuta con cui approfondire le cause”), che la allontana dal lavoro e che ha la propria origine nel rapporto coniugale (“Tutto quello che desideravano all’inizio – una casa, dei figli, il matrimonio – sono diventati insignificanti per entrambi”). Il romanzo è un percorso verso la consapevolezza, ottenuta attraverso sofferenze ed eventi scenografici piuttosto che attraverso snodi clinici e terapeutici, e perviene a una conclusione: “Perché l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”.
L’aspetto più apprezzabile – oltre all’intreccio, che è comunque occasione per una buona lettura d’evasione nella tensione - è il tentativo che Dorn compie per ricondurre eventi sorprendenti e cruenti a una razionalità di fondo che si nasconde dietro a fatti in sé terrificanti. Con l’ammonimento implicito a non dare nulla per scontato, a non sottovalutare le opportunità che la vita offre, a non sprecare le occasioni della felicità, che non viene concessa a tutti da un destino cieco, iniquo e spesso crudelissimo.
Bruno Elpis