Ninfee nere
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TRA AMORE E ODIO
La lettura di questo romanzo è stato un continuo susseguirsi di alti e bassi, ogni capitolo mi faceva cambiare idea sulla valutazione della storia.
L'autore ci indica in maniera chiara come si svolgerà la vicenda, le protagoniste del libro sono tre, la prima ha più di ottant'anni, è vedova, si veste di nero ed è cattiva; la seconda è bugiarda ha 36 anni si chiama Stèphanie ed è la maestra del paese. La terza si chiama Fanette, ha undici anni ed è un genio della pittura e tutti i ragazzi sono innamorati di lei.
Le tre donne non possono che essere più diverse tra di loro, ma hanno una cosa in comune: vogliono lasciare il paese in cui sono cresciute Giverny, una piccola cittadina nel nord della Francia, famosa per essere stata la residenza di Monet e milioni di turisti ogni anno la visitano per vedere il giardino del famoso artista.
Il libro si apre con il ritrovamento del cadavere di Jèrôme Morval, famoso chirurgo oftalmologo che viene ritrovato con il viso riverso sull'acqua del ruscello che ha voluto Monet, per creare il laghetto delle ninfee.
Ad occuparsi delle indagini c'è il nuovo ispettore capo di Vernon, Laurenç Sérénac e il suo aiutante Sylvio Bénavides.
L'uomo era sposato con Patricia Morval, ma aveva una passione per le donne e per i quadri e avrebbe voluto possedere un Monet.
"Una vita passata ad accumulare riproduzioni senza discendenza"
Nella tasca esterna della giacca di Jérome viene ritrovato una cartolina con le Ninfee di Monet e con una scritta " Acconsento a che si instauri il delitto di sognare".
Una frase che accompagnerà il mistero per tutta la durata del libro.
Le indagini si concentreranno sulle donne che il medico frequentava e sulla maestra Stéphanie, infatti l'uomo aveva una vera e propria ammirazione per lei, ma non si capisce fino a dove questo amore si sia spinto.
Anche Laurenç non resta indifferente nei confronti della bella maestra, tanto da non sembrare sempre lucido nelle indagini.
Il finale è sicuramente sorprendente e non lo avevo capito e devo dire che l'autore è stato bravo in questo, però per me a questo romanzo manca qualcosa.
Se c'è un giallo da risolvere dovrei essere coinvolta dalla narrazione invece non è stato così, in alcuni punti non succedeva poi molto e il climax era veramente molto basso, facendo risultare la lettura molto lenta. Ci sono dei momenti in cui Bussi fa delle lunghe descrizioni alternate a dei monologhi.
La parte centrale l'ho trovata particolarmente piatta e poco scorrevole.
Sì, ho fatto fatica ad affezionarmi a questa storia, a capire i personaggi, a trovare un punto in comune tra di loro e solo nella parte finale ho capito il perché.
Credo sia un autore che o lo ami alla follia oppure lo detesti, per il momento il mio giudizio è a metà, dovrei leggere qualche altro libro per capire se fa per me oppure no.
Ho capito che Bussi voleva farci sussultare con un colpo di scena che avrebbe spiazzato il lettore, ma io non l'ho apprezzato.
Non sarei onesta fino in fondo, se non dicessi che questa storia non mi ha convinta pensavo a qualcosa di completamente diverso che mi avrebbe letteralmente lasciata a bocca aperta ma non è successo.
Pazienza, a volte può capitare che un libro non piaccia e mi dispiace perché le premesse c'erano tutte per essere una lettura sorprendente.
Sarà per la prossima volta Michel Bussi!
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Tutto torna
Splendido giallo che ci racconta la vita di tre donne, una bambina, una giovane donna ed un’anziana signora, che vivono nel paese delle ninfee di Monet, il paese della luce e dei colori che, con i suoi paesaggi ed i suoi specchi d’acqua ha dato a questo pittore immenso l’ispirazione per rivoluzionare lo sguardo dell’uomo sulla natura. Perché il suo impressionismo è osservare e immaginare. Ed osservando tutti gli indizi sparsi, nonchè immaginando tanto, attraverso tutti i punti di vista che l’autore ci fornisce, attraverso il racconto di tutti i 13 giorni e passo passo attraverso tutti i salti di memoria, si arriva all’inaspettato epilogo di una storia intrecciata, indubbiamente originale, arrivando a sciogliere un ingranaggio maledetto in cui alla fine ogni tassello va al proprio posto. Compresi gli occhi ninfea di una donna unica che ritrovano la luce nel momento più insperato.
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Se sogno, sogno ciò che mi viene vietato
A Giverny, alta Normandia, Jerome Morval medico rinomato oftalmologo, viene trovato riverso sulle rive del piccolo ruscello dell'Epte che attraversa il paese con il cranio fracassato e chiari segni di accoltellamento.
Pochi gli indizi che possano lasciar intuire un possibile movente, motivo per cui l'ispettore Serenac ed il suo vice Benavides brancolano nel buio senza il minimo sospetto verso un plausibile omicida. Nessun testimone sulla scena del delitto solo una cartolina di auguri nella giacca del medico, per un compleanno di 11 anni, con sopra una frase strappata dalla pagina di un libro ed incollata sulla cartolina: 'Acconsento che si instauri il delitto di sognare.'
Mai come per questo romanzo, ogni parola in più potrebbe essere rivelatrice di una trama solo apparentemente lineare e poco tortuosa che invece si paleserà nelle ultime pagine in tutta la sua ineccepibile ingegnosità ed originalità, a riprova del talento dell'autore Michel Bussi nel genere giallo poliziesco confermato anche dal successo di pubblico e critica dei romanzi successivi.
Ma non è solo il finale ben congegnato l'unico punto di forza di Ninfee nere.
Come molti forse già sapranno, Giverny è anche la città di Claude Monet, considerato uno dei padri dell'impressionismo francese, che proprio in questa piccola cittadina trascorse gran parte della sua vita sino alla morte avvenuta nel 1926. Ed è proprio dalla sua casa a Giverny, oggi importante museo che espone gran parte delle sue opere attirando ogni giorno migliaia di turisti, che il grande maestro dipingeva le sue famose ninfee, ritraendole in modo quasi ossessivo da varie angolazioni e in diversi momenti della giornata per coglierne tutte le possibili e cangianti sfumature di colore. Qualsiasi colore tranne il nero che per Monet era assenza di colore: una leggenda narra però che in punto di morte, lo stesso Monet abbia voluto immortalare su una tela (mai ritrovata) la propria morte nel riflesso delle ninfee. Ninfee nere appunto.
Questa e tante altre curiosità sulla vita del pittore francese durante la sua lunga permanenza a Giverny arricchiscono le pagine del romanzo fungendo non solo da piacevole contrappeso alla tensione narrativa derivante dall'indagine poliziesca ma diventando anche parte integrante di essa.
Non è difficile immaginare infatti che se da una parte questa piccola cittadina abbia goduto dei vantaggi economici derivanti dall'enorme afflusso turistico, dall'altra abbia perso una propria identità, diventando essa stessa il riflesso delle ninfee di Monet:
"Chi si sognerebbe di andare a vivere altrove? Un paese così bello... Ma le dico una cosa: è una scenografia cristallizzata, pietrificata. C'è il divieto di decorare qualsiasi casa in maniera diversa, di ridipingere un muro, di cogliere un fiore. Dieci leggi lo proibiscono. Qua viviamo in un quadro, siamo murati vivi! Crediamo di essere al centro del mondo, siamo convinti che valga la pena di fare un viaggio per venire qui, ma alla fine il paesaggio, la scenografia ti cola addosso, come una specie di vernice che ti incolla alla scena. Una vernice quotidiana di rassegnazione, di rinuncia.. "
E non potrete non avvertire questa sensazione di prigionia, di arrendevolezza e remissività nei personaggi del romanzo, in particolar modo quelli femminili.
Sono tutti accomunati da una nota grigia, in aperto contrasto con i colori vivaci dei giardini che circondano la casa di Monet, come se quelle donne, giovani o adulte che fossero, non facessero parte di quel quadro, di quel paesaggio: tutte desiderose di evasione, di libertà, di una vita che non fosse quella dipinta per loro da un marito troppo geloso e possessivo o da una madre protettiva, una vita destinata inesorabilmente a spegnersi nel rimpianto delle occasioni perdute o di un amore soffocato sul nascere.
"Perchè fuggire? La risposta alla sua domanda è banale e vecchia come il mondo, è la malattia delle ragazze che si sognano diverse, la sete d'amore della Berenice di Aragon, la noia insopportabile della donna che peraltro non ha niente da rimproverare all'uomo con cui vive... Nessuna scusa, nessun alibi. Solo la noia e la certezza che la vita sia altrove, che da un'altra parte esista una complicità perfetta, che quei capricci non siano dettagli ma cose essenziali."
In Ninfee nere le vite stroncate non sono soltanto quelle delle vittime assassinate ma anche quelle private della loro essenza, della libertà di sognare e di trasgredire, incorniciate e rinchiuse senza via di scampo in un mondo apparentemente idilliaco ma realmente angusto e deprimente:
"Acconsento che si instauri il delitto di sognare.
Se sogno, sogno ciò che mi viene vietato
Mi dichiarerò colpevole. Mi piace avere torto
Agli occhi della ragione il sogno è un bandito."
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Noir nel paese di Monet
Questo giallo dalle sfumature noir ha fatto molto discutere, la vicenda ha visto pareri discordanti; secondo me si tratta di un eccellente lavoro, un intrigo accattivante con un finale che definire solo imprevedibile, è veramente riduttivo.
Siamo a Giverny in Normandia, piccolo e tranquillo paese dove ha vissuto e dipinto il grande Claude Monet, qui l’artista ha prodotto numerose delle sue stupende ninfee. Questo sereno e grazioso villaggio è spesso meta di turisti e curiosi, amanti dell’arte e del grande artista. A rompere la serenità del mondo idilliaco di Giverny è un cruento omicidio, un cadavere brutalmente ucciso, trovato in aperta campagna; viene chiamato l’ispettore Sérénac che grazie all’aiuto del suo assistente Sylvio, cerca di risolvere il mistero che da subito si presenta complesso; il lettore si trova immerso in un intreccio dei più articolati, costruito in modo magistrale, dove molte piste appaiono per poi scomparire, un dedalo che disorienta il lettore, un puzzle che solo alla fine si ricompone, allora improvvisamente tutto torna e si capisce la geniale costruzione. Si succedono colpi di scena, personaggi particolari dai contorni non ben definiti, non si capisce bene chi menta o dica la verità, magari per coprire un altro; inoltre ci sono le famose tele di Monet, Ninfee Nere, che l’artista avrebbe dipinto poco prima di morire, sparite o rubate. In alcuni momenti sembra di vivere in un sogno, data l’atmosfera irreale e cristallina, in altri siamo in un incubo. Tra i numerosi personaggi, spiccano tre donne di età diverse, una bambina amante dell’arte e particolarmente capace nel disegno, una giovane maestra, bella ma dallo sguardo perso e sofferente, una vecchia acida e sola, caratterizzata dalla fissazione irrefrenabile dello spiare le vite degli altri. Viene attentamente descritto il paese di Monet, con i suoi paesaggi e angoli deliziosi, citate le vie e le piazze, ma in questo gioiello si aggirano personaggi spesso ambigui, come se volessero nascondere qualcosa.
Con uno stile barocco e coinvolgente, lo scrittore alterna descrizioni a monologhi interiori a volte non immediatamente comprensibili, non mancano le scene cruente, le visioni oniriche e il ritmo che accelera fino a diventare incalzante, specialmente nel finale.
Sicuramente da leggere.
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Vite rese.
Giverny. Tre donne. Una, la più anziana, ha ottantaquattro anni, è quasi vedova, veste sempre in nero, è la più determinata, vive nel tornione di un grande mulino in riva ad un ruscello sul Chemin du Roy e possedeva un quadro. La seconda ha 36 anni, si chiama Stephanie Dupain, è insegnante, non ha mai tradito il marito eppure si trucca per l’amante e adora l’arte. La terza, di anni 11, si chiama Fanette Morelle, vive con la madre in rue du Chateau, sa dipingere molto bene, gira per la cittadina con svolazzanti trecce e tutti ne sono innamorati tanto è irresistibile il suo fascino. Tutte e tre vogliono andarsene dalla ville dei pittori, ma chissà se almeno una di loro ce la farà? Un omicidio ab initio ed un altro a conclusione, in un arco temporale di soli 12 giorni; dal 13 al 25 maggio 2010.
E’ con queste premesse che ha avvio il romanzo di Michel Bussi, un romanzo che nel mistero ci invita a riflettere sulla vita a domandarci se esiste un ufficio per quelle esistenze rese, trascorse, inesorabilmente perdute. Un elaborato che sulle tinte di Claude Monet si apre con un delitto, quello di Jerome Morval, oftalmologo casanova del luogo, che viene rinvenuto privo di vita con una triplice modalità di assassinio. L’ispettore Laurenç Sérénac, occitano motociclista finito in Normandia per mettere quanti più chilometri possibili tra lui e la sua famiglia, è investito del caso. Al suo fianco un braccio destro preciso e meticoloso interpretato dalla figura di Sylvio Bénavides e una squadra pronta a seguire le sue direttive, anche le più folli, le più visionarie (quali requisire tutti gli stivali della cittadina). Le indagini hanno così principio in quella che è un’alternanza di io narranti, di ricerche storiche ed artistiche, di pezzi di un puzzle che non vuol combaciare.. Seguire l’istinto? Oppure, arriva a chiedersi Laurenç, ha preso una cantonata perché i suoi sentimenti sono offuscati da quegli occhi color malva che tutto il paese non può far a meno di amare (marito geloso marcio compreso)?
E così, pagina dopo pagina, il lettore/Laurenç segue quegli indizi disseminati qua e la, si fa rapire dalle ambientazioni, dal laghetto di Monet, dalla ricostruzione della sua vita, delle sue opere, della sua famiglia, credendo, dopo aver seguito quella pista di molliche alla Hansel & Gretel, di aver capito tutto, di aver scovato l’artefice del/dei misfatto/i ed invece…. Invece no! Proprio quando i giochi sembrano essere fatti, ecco che Bussi rimescola tutte le carte in tavola, sorprendendo chi legge con un epilogo che non delude e che al contrario fa venire meno quelle sensazioni di deja-vu che gli amanti del genere possono aver provato durante lo scorrimento delle vicende. D’altra parte, chi di gialli ne legge tanti, non può far a meno di individuare nello stilato de qua delle similitudini con i caratteri comuni di molte di queste opere. La sua bravura è quella di saper sfruttare il potenziale, la base della sua storia al massimo, sorprendendo.
Avvalorato da una penna fluente ed accattivante, ambientazioni suggestive, un enigma tutto da scoprire che intriga dalla prima all’ultima battuta, “Ninfee nere” si dimostra essere un elaborato che funziona, ben strutturato e che sa far ben leva su quelle che sono le sue potenzialità sottese. Forse, un po’ lento nella parte centrale, ma d’altra parte lo scrittore come avrebbe altrimenti potuto sviluppare la sua indagine? Bussi ha saputo ben giocare le sue carte, dimostrandosi un ottimo regista.
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Ninfee un po' sbiadite
Ci ho messo un mese a leggere Ninfee Nere, sebbene non sia un tomo da 1000 pagine. Il problema a mio avviso sta nella lentezza della storia e nella mancanza di quel brivido che mi aspetto da un romanzo giallo. I personaggi principali, in particolar modo il poliziotto "bello e tenebroso", sono un po' troppo stereotipati e li ho trovati talvolta irritanti nei loro cliché.
Tuttavia, il grande pregio di questo romanzo, che lo salva da una recensione più negativa, è il sorprendente finale, che mi ha molto colpito (non ci sarei mai arrivata!) e mette in luce il talento narrativo dell'autore.
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L'Ufficio delle Vite Perdute.
Esiste un ufficio delle vite perdute?
Convinta da un paio di recensioni folgoranti mi sono lanciata su questo romanzo giallo piena di aspettative. Che non sono andate deluse.
Va detto che il mio rapporto con il genere è ambiguo.
O meglio. Mi piacciono i gialli, ma non mi piacciono la maggior parte dei gialli che leggo; a mio avviso semplici pretesti per narrarci le gesta di “detective” belli & dannati/fatti & strafatti/tormentati & tormentanti, denunciare turpi realtà, ammannire ricette, metterci una bella (?) scena talamica, descrivere paesaggi e dialetti della nostra bella italia (e non solo) et similia.
Tutte cose carine, graziose e lecite, per carità.
Ma perché SEMPRE il pretesto del giallo che poi la gonza ci crede e si aspetta gli indizi, l’indagine, la trama che si dipana e poi ci rimane male?
Qui abbiamo un giallo ambientato a Giverny, Normandia, il buen retiro di Claude Monet.
Uno stimato medico del posto, appassionato di arte ed impenitente dongiovanni, viene ucciso brutalmente, a pochi metri dallo stagno delle ninfee.
Indaga il fascinoso (e a tratti un po’ troppo convinto del suddetto fascino) ispettore Laurenç Sérénac, occitano, finito in Normandia – pare – per mettere abbastanza chilometri fra sé e la sua famiglia. Al suo fianco l’immancabile ligio gregario, Sylvio Bénavides.
La storia viene narrata attraverso gli occhi di tre personaggi: una scorbutica vecchia signora (“La portinaia del paese. Un riccio senza eleganza”), una maestra bellissima ed inquieta ed una bambina piena di talento (ovviamente per la pittura).
Non sembra uno dei succitati stucchevoli cliché dei suddetti finti gialli?
Per dire Laurenç c’ha pure il giubbotto di pelle e gira in moto e diciamo che fa qualcosa più di un pensiero poco casto sulla maestra che, da parte sua, non sembra schifata dalla cosa.
Invece no.
Va detto che come giallo non è completamente “onesto”, ma ha quello che ai miei occhi è un merito straordinario: che ad un certo punto hai l’impressione di aver capito tutto (e ti senti anche intelligente per questo, ma sbuffi annoiato "un ecco lo sapevo!").
E Invece no.
Ma proprio no.