Made in Sweden
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Quei bravi ragazzi
Romanzo sviluppato intorno a tre fratelli, più il loro amico d'infanzia. I quattro si considerano come fratelli e si proteggono l'uno con l'altro. Sono come un guscio infrangibile che si muove compatto verso scelte di vita a dir poco discutibile, tanto che poco più che ragazzi diventano rapinatori di banche. Il libro salta dal presente al passato svelando una tragica storia di violenza domestica e di un padre che mette in ombra la vita di Leo, Felix e Vincent. Come i fratelli, detective John Broncks, proviene da un ambiente simile e, come loro, la violenza domestica è scoppiata in tragedia familiare.
Leo coinvolge Felix, Vincent e amico d'infanzia di Jasper, nello svolgimento rapine mozzafiato; pianificato con precisione, intrapreso con nervi e con un piano a lungo termine di diventare finanziariamente indipendenti. Tutto accuratamente pianificato tanto da far confondere i detective che non immaginano di avere a che fare con rapinatori dilettanti. Tuttavia, alla fine, l'euforia iniziale di successo, a poco a poco comincia a disfarsi. Il rapporto di Leo con la sua ragazza è sotto sforzo, Jasper è diventa consapevole del fatto che non condivide i legami di tre fratelli e Leo non può resistere a tornare in contatto con il padre che ha messo in ombra la sua vita. Mentre gli uomini progettano sempre più audaci rapine, tensione sale e le relazioni sono testati. Il guscio comincia ad incrinarsi.
Lo stile pecca di verve, così com'è stato evidenziato da altri. La lettura è a tratti accattivante ma non mi ha catturato completamente. Mi è piaciuto come è stato affrontato il significato della famiglia, al di la delle regole e della legge. Di come Leo nonostante l'odio nei confronti del padre non riesce ad allontanarsi da lui. Riadattando le parole di grande cantautore italiano Leo "ha portato come un lutto il suo sangue nelle vene, ma il suo cuore per dispetto gli voleva ancora bene"
Ho trovato questo un libro interessante anche considerando che il co-autore di questo romanzo è. John Broncks aggiunge un'immagine quasi speculare del fratello maggiore, Leo. Un uomo che ha lottato con molti degli stessi demoni e la cui comprensione dà la trama una dimensione supplementare.
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(Noia) made in Sweden
Romanzo ispirato a una storia vera che ebbe come sciagurati protagonisti alcuni consanguinei di Stefan Thunberg, ovvero uno dei due autori.
Opera redatta a quattro mani con Anders Roslund e imperniata sulle attività illegali di tre fratelli: Leo, Felix e Vincent, criminali in erba abili a sfruttare il furto di numerose armi da fuoco da un deposito dell'esercito svedese. All'affiatato trio si aggiungono il bellicoso Jasper e la sognatrice Anneli, rispettivamente amico d' infanzia e compagna di Leo, ovvero il leader carismatico della gang.
Le attinenze suggerite -neppure troppo velatamente- con il nostrano "Romanzo Criminale" sono nulle o quasi. Con lo scritto di Giancarlo De Cataldo i punti di contatto sono minimi, inoltre la differenza qualitativa è indiscutibile.
I parecchi personaggi vengono regolarmente ben presentati per poi essere lasciati al loro destino, quello racchiuso in stereotipi tipici del filone poliziesco, senza però l'offerta di adeguate sfumature in grado di prendere le distanze da un quadro manicheo.
L'introspezione è blanda, latita anche laddove una scrittura meno distaccata avrebbe trovato terreno fertile per gli approfondimenti atti a creare quell'"immorale" empatia che spesso si materializza in questo genere di libri tra lettore e il malavitoso. Esempio lampante sono i flashback risalenti all'infanzia dei giovani, l'ingenuità e la vulnerabilità dei ragazzi lasciano impassibili, non inteneriscono nè rendono più umani questi clichè cartacei.
Gli autori vorrebbero poi giustificare la predisposizione alla violenza con la presenza del feroce padre-padrone Ivan, manesco con la moglie e autoritario coi figli, vaneggiante nel suo ideale famigliare regolarmente rovinato da ingenti dosi di aggressività acuita dagli eccessi alcolici. Ma la deviata figura paterna non funziona, anch'essa troppo risaputa e poco imponente per incidere.
Il romanzo è poi annacquato nella descrizione delle rapine alle banche. Le azioni sono prive di particolare verve, inframezzate da passaggi barbosi e sciatti nel riassunto di una normalità dietro cui i rapinatori vorrebbero celarsi.
Anche gli antagonisti peccano di debolezza: John Broncks è un poliziotto senza carisma, anonimo, non uno di quei loser per i quali si simpatizza, personaggio che da teoricamente focale diventa invisibile per mancanza di interesse nei suoi confronti. A salvarsi per il rotto della cuffia c'è giusto il rapporto conflittuale tra Leo e il padre, sicuramente interessante nell'urgenza dell'uomo di riscattare - ovviamente a suo modo- gli errori del passato.
"Made in Sweden" si rivela come un polpettone noir senza la giusta dose drammaturgica, prolisso e troppo sfilacciato, appena sufficiente nell'alternare i rarissimi momenti mozzafiato a passaggi intimisti di bassa lega. Il finale affrettato poi, suggella il colpo di grazia.
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Nuova sindrome di Stoccolma: scrivere polizieschi
“Made in Sweden” è un altro albero (sacrificato, anche per numero di pagine) nella selva dei romanzi nordici a sfondo poliziesco.
Anders Roslunf e Stefan Thunberg romanzano le imprese delittuose di tre fratelli che negli anni ‘90 imperversarono nella cronaca nera. Leo, Felix e Vincent - così si chiamano i protagonisti dell’opera - sono figli di un immigrato slavo (“È mezzo serbo e mezzo croato. E la mamma è svedese. E io… sono per un terzo svedese”), che li educa alla difesa e all’offesa con metodi sommari contro il parere della moglie (“Possiamo parlare coi loro genitori. Parlare, Ivan. Risolvere questa storia”), prima vittima dell’aggressività dell’uomo.
Con l’amico Jasper, personalità soggiogata alla leadership di Leo, i tre fratelli s’impadroniscono di un arsenale militare (“Sistemi di comunicazione. Imbracature militari. Armi automatiche”), assaltano un portavalori in modo clamoroso (“Ma in TV hanno detto che avete rubato un milione.” “E ne abbiamo persi nove”), rapinano banche…
I narratori si sforzano di ricercare – nell’ambiente sociale e nel nucleo familiare - le cause dei comportamenti devianti e ricorrono spesso a un’immagine: “Colpire dritto sul muso e danzare attorno all’orso, prevedere e aspettare che l’avversario abbia paura, raggiungere il punto in cui si crede invincibile e dove dunque è più debole, dove il caos travolge l’ordine e basta un mirato atto di violenza per sradicare ogni certezza e sostituirla con la più totale confusione. In quella fessura della realtà, lui agiva.”
Del caso si occupa John Broncks, un commissario che ha dimestichezza con i casi di violenza familiare e che ha la prontezza di leggere nei pochi elementi a sua disposizione utili indizi (“Chi infonde terrore in questa maniera? Chi usa la paura in questo modo? Qualcuno che a sua volta ne è stato vittima”) che consentano di smascherare i malviventi, impegnati a mettere a segno i loro colpi con tanto di “trucco e parrucco” (“Arabi?”).
Al di là della mole, o forse anche per la mole del libro, in me ha predominato una netta percezione di déjà vu… Ma quanti polizieschi scrivono questi svedesi? Oramai è un getto continuo! E pensare che la Svezia ha dato i natali ad autori come Strindberg e a registi come Bergman!
Bruno Elpis
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