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Lettera al mio giudice

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Una ragazza minuta, pallida, arrampicata su alti tacchi, nella vita di un uomo "senza ombra", la cui esistenza, così normale, si avvicina sempre più al confine con l'inesistenza. Uno sprofondamento nelle oscurità della coscienza, dell'eros e del delitto.



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Lettera al mio giudice 2019-10-15 09:01:14 Scavadentro
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Scavadentro Opinione inserita da Scavadentro    15 Ottobre, 2019
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L'amore che tutto travolge

Ciò che contraddistingue un grande scrittore da un ottimo o buon scrittore è l'universalità della sua produzione. Nel caso di Simenon anche il lettore medio nota un narrato che immediatamente si eleva al di sopra del “genere” assurgendo a pura arte del raccontare vicende di un tale spessore e significato, evidenziando qualità del romanzo che lo rendono unico e prezioso in se stesso. Questo testo del 1947 ha tali caratterisitiche: non ha come protagonista il Commissario Meigret (presente in ben 45 opere) e quindi non è riconducibile al “giallo” od al “noir”, ma è un monologo del personaggio principale che in forma epistolare si apre al “Suo giudice” mettendo a nudo la sua esistenza e la sua inadeguatezza alla vita ed all'amore, scavando nel passato per giungere alle motivazioni per le quali si è trasformato in assassino in preda ad un sentimento morboso e malato. L'autore belga dipinge il ritratto di un medico di campagna figlio di contadini, con madre umile e sottomessa ad un marito preda del bere e del dongiovannismo (che gradatamente erode i propri beni sino a suicidarsi). Charles Alavoine viene abituato sin dall'infanzia a vivere secondo i desideri degli altri. Egli diviene medico (l'alternativa materna era il ruolo di prete) , padre, marito, vedovo, nuovamente marito. Si dedica alla caccia , al bridge, con l'anziana madre si trasferisce in una cittadina di provincia conformandosi, seguendo le convenzioni ma senza passione. Anche l'amore (l'obbligo di avere moglie) diviene un dovere e non certo un piacere, uno status sociale. Egli passa da una prima moglie silenziosa e devota (che morirà di parto) senza amarla, e ad una seconda (Armande) che gli viene imposta e quasi naturalmente diviene padrona della sua esistenza trattandolo come un bambino, organizzando la loro vita in una quotidianità nella quale il medico Charles Alavoine transita passivamente. In questo contesto giunge violento ed inaspettato l'incontro con una donna dal passato torbido, Martine, che gli farà “ritrovare la sua ombra perduta” ma che a causa del sentimento forte e passionale instaurato lo travolgerà sino al delitto ed alla perdizione. Nell'incipit il protagonista svela in fondo il desiderio di confessare, di farsi comprendere, di motivare il suo gesto e le sue scelte scellerate, la sua morbosità, la sua ossessiva gelosia, a colui che è “Giudice” dando al termine un'accezzione quasi religiosa. Il protagonista non vuole assoluzione né pensa di meritarla, ma chiede comprensione ( “Vorrei tanto che un uomo, un uomo solo mi capisse. E desidererei che quell’uomo fosse lei”). Da sottolineare come lo stesso Simenon sia stato nella sua vita un personaggio noto per essere un "playboy" e “traditore” delle sue compagne ufficiali, soprattutto nella seconda parte della sua vita: egli stesso dichiarava senza pudore di aver avuto rapporti sessuali occasionali (spesso più di una volta al giorno) con circa diecimila donne. Oggi un tale atteggiamento sarebbe non solo censurabile, ma darebbe la stura a decine o centinaia di procedimenti civili e morali contro uno scrittore che dichiarava di considerare il sesso “indispensaible come respirare”... Mi limito a apprezzare l'opera anche in un contesto temporale assai diverso da quello odierno. In definitiva un romanzo psicologico di alto livello e magistralmente scritto.

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Lolita
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Lettera al mio giudice 2016-05-30 21:09:16 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    30 Mag, 2016
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L'uomo senza ombra...



Un grande Simenon...
Era da tempo che rimandavo la lettura di questo libro, senza un vero motivo, senza sapere che nulla accade per caso, senza sapere che il momento giusto per leggerlo era "adesso"...perché la "me" di qualche anno fa non avrebbe potuto capire, non avrebbe potuto apprezzare, non avrebbe potuto cogliere quanto di profondo c'è in questo romanzo.
Il flusso di coscienza da parte di un uomo impreparato all'amore, incapace di gestirlo perché per troppo tempo abituato ad essere ciò che gli veniva chiesto di essere, senza riconoscersi in quel ruolo, senza provare amore.
Il nostro uomo ha una moglie, due figlie, avventure senza importanza, una madre, una casa confortevole, un lavoro da medico, ma ha perso la propria "ombra"...
Come ci si sente ad essere privati della propria ombra quando tutti intorno a te ne hanno una?
E cosa succede se un giorno, per caso, quell'ombra ritorna nelle sembianze di una donna?
Succede che quando pensa di averla ritrovata, è così felice, stordito, da divenire ebbro di un sentimento che non sa maneggiare, e per la troppa paura di perderla inizia a perdere il contatto con la realtà, il senso delle cose, della misura, la gelosia lo divora...e l'amore diventa ossessione, malattia.
Vuole possedere non solo la sua persona, ma anche il suo passato, la sua infanzia...e non riesce ad accettare niente di quello che c'è stato prima di lui.
E i fantasmi lo inseguono ovunque...la "lei" che era prima d'incontrarlo lo acceca, lo tormenta...
Martine è una donna/bambina, con con voragini di "non amore" nel suo passato che cerca di colmare con cocktail, sigarette e uomini sbagliati, con il ventre "squarciato" fino all'ombelico.
Lei è la sua ombra ritrovata.
Con questa lunga lettera destinata al giudice del processo che lo vede imputato, il protagonista, Charles, ci parla di sé, della sua vita, del suo passato, dei suoi tormenti interiori, ma non cerca discolpa, niente giustificazioni, anzi...cerca di farci capire le sue motivazioni, rivendica la sua sanità mentale, il suo diritto ad esprimere con le parole...tutta la sua miseria.
Perché di questo si tratta.

"Siamo arrivati fin dove abbiamo potuto.
Abbiamo fatto tutto quello che potevamo.
Abbiamo voluto l’amore nella sua totalità."

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Lettera al mio giudice 2015-10-26 15:59:41 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    26 Ottobre, 2015
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L’assassino si racconta

Che un condannato scriva al suo giudice, con cui ha condiviso le lunghe ore della fase istruttoria, è di per sé inconcepibile, oltre che impossibile, ma se la lettera indirizzata al magistrato è un quadro della propria esistenza, pressoché a uso e consumo di chi la stila, ecco la cosa è più plausibile e se l’autore è poi Georges Simenon la questione si fa interessante, perché nessuno come lui è bravo nello scendere nella psiche umana, mettendone a nudo tutte le caratteristiche più nascoste. Non c’è romanzo in cui il narratore belga non pratichi questa indagine, che finisce con l’essere un’indagine nell’indagine di quella basata su fatti, circostanze, indizi e testimonianze che svolge normalmente la polizia. Lettera al mio giudice sconvolge un po’ il modus operandi dell’autore, per più di un elemento. Infatti il romanzo inizia con una lettera che un condannato per omicidio scrive dal carcere al giudice istruttore, per poi diventare una vera e propria narrazione da parte di lui stesso, il che lascia intendere che egli compia una sorta di autoanalisi; inoltre, se normalmente, sia che si tratti di giallo che di noir, c’è un omicidio e poi la ricerca dell’assassino o i comportamenti di questi per sfuggire alla cattura, qui i giochi sono già stati fatti, e direi che si inizia da quella che è comunemente la fine per arrivare poi al delitto.
Si tratta quindi di una scommessa stilistica, d’impostazione e di struttura, a dir poco ambiziosa, la cui realizzazione non è per nulla facile, anche per un maestro come Simenon, e in effetti, a mio avviso, l’obiettivo non viene raggiunto del tutto, anche perché se l’impianto sta in piedi, inevitabilmente viene a essere gravato prima dalla forma a cui é ricorso, la lettera, e poi dalla narrazione in prima persona. Oh, intendiamoci, non è che la grande capacità di introspezione venga meno, che diventi carente quel notevole valore aggiunto di saper così ben delineare l’ambiente e l’atmosfera, di cogliere nei confronti dei personaggi quelle loro debolezze che possono muovere a un sincero senso di pietà. Quello che invece finisce con l’essere un elemento, se non negativo, almeno non positivo, è l’inevitabile grevità del testo, il suo ritmo per lo più lento imposto dalla scelta stilistica, e questo tuttavia senza nulla togliere alla valenza dell’opera, ragguardevole senz’altro, ma non di livello così elevato come in altri casi, perché un conto è una scrittura profonda, e ciò nonostante capace di appagare senza gravare più di tanto sulla gradevolezza, altro conto invece è non rendere facile e piacevole la lettura. Peraltro sono presenti alcune incongruenze, nel senso che non si riesce ben a comprendere come sia possibile che la vita di un uomo coniugato e tutto sommato semplice, anzi quasi umile, venga sconvolta fino al parossismo dall’incontro, e relativa relazione, con una giovane donna; da ultimo mi spiace dover rilevare come nell’ ultima trentina di pagine ci sia un’improvvisa accelerazione del ritmo del rapporto amoroso, di difficile comprensione rispetto all’andamento senz’altro più quieto che fino a quel momento lo caratterizzava. Piccolezze, mi si potrebbe obiettare, ma da uno come Simenon che ha scritto così tanti capolavori è lecito attendersi un prodotto perfettamente confezionato. Ciò non toglie che il libro possa essere meritevole di lettura, se non altro per la fine analisi psicologica dei due personaggi, la cui fragilità è indubbia, tale da poterli definire degli immaturi.

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Lettera al mio giudice 2015-06-16 12:20:08 SARY
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SARY Opinione inserita da SARY    16 Giugno, 2015
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Confessioni

Confesso a Lei, signor Giudice, chi sono e cosa ho fatto. Lei e io ci intendiamo, Lei non lo sa ancora che un filo invisibile ci lega, lo vedo io, seduto da questa parte della sbarra. No, non si deve spaventare, mi ascolti bene signor Giudice.
Il vuoto, lo straniamento, l’acuta percezione delle cose, dell’altra. Affrontare con furia animale l’amore sazia, placa quel senso di smarrimento misto a malinconia che pressa sul cuore e spezza il fiato. Possedere ingordamente, fondermi in un tutt’uno, divorare la carne, controllare la mente, uccidere il passato indegno dell’amata mi rende felice, ci rende felice, io e Martine. Sì, la mia Martine vuole che io sia così, assumiamo comportamenti che non sono cristiani e ci perdiamo in un’unione totale di beatificazione e tormento. Parlo al presente certo, deve essere così.
Signor Giudice, io sono in grado di intendere e di volere e non sono vittima di raptus, premedito, medito e stramedito, l’amore è passione, passione è calvario, calvario è sacrificio, sacrificio è liberazione. Non è solo una ricerca del piacere che ci ha condotto a questo, è molto di più, come posso spiegarLe? Si può amare da morire?
Caro signor Giudice, mi assolva inter nos, ho seguito il mio istinto, ho assecondato la mia natura, il desiderio nascosto di Martine, nulla di più e nulla di meno, per l’umanità sono da condannare, ma io, signor Giudice, sono innocente.

Tra queste pagine è difficile non oltrepassare la sottile linea che separa la follia dalla normalità. Quando la vittima diventa complice? Un amore assoluto, straziante e malato. La gelosia morbosa verso il passato, il presente e il futuro. La lucidità da sudori freddi. Un sentimento travolgente che porta in un mondo sconosciuto, pericoloso e letale.
Concludendo, penna sapiente, contenuto scioccante, le pagine volano ma resta un senso di malessere.

“Non sono pazzo. Sono soltanto un uomo, un uomo come gli altri, ma un uomo che ha amato e sa cos’è l’amore. Vivrò in lei, con lei, per lei, finché mi sarà possibile, e se mi sono imposto questa attesa, se mi sono imposto quella specie di farsa che è stato il processo, è perché lei deve continuare a vivere in un altro, a qualsiasi costo.”

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Lettera al mio giudice 2014-03-08 09:35:21 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    08 Marzo, 2014
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Felici da morire

“Il grande problema, quello cruciale, era capire perché ci amavamo”.
Due solitudini che si riconoscono, due psicopatologie che si incastrano alla perfezione realizzando un legame mortifero.
Si sentono i palpiti dell'amore in questo romanzo, ma sono inesorabili come la morte.
Con stile fluido ed essenziale Charles - protagonista di una storia inventata nella trama ma di sicuro autentica nelle sensazioni - scrive dal carcere al suo giudice una confessione a cuore aperto, avendo ravvisato anche in lui quella zona d'ombra che gli appartiene, quell'angolo oscuro dove va talvolta a rifugiarsi la libertà frustrata, fuori dai condizionamenti che gli altri ci impongono.
Charles è medico, padre e marito senza che lo abbia mai davvero scelto, e si ritrova a vivere in una città di provincia accettando il ruolo che qualcun altro gli ha cucito addosso.
Le avventure extraconiugali che si concede ogni tanto (non ha mai amato né desiderato la moglie) non bastano a colmare un senso di vuoto che è quasi vertigine, un anelito di vita vera che non può più essere ignorato.
L'incontro con Martine, giovane donna più civettuola che bella, possiede la forza fatale e travolgente degli eventi casuali.
La rivelazione avviene dopo un amplesso consumato in uno squallido alberghetto, quando l'uomo passa dall'indifferenza ad uno stato di estrema consapevolezza:
“Ho amato d'un tratto tutto il suo corpo, di cui sentivo i minimi fremiti”.
Sono i fremiti di un'angoscia profonda che ha portato la ragazza a darsi compulsivamente a numerosi uomini ricercandone le attenzioni, senza trarne peraltro alcun piacere.
Ma ora che l'assenza di lei è diventata perfino dolore fisico Charles la vuole solo sua, innocente e bambina, e picchia con furia la sgualdrina che potrebbe ancora essere, ne scaccia l'immagine immonda, mentre Martine, groviglio inestricabile di sensi di colpa, si sottomette remissiva.
Dopo, tornata pura come lui la vuole, trasfigurata dalla passione, la stringe tra le braccia “con infinita dolcezza” e ne consola tutte le paure, conoscendone esattamente l'origine (d'altronde non c'è più niente che ignori della sua vita).
Stretti l'uno all'altra, affrontano i fantasmi del passato di lei che ossessionano la mente di lui:
“Non sapevamo dove stavamo andando ma non potevamo andare altrove”.
Seguire le riflessioni dell'io narrante porta ad una visione chiara del suo punto di vista, talmente chiara che a volte i suoi pensieri allucinati ingannano, passando al lettore come se avessero una logica, mentre dalle pagine emerge un sentimento doloroso, divorante, paradossale.
E' l'amore di un folle, è la follia dell'amore:
“Eravamo felici da morire, Martine e io”.

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Consigliato a chi ha letto...
Romanzi a sfondo psicologico.
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Lettera al mio giudice 2014-02-18 20:56:32 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    18 Febbraio, 2014
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Una scommessa letteraria

A motivare Alavoine, medico generico di una cittadina francese, a scrivere al “suo” giudice è il senso di delusione. Non la delusione di essere stato condannato per omicidio, ma anzi il contrario: che lo stesso giudice istruttore abbia fatto trapelare la considerazione secondo cui ritiene quel reato non commesso con premeditazione.
Se è così, allora quello che l'omicida ha messo in atto, e che dipende direttamente dalla vita che ha condotto, non potrà essere compreso da nessuno... e per Alavoine è un'idea insopportabile: “cerchi di capire, per favore. Non faccia come quelli che si sono occupati del mio caso, come quella giustizia che lei serve e che nel mio delitto non ha voluto vedere nulla di ciò che contava realmente”.
La lettera al “suo” giudice, allora, è il pretesto per ricostruire l'antefatto di quel delitto, l'unico commesso e forse l'unico che poteva commettere un onesto medico di paese come Charles Alavoine. E l'antefatto è l'intera sua vita, a partire dal rapporto con la comprensiva madre, poi con la remissiva e sfortunata prima moglie Jeanne, che gli darà due figlie, e con la volitiva e “chirurgicamente” prevaricatrice seconda moglie, Armande, fino ad arrivare alla fragile ed incompiuta Martine, la donna che, da lui incrociata per un casuale capriccio del destino, gli sconvolgerà la vita (per la verità, lo sconvolgimento sarà reciproco).

La scommessa iniziale di Simenon stuzzica, e molto: raccontare una vita non attraverso la “classica” narrazione dei fatti, bensì per mezzo di una lettera-confessione indirizzata a un destinatario per nulla scontato.
Tutt'altro che scontata, se ci si pensa, è anche l'idea che uno scrittore (Simenon o chiunque altro) possa riuscirci. Difatti il nostro autore in questo sembra fallire: quel giudice Corneliau che nella prima parte del racconto viene considerato dal condannato come un vero e proprio interlocutore – e dunque pienamente coinvolto nell'analisi di Alavoine – poco a poco è messo ai margini, essendo evocato più come uno spettatore del resto della vicenda.
Intendiamoci: la scommessa era davvero ambiziosa. E comunque non si può dire che sia, per Simenon, totalmente persa: difatti il monologo “aperto” del protagonista viene comunque sostituito, in progressione, da una storia raccontata in modo ammirevole. George Simenon è un gigante dell'introspezione: le pagine che approfondiscono l'inizio del rapporto tra l'uomo-bambino (per un senso) Alavoine e la donna-bambina (per altro senso) Martine esprimono un senso di coinvolgimento misto a tenerezza in un modo assolutamente ammirevole.
Sono il prima e il dopo, tuttavia, a destare qualche perplessità (almeno per chi è più attento all'analisi dell'animo umano): non appare del tutto conseguenziale che la vita coniugale di Alavoine debba portare a quel tipo di evoluzione personale determinata dall'incontro con Martine, così come le ultime venti-trenta pagine – in cui l'amore possessivo e carnale dei due evolve in qualcosa di diverso – sembrano “accelerare” notevolmente rispetto al ritmo sino allora mantenuto.
In ogni caso un libro da leggere, se non altro per l'analisi psicologica e umana sui personaggi principali del romanzo, sulle loro ossessioni e fragilità e sul conseguente modo in cui le stesse si rapportano e si combinano (oppure si mancano).

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Lettera al mio giudice 2013-09-08 08:16:43 gracy
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gracy Opinione inserita da gracy    08 Settembre, 2013
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Confessione di un uomo senza ombra …signor giudice

“Come potevo spiegarle che si può essere felici e soffrire? Eppure queste due parole vanno naturalmente in coppia, e io non avevo mai sofferto veramente prima che Martine mi rivelasse la felicità.”

Affilato come una lama, impressionante come un tuono a ciel sereno, Simenon anche questa volta tira fuori tutto il nero che si cela nell’anima di chi vive la vita in bilico tra la ricerca della felicità contemplando la propria esistenza nel baratro dell’inesistenza e del vuoto.
Lettura serrata, sofferta e accorata come solo Simenon sa creare.
Ritorna sempre il fantasma delle donne che incarnano responsabilità profonde nella vita degli uomini che vivono l’amore come sofferenza, sottoforma di repulsione dei valori e del rispetto, come una sfida da combattere, come avversione da sopprimere.

Charles Alavoine, medico apparentemente tranquillo, è un uomo che scrive una lettera al giudice che ha curato il suo processo e lo fa sottoforma di una confessione intima, molto profonda e molto sentita, proiettando tra le pagine i suoi veri sentimenti, quelli della sua vera anima e della sua vera deviazione che lo hanno portato a commettere un reato per un amore insano. Quella folle malattia che è la gelosia mista a un’ignota forza incontrollata, senza raziocinio, senza scampo solo perché ha avuto sete, per la prima volta Charles aveva avuto sete di una vita diversa, una vita che per qualche ora gli aveva concesso la sensazione di infinito. Tradire con accanimento per ritrovare ad ogni costo la sua ombra, mirare in alto e aspirare a un amore proibito, inspiegabilmente radicato, fino a quando compare la piccola e gracile Martine…
Martine… così giovane, così instabile e volitiva, così normale e così importante per quell’uomo che si impossessa della sua anima e dei suoi respiri, così legata e completamente perduta nell’ombra di quell’uomo che vive nell’ombra della Martine che doveva sopravvivere per amore…solo per amore.
Una storia amara, assurda, senza scampo che porterà Charles a esaminare dettagliatamente i suoi gesti, le sue scelte e la vera disperazione senza nessun appello, ma bisogna leggerlo per poter capire questa terribile lettera.

Simenon …..il tormento dei tuoi personaggi è il tuo tormento ed è sempre un’esperienza che difficilmente si dimentica.

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Lettera al mio giudice 2011-10-26 14:28:44 lella gritti
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lella gritti Opinione inserita da lella gritti    26 Ottobre, 2011
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La passione del conformista

Comincio qui un percorso di analisi e recensione di alcuni libri di Simenon che ho chiesto alla redazione di inserire su questo sito.
Simenon - purtroppo! - è conosciuto soprattutto per il personaggio di Maigret, tanto pubblicizzato da tv (Gino Cervi) e film (un po' meglio, J. Gabin). Ma Maigret è moooolto meglio nei libri!
A parte ciò, Simenon è soprattutto un raffinatissimo scrittore, indagatore dell'animo umano come pochi. Capace di scrivere con grande facilità e, allo stesso modo, riuscendo a comunicare con il lettore con altrettanta facilità. E riuscendo da subito a penetrare in profondità nelle emozioni di chi legge.

"Lettera al mio giudice" è uno degli esempi più calzanti di quanto ho osservato fin qui a proposito di Simenon.
Il romanzo è effettivamente una lettera che un medico (il dottor Charles Alavoine) scrive al giudice che lo ha condannato per l'omicidio della sua amante. Identificando in lui l'unica persona più simile a sè e per questo capace di capire fino in fondo il suo gesto, la sua colpa. Charles racconta al giudice la storia della sua vita, molto conformista e determinata più dagli altri (la madre prima, la seconda moglie poi...) che da se stesso. Ma le passioni ribollono sul fondo e risulteranno tanto più esplosive e catastrofiche quanto è stata piatta la sua vita fino all'incontro casuale con Martine con cui intreccia da subito una relazione. Il suo rapporto con Martine farà decisamente saltare tutti i suoi codici di comportamento che, adesso si scopre, erano solo apparenza. E la passione e la paranoia dilagheranno fino a rasentare la follia... e al gesto estremo.
Ogni altra parola potrebbe sminuire questo grandissimo libro. Vi farà innamorare di Simenon.

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