La verità su Bébé Donge
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Chi è la vittima e chi è il colpevole?
Quando ho letto questo testo di Simenon mi sono posto un quesito relativo non al romanzo, ma all'autore. Egli, noto appassionato del genere femminile, ha passato una vita a corteggiare e “consumare”, non celando questa sua “debolezza” cronica. Curiosamente il suo personaggio più noto, il Commissario Meigret, è affiancato da una figura fissa (la moglie) alla quale è fedele. Nei lavori ove non compare il commissario, tutti i ruoli maschili sono caratterizzati da mariti che si concedono amanti più o meno frequentemente, spesso con la passiva accettazione da parte delle consorti. In questo romanzo breve le figure principi sono Francois e la moglie “Bébé”. Il punto di partenza è costituito da un tentativo di avvelenamento maritale che una domenica di fine estate la donna mette in atto aggiungendo arsenico al caffè, servito in giardino alla presenza del cognato, della sorella (hanno sposato due fratelli) e della madre. L'uomo riesce ad accorgersi di quanto in atto (è un chimico) e con lucidità riesce a salvarsi tramite lavande gastriche. Ovviamente viene ricoverato. Inevitabilmente la consorte viene arrestata e con assoluta calma non solo confessa il gesto, ma conferma una premeditazione. Qui Simenon comincia “l'analisi”. François mentre è convalescente, non si lascia andare a sentimenti di odio verso la moglie. Cerca viceversa di comprendere le motivazioni profonde di Bébé. Nel farlo si rammenta la loro vita comune, partendo dal loro primo incontro a Royan, dieci anni prima, ripercorrendo le tappe sia del loro rapporto sia della loro situazione economica, sempre più florida e ricca. In questo processo (con una lenta ma consapevole autocritica) egli si sfila dal ruolo oggettivo di vittima, assumendosi le colpe e la responsabilità di aver portato Bébé a tentare un avvelenamento. Nel suo io profondo si rende conto di aver agito non tanto o solamente per accrescere il benessere reciproco, ma da marito egoista, assorbito nel suo ruolo di imprenditore di successo sempre più ampio. Si accorge di aver fatto prevalere l'io sul noi. Anche le amanti l'hanno fatto sentire importante, deluso dalla “freddezza” si Bébé la quale non “sa fare l'amore”. Nella solitudine della stanza in clinica, riesce a giudicare con chiarezza il loro matrimonio. Esso è divenuto una piatta abitudine in un clima di rassegnazione alto borghese, ove la moglie è conscia delle avventure del marito che accetta facendo finta di nulla. Al termine di questa introspezione capisce che Bébé non era una donna gelida e insensibile, come aveva superficialmente inteso, ma che il suo amore era puro e a causa di questo sentimento aveva messo in atto l'avvelenamento. Sentendosi quindi responsabile della crudeltà morale in cui l'ha tenuta decide di perdonarla. Questo suo atteggiamento non solo non viene condiviso negli ambienti familiari e di lavoro, ma neppure il difensore della moglie riesce a comprendere il motivo che porta Francois a preoccuparsi del processo contro Bébé, portandolo al punto di seguire difesa legale con la speranza di una assoluzione. Ciò che egli decide, come un riscatto morale, è di aspettarla a prescindere dalla condanna. Un testo sulla “verità” sorprendente, che ribalta i ruoli da molti puni di vista. Notevole per temi e per l'epoca.
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Il rimorso
E’ una domenica d’estate, si pranza e i commensali sono i due fratelli Donge con le rispettive famiglie. La moglie di Francois Donge, Bébé versa i caffè per tutti, compreso quello per il marito che, appena l’ha bevuto, si precipita fra le mura domestiche in preda a violenti dolori. Si tratta di avvelenamento, con l’arsenico, e la vittima la scampa per miracolo; fin da subito è evidente che l’avvelenatrice è la moglie che, tradotta in carcere, rende ampia confessione, senza tuttavia spiegare i motivi del suo gesto. Del resto, anche Francois, mentre è ricoverato in ospedale, si arrovella per comprendere cosa possa aver scatenato la furia omicida della moglie e anticipo che troverà la risposta alle sue domande, al punto da perdonare la consorte, condannata a cinque anni di lavoro forzati, di cui lui attenderà con ansia la fine, sempre più convinto che l’insano gesto sia da attribuire al suo comportamento, in un matrimonio da subito fatto di abitudini, di gesti ripetuti con una passione solo iniziale.
Con queste premesse definire un giallo La verità su Bébé Donge mi appare inappropriato, perché in effetti ciò che interessa all’autore è di far capire al lettore il perché del tentato omicidio e così pagina dopo pagina, con ricorrenti flashback sul passato della coppia, emerge una storia di profonda solitudine, quella di una donna ridottasi ormai a essere un soprammobile e di un marito che non è mai riuscito a comprenderla perché non si è mai comportato da marito, né ha mai cercato di appurare i motivi della sua ritrosia nei rapporti sessuali. Solo dopo il tentato omicidio, casualmente, appurerà dalla sorella di lei di un fatto traumatizzante per Bébé quando era ancora bambina che da solo può spiegare tante cose e in primis la sua frigidità. La capacità di Simenon di sondare l’animo femminile trova anche in questo romanzo conferma, mentre la figura del protagonista, che disperatamente cerca di rimediare agli errori passati, può sembrare per certi versi una sorta di pubblica confessione. É noto, infatti, che l’autore è sempre stato un impenitente donnaiolo, incapace di un legame affettivo completo. In ogni caso, su qualsiasi piano di lettura la si voglia vedere, è un’opera di indubbio valore, forse non uno dei molti capolavori a cui Simenon ci ha abituato, ma comunque valida e a un livello, se non di assoluta eccellenza, di ampia e riscontrabile qualità.
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UNA DOSE MORTALE DI ARSENICO
Una domenica d’estate nella bella villa di campagna dei fratelli Donge, Bébé, moglie di François, con gesti fermi e al tempo stesso naturali serve il caffè al resto della famiglia, la madre, la sorella, il cognato e quando arriva al marito addiziona la bevanda oltre che con la solita zolletta di zucchero anche con una dose mortale di arsenico. François, chimico, avverte il sapore inconsueto del caffè e in preda alle prime convulsioni corre nell’edificio della casa, in bagno, si procura il vomito, ha riconosciuto i sintomi dell’avvelenamento. Agisce con lucidità e riesce a farsi soccorrere dal fratello mentre in un’atmosfera statica in giardino tutto prosegue come al solito: i bambini giocano, la cognata è distesa mollemente sotto l’ombrellone, Bébé è imperturbabile.
Si avvia così quello che è il fulcro del romanzo, François, salvatosi, mentre la moglie è in attesa di giudizio , ripercorre i loro dieci anni di matrimonio restituendo al lettore la verità su Bébé e pervenendo alla ragione ultima di quel suo gesto. Si viene così trascinati abilmente dalle parti del torto, del tentato omicidio, pronti, in fondo anche noi a riconoscere attenuanti, a perdonare, a capire e infine a sperare in un verdetto favorevole. Ciò che suscita maggiore sconcerto è che Simenon mantiene una linea dura offrendoci nelle splendide pagine finali una lettura precisa della realtà, coerente, giusta infine, se si vuole mentre si apre un altro scenario di disperazione individuale. Non certo fra i migliori Simenon, rimane comunque una lettura gradevole.