La strana morte del signor Benson
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L’esordio di Philo Vance
Mister Alvin Benson è un facoltoso uomo d’affari, è un agente di cambio, è un amante del bel vivere e delle donne, ma soprattutto è decisamente, definitivamente ed irrevocabilmente morto. Morto per un colpo alla testa sparato da distanza ravvicinata mentre, apparentemente, stava leggendo, tranquillo, un libro, in poltrona, nel salone di casa sua; casa nella quale nessuno poteva entrare od uscire senza essere notato. Nella stanza ci sono numerose evidenti tracce che sembrano indicare la presenza di una donna che potrebbe essere stata l’ultima persona ad averlo visto vivo e che, di conseguenza, potrebbe essere anche colei che gli ha anticipato la dipartita per l’aldilà.
Sono di questa opinione il Procuratore del Distretto di New York John F.X. Markham ed il sergente della polizia Ernest Heath, che stanno indagando sul caso. Di tutt'altro avviso Mister Philo Vance, un ricchissimo e nullafacente dandy che, non avendo nient’altro con cui occupare il tempo, se non frequentare gallerie d’arte e sale concerti, s’è unito all'amico Markham per pura curiosità intellettuale. Non lesinando battute salaci, snobistica ironia e scetticismo caustico, Vance smonterà, uno ad uno, i castelli accusatori del Procuratore e della polizia a carico di questo o quell'altro sospettato, e, con sagacia e destrezza, li condurrà a provare la colpevolezza dell’omicida, da lui identificato sino dai primi momenti, seguendo solamente la sua lettura psicologica del delitto.
La letteratura poliziesca classica sino a poco tempo fa aveva occupato una nicchia di piccolissime dimensioni nelle mie esperienze di lettore, poi, anche grazie alle edizioni in formato elettronico che consentono un agevole accesso a libri altrimenti ormai introvabili, ho cominciato ad avvicinarmi a questo genere. Consigliato caldamente da un amico, quindi, ho cominciato ad “assaggiare” qualche mese fa, il sofisticato mondo di Van Dine e del suo sdegnoso personaggio: Philo Vance.
Avevo conosciuto l'investigatore quand'ero bambino, nella breve serie televisiva recitata magistralmente da Giorgio Albertazzi e la curiosità mi ha stimolato nell'andare a ritrovare l'originale letterario.
Questo romanzo è il primo di una serie di dodici che dovrebbero ripercorrere l’intera carriera di investigatore “per mero hobby” del ricchissimo gentiluomo newyorkese.
La trama gialla appare, ad uno smaliziato uomo del XXI secolo, abbastanza lineare e scontata, al punto da imporre un consiglio a chi si accingesse ad iniziare la lettura: evitare accuratamente di puntare la propria attenzione, nella ricerca del colpevole, sul personaggio che appare il meno sospettabile! Si scoprirebbe immediatamente il finale e si perderebbe gran parte del gusto nella lettura.
Sempre per un osservatore dei nostri giorni, l’approccio investigativo appare decisamente naïf. Ciò dico non tanto per la preferenza che l’investigatore dà all'approccio psicologico (in fondo, ormai, tracciare il profilo psicologico del criminale è prassi comune) rispetto all'indagine scientifica (che nel 1927 era appena ai primi passi), quanto proprio per l’atteggiamento ingenuo e sorprendentemente inesperto con il quale procede la ricerca di prove ed indizi e per i modi in cui gli indiziati, tutti di ceto alto e rispettabile, vengono affabilmente interrogati.
Lo stile di Van Dine è raffinato ed elegante, talvolta anche troppo. È pieno di citazioni dotte e di intercalari in francese, latino, tedesco; caratteristica, questa, che deve aver alienato non poche simpatia a questi romanzi, considerando quale potesse essere la cultura del lettore medio americano del genere pulp, negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Oggi il senso di quei riferimenti è andato parzialmente perduto, in quanto intimamente connesso al particolare periodo storico, ma per un lettore italiano non appare uno stile stucchevole, sgradevole o complicato. Semmai la narrazione risulta appesantita di più dall'eccessivo uso del dialogo e del discorso diretto. La storia, infatti, sembra quasi un canovaccio teatrale, più idoneo ad essere recitato sulla scena, che seguito nel suo rapido evolversi delle vicende. Insomma, molte chiacchiere e pochissima azione. E le chiacchiere sono soprattutto schermaglie verbali "da salotto", in punta di fioretto tra i vari interlocutori, piuttosto che elucubrazioni sul modus operandi del colpevole o sulle questioni investigative sul tavolo.
Complessivamente, però, il volumetto risulta gradevole per una lettura di mero svago, assolutamente disimpegnata e leggera. Diciamo che è un libro da sdraio ed ombrellone e, entro questi limiti, conserva ancora tutta la sua validità a novant'anni dalla sua prima pubblicazione.