La sfera del buio. La torre nera
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Zia Cord novella Contessa de Polignac
Dopo ben tre mesi -periodo durante il quale il caro Stephen mi ha comunque tenuto compagnia con altre storie- ho fatto un nuovo passo nella mia ricerca della Torre Nera con "La sfera del buio", un quarto volume che pur portando un po' avanti l'avventura di Roland di Gilead e del suo ka-tet nel presente, concede una quantità di spazio agli avvenimenti del lontano passato in cui il protagonista era ancora un ragazzo, e questa scelta non mi ha convinto per nulla. Ma partiamo dalla trama.
Il quarto volume si apre esattamente dove "Terre desolate" si era interrotto, con i personaggi principali a bordo di Blaine il Mono, aka il nostro amichevole treno senziente aspirante suicida di quartiere; per salvarsi dallo schianto, devono proporre un indovinello che neanche questa brillante intelligenza artificiale sia in grado di risolvere, almeno non prima del capolinea di Topeka. Nella seconda e nella terza parte, il focus si sposta invece nel passato, subito dopo il duello che decreta la nomina a pistolero di Roland; lui ed il suo vecchio ka-tet vengono mandati dai genitori verso est, nella Baronia di Mejis, dove si trovano coinvolti nei giochi dei potenti locali.
E cominciamo subito parlando del racconto fatto da Roland, che presenta alcune difficoltà. La prima si potrebbe definire soggettiva, perché personalmente ho faticato non poco a farmi andare giù il contesto in cui sia ambientano queste vicende, in particolare per il sessismo che trasuda da ogni dialogo; non posso dire di aver fatto i salti di gioia neppure per come vengono descritti i personaggi femminili: dopo un po' mi è sorto il dubbio che King fosse tenuto per contratto a menzionare forma e consistenza dei loro seni ad ogni singola scena. La narrazione si focalizza inoltre su eventi di cui già si conosce o si può intuire il finale, e per questo le svolte di trama risultano del tutto inefficaci. Questo attacco di tedmosbyte sarebbe poi anche accettabile se avesse una motivazione più solida; scopriamo come Roland sia giunto a conoscenza della Torre Nera e il fatto che lui ne parli agli altri li riporta sul Sentiero del Vettore, però non mi sembra una giustificazione sufficiente per quasi settecento pagine di romance adolescenziale.
L'età dei personaggi nei flashback è quasi una problematica a parte, perché rende alquanto inverosimile ciò che riescono a fare ed il modo in cui si esprimono, oltre a stonare parecchio con il tono generale della serie, a mio avviso. Sulla storia d'amore tra Roland e Susan vorrei stendere poi un velo pietoso: l'ennesimo caso di instalove che mi sarei volentieri evitata, e neppure ben consolidato in un secondo momento, a differenza di quello tra Eddie e Susannah. Ho notato poi che diverse scene si ripetono praticamente identiche senza motivo, e temo di aver perso il conto di quante volte Susan mandi a quel paese la zia e sembri dirle addio per sempre, salvo poi vederle di nuovo assieme dieci pagine più in là!
Si sarà capito che il tanto spazio dato al passato di Roland, specie in un momento così emozionante per la ricerca della Torre Nera, non mi ha fatto impazzire; eppure questo romanzo ha anche dei pregi non trascurabili. In primis ho apprezzato l'introduzione di nuovi personaggi ed luoghi, che vanno ad ampliare aspetti del world building già accennati, o a mostrarne di totalmente inediti. Mi è piaciuta molto anche la scena d'apertura, con il confronto tra i protagonisti e Blaine: a mio parere è la migliore del romanzo. Rispetto ai volumi precedenti inoltre, credo che la prosa e la scelta del lessico siano state maggiormente curate, in particolare nella creazione di alcune allegorie e metafore che ben si adattano all'ambientazione.
In modo un po' inaspettato, mi è piaciuta anche la caratterizzazione di Susan Delgado, specialmente per come si mostra determinata e riesce a tenere testa agli altri, perfino nei momenti peggiori. Ma forse l'aspetto che più mi ha convinto è rappresentato proprio dalla sfera del titolo: il suo potere e la fascinazione che esercita sui personaggi giocano un ruolo fondamentale, e mi hanno ricordato parecchio il voyeurismo alla base dei reality show, creando un bel parallelismo tra fantasy e contemporaneità.
Indicazioni utili
- sì
- no
Della "Westernità" (ovvero: Roland racconta).
Il nostro ka-tet guidato da Roland e formato da Eddie, Susannah, Jake e Oy ha vinto la sfida con Blaine e prosegue il suo viaggio alla volta della Torre Nera. Arrivano in un Kansas post epidemia e si mettono in marcia lungo un’autostrada deserta ed ingombra di auto abbandonate.
Roland è inquieto perché deve raccontare qualcosa ai suoi compagni. Qualcosa di fondamentale per il loro viaggio, qualcosa con cui, per lui, è doloroso fare i conti.
Infatti tergiversa e rimanda, tanto che Eddie, più di una volta, tenta di evitargli il compito.
Ma alla fine Roland racconta. Si siede e racconta, per tutta la notte. Per oltre 500 pagine.
E King se la sciala.
Racconta una storia western potente, quasi un “omaggio” al genere da quanto è perfetta e “in canon”; tanto che gli elementi extra canone – come la stupenda strega Rhea e la sfera che dà il titolo al capitolo – per quanto fondamentali, non scalfiscono la completa “westernità” della storia.
Un esempio per tutti.
Il meraviglioso scontro al Saloon con i tre cattivi della Bara Blu.
Da come King se lo prepara, curandolo come un figlio, a come lo realizza, a come lo scioglie…
Be’, sembra Sergio Leone. Ed è un pezzo di bravura straordinario. Drammatico, patetico, ironico.
Wester, si diceva.
Ma torniamo a noi, che i pezzi di bravura in questa saga non fanno più notizia.
Incontriamo un giovanissimo Roland e finalmente diamo voce e volto ad alcuni dei personaggi che finora sono stati solo citati (e rimpianti) di passata. Troviamo un altro ka-tet, quello di Roland e dei suoi amici Alain e Cuthbert e lo troviamo impegnato in una missione importante che diventerà fondamentale.
Lo vediamo pistolero, leader, amico leale, figlio, dissimulatore e – udite udite - innamorato.
Terreno pericolosissimo per tutti e anche per me che in genere trovo che inserire una storia d’amore mentula canis sia il modo peggiore – e più frequente – per mandare a peripatetiche una storia/un personaggio.
Va detto, però, che con “La Storia di Lisey” King piazza una delle storie d'amore più belle che mi sia capitato di leggere (con un’amorosa veramente notevole).
E infatti.
King non perde un colpo, con Roland. Riesce a rendere bene la sua natura “divisa” che accetta la forza completamente irrazionale dell’amore perché sa che non può farci nulla, ma circonda questo nucleo primordiale con strati e strati di razionalità, coerenza, logica. Come fanno le ostriche con i granelli di sabbia.
«…la sua natura romantica sepolta nel suo animo come una vena di fiabesco metallo sconosciuto nel granito della sua praticità. Accettava l'amore come un fatto della vita e così facendo spuntava l'arma del suo sdegno. (…) La verità talvolta non coincide con la realtà: quella era una delle certezze che albergavano nella cavità segreta al centro della sua natura divisa. La capacità di elevarsi al di sopra di entrambe e accogliere di buon grado la follia dell'amore era un dono ereditato dalla madre. Tutto il resto in lui era razionalità lucida... e, forse più importante ancora, priva di metafore.»
Insomma, Roland non prende le armi in una battaglia che non può e non vuole vincere, ma non si racconta mai palle. Fosse solo per questo…
E anche l’amata Susan non è male.
Oddea, a me ricorda un po’ troppo la Beverly di IT, che non avevo amato per nulla, ma sarà il mio solito problema con i personaggi femminili (anche se qui, King, con Rhea, Coral Thorin e Olive ne piazza tre – di cui due cattivi – notevoli).
Susan è la ragazza perfetta per il giovane Roland e tutta l’evoluzione della storia è come deve essere.
Fino al finale che evoca ancora Derry e anche Shirley Jackson.
Western, si diceva.
Quello che mi sdubbia e non mi ha fatto godere questo romanzo come i due precedenti è narrativo / stilistico.
Queste 500 pagine di flash-back del racconto di Roland. Sono per darci gli elementi per andare avanti nella storia? Sono per darci una “chiave” per capire meglio Roland?
In entrambi i casi la tecnica scelta non mi convince (nel secondo caso non mi convince neanche il movente).
L’espediente è molto “tipico” (fermiamo l’azione e raccontiamo. Lo fanno quasi tutte le eroine disney più o meno dopo dieci minuti di film) e la storia è bella, però… l’avrei voluta sentire in un altro modo, magari non di fila, a mo’ di spiegone. E… Roland non ha bisogno di chiavi di lettura e di “spiegazioni” per com’è.
È com’è e come deve essere.
Spero davvero che la Sfera non sia stata un tentativo di psicoanalizzarlo.
In caso non posso fare a meno di ri-citare il pistolero e la sua definizione – di fioretto – sulla psicoanalisi ed affini: «Una stronzata», tagliò corto Roland. «Escrementi della mente. I sogni o non significano niente o significano tutto, e quando significano tutto, ti appaiono quasi come messaggi... (…) E non tutti i messaggi sono inviati da amici.»