La ragazza che doveva morire. Millennium 6
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Gialli svedesi alla riscossa
Era apparso durante l’estate il senzatetto detto “nanopazzo”. Medicalmente parlando non era un nano essendo alto un metro e cinquantaquattro ed essendo ben proporzionato quanto però certamente era un malato mentale che balzava in piedi, bloccando i passanti e parlando in modo totalmente sconclusionato nelle situazioni più imprevedibili. Le sue attività principali consistevano più che altro nello stare seduto su un pezzo di cartone Mariatorget, di fianco alla fontana con la statua di Thor suscitando anche una certa deferenza nei passanti stante il suo atteggiamento caratterizzato da «testa alta e la schiena dritta che gli conferivano quello sguardo da condottiero sul viale del tramonto». E dire, che c’era stato davvero un tempo in cui la gente gli si inchinava davanti. Purtroppo, ormai aveva perso tutto, e quella chiazza nera sulla guancia non lo aiutava. In tutto ciò, quel piumino indossato con orgoglio, un parka Marmot azzurro, lo proteggeva da ogni più artica temperatura seppur non manifestandone l’austerità. All’inizio di agosto, intorno al giorno undici, inoltre, sui suoi occhi era comparsa un’espressione decisa che lo aveva portato a scrivere una storia arzigogolata poi incollata alla pensilina dell’autobus Söndra Station, nella falsa veste di un giornale a muro. Tuttavia, nella notte tra il venerdì 14 e il 15 un mendicante spintosi sino a Norra Bantorget in cerca di alcol di contrabbando aveva incrociato un altro mendicante, e a seguito di una mezza colluttazione, aveva scoperto la morte.
«Più in basso, sulla strada, ci si preparava alla dieci chilometri della Midnattsloppet e nella zona c’era aria di festa popolare. Il mendicante era morto, circondato da un’atmosfera gioiosa, e a nessuno importava che avesse avuto una vita da strapazzi e imprese inverosimili, per non parlare del fatto che avesse amato una sola donna, anche lei morta in devastante solitudine.»
Nel mentre Lisbeth è sparita. Ha venduto il suo appartamento in Finskargatan a Stoccolma, lo ha completamente svuotato e il suo pc non emette segni di vita. È scomparsa proprio nel momento in cui Mikael, che sta scrivendo un reportage senza mordente e senza successo sul crollo delle borse, ha più bisogno di lei. Il giornalista sta inoltre cercando di risalire al nome di quel clochard rinvenuto privo di vita nel parco, con il suo numero di telefono trascritto e custodito in tasca e che, prima del decesso, farneticava di Johannes Forsell, il discusso ministro della Difesa e oggetto di una feroce campagna mediatica e sui social.
Ma Lisbeth è alla ricerca di Camilla, la gemella con cui è giunta l’ora di regolare i conti anche se quel passato continua a manifestarsi con la solita durezza e crudeltà. Una sola è la parola d’ordine: vendetta.
Tre storie che procedono tra loro apparentemente senza alcun filo conduttore, tre storie in cui in realtà i fili si annodano e intersecano conducendo il lettore in un ampio spazio temporale e geografico che mette in colleganza le vette dell’Everest con gli abissi della criminalità russa, tema da sempre caro alla serie. Ma qual è la verità? Riuscirà questa a venire a galla? O si è ormai perduta nei meandri di un passato remoto che non tornerà mai a vedere la luce?
David Lagercrantz torna in libreria con un nuovo capitolo della saga ideata da Larsson e lo fa con un elaborato che si propone essere il conclusivo delle vicende. Dal punto di vista dello stile narrativo, nuovamente il giornalista offre un buon prodotto grazie a uno stile che si confà al canonico genere della fiction televisiva e che ricorda molto, per questo, una buona e architettata sceneggiatura. I temi trattati non sono però particolarmente innovativi o originali tanto che il lettore non fatica a concludere il componimento ma al contempo non riesce a farsi coinvolgere completamente dalla trama. L’impressione è quella di trovarsi di fronte dell’ennesimo meccanismo commerciale che riesce anche a far dubitare dell’effettivo termine del narrato. Sinceramente non mi stupirei se tra qualche tempo venisse pubblicato un settimo lavoro atto a riaprire il sipario sulle scene. Altra cosa, sinceramente, a tratti l’opera risulta essere inverosimile, grottesca nonché veramente scontata. L’epilogo fa leva sui canonici cliché e il presunto scontro finale tra sorelle è eccessivo, avrei preferito un’evoluzione diversa anche perché un personaggio come Lisbeth per quanto particolare e stratificato non può per libri e libri persistere nell’odio. Alla lunga il protagonista stesso finisce con il perdere credibilità.
In conclusione, una lettura gradevole che consiglio a chi ha amato Millennium tanto da volersi fare un’idea definitiva della saga ma non altrettanto consigliato a chi invece deve ancora avvicinarsi all’universo in questione.
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fiammiferi svedes
Lagercrantz ha ricevuto un'eredità scomoda ma stimolante. Far procedere ed in qualche modo far rivivere le emozioni della saga di Lisbeth Salander e di Mikael Blomqvist. Siamo all'epilogo (?) della vicenda, con trame e sotto trame non eccelse ma comunque discrete e sufficienti a tenere vivo l'interesse del lettore, seppure con uno stile di scrittura un po' basico, molto televisivo e stereotipato. Non vorrei peccare di snobismo, ma ho la sensazione che l'autore si abbia effettuato un'operazione diligente ma priva di profondità. Mi spiego meglio: vedo lo scrittore che con abilità artigianale ma non artistica ha a disposizione delle figure note personaggi già ben delineati, da inserire in una trama accettabile e in un cotesto verosimile. Con un esempio forse non calzante ma spero efficace vedo una situazione simile a quella della Hannah con il personaggio di Poirot della Christie, fatto "rivivere" in tre romanzi gradevoli, piacevoli, pur leggibili, ma non "autentici". Più che un romanzo "La ragazza che doveva morire" è una sceneggiatura di serial. Nulla da dire sulle vicissitudini molto svedesi del giornalista di "Millenium" che ha a che fare con colleghe innamorate o affascinate (ma come farà a concupirle tutte?) e si tuffa nel mistero del vagabondo trovato morto, tra ministri, servizi segreti, rimandi al passato che coinvolgono i personaggi della saga a tutto campo. Senza svelare troppo ritengo forzato lo scontro finale tra le due sorelle e semplicistico lo svolgimento del medesimo. Grotteschi come al solito i motociclisti-delinquenti e le fiamme lesbiche della cupa quanto maschia Lisbeth. Dubito fortemente che questo sia l'ultimo libro della serie, anche se le operazioni di questo tipo, analogamente a quelle relative alle serie tv, sono legate a doppio filo al gradimento del pubblico pagante...Per concludere una lettura non troppo impegnativa ma accettabile.
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