La quinta donna
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LAUDATOR TEMPORIS ACTI
Il male è sempre esistito ovunque, è comprensibile, è persino un’estremizzazione del senso di giustizia: questo il commissario Wallander lo sa, come fin dall’inizio della complicata indagine è certo che prima o poi troverà assieme al pluriomicida le ragioni umane dell’efferato crimine. Anche il lettore fin dalle prime pagine del romanzi ha modo di conoscere in qualche modo i pensieri del serial killer donna e la tragedia personale che la spinge ad uccidere. Ciò che invece inquieta, fino al punto di fare scoppiare in lacrime l’esperto poliziotto sono le forme in cui si manifesta l’impulso omicida: un vecchio poeta, innamorato degli uccelli, viene trafitto in un fosso da alcune canne di bambù appuntite, un ricercatore universitario viene rinchiuso in un sacco vivo e gettato in mare, un fioraio, con la passione delle orchidee, viene accecato e il suo corpo dilaniato legato a un albero. Wallander non riconosce più la realtà: si trova immerso in un film dell’orrore inspiegabile che fa vacillare ogni sua certezza, proprio nel momento in cui la sua vita privata pare imboccare la giusta direzione. Ne “La quinta donna” pertanto l’urgenza di fermare la macabra pellicola predomina: nella corsa contro il tempo non c’è spazio, diversamente da quanto avviene per gli altri libri della serie dedicati al commissario della Scania, né per la contemplazione del paesaggio né per i sentimenti e neppure per l’elaborazione dei tanti lutti. Si arriva cosi alla soluzione del caso, e la domanda sconvolgente viene rimossa con la spiegazione che il pensoso eroe di Mankell dà a se stesso e a chi legge, assumendo la tradizionale veste del laudator temporis acti: il gusto della perversione nasce, quando in Svezia le persone non si aggiustano più le calze da sole, e la meritata punizione prima o poi arriva per tutti.