Narrativa straniera Gialli, Thriller, Horror La promessa. Un requiem per il romanzo
 

La promessa. Un requiem per il romanzo La promessa. Un requiem per il romanzo

La promessa. Un requiem per il romanzo

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Un altro grande romanzo 'giallo' di Durrenmatt, o meglio, un antiromanzo 'giallo', "La promessa" liquida infatti, con un massimo di crudeltà e di finezza, il genere poliziesco colpendolo proprio alla radice, cioè nella sua favolosa e assoluta razionalità. Gli elementi di genere ci sono tutti: c'è l'investigatore freddo e infallibile, il commissario Matthai; ci sono i colleghi di questo, ottusi o altezzosi; c'è un delitto raccapricciante che costa la vita a una bambina di sette anni; e c'è perfino la sopresa finale, con lo scioglimento del mistero e la rivelazione dell'assassino. Ma tutti questi elementi sono parodisticamente distorti, deformati come in uno specchio convesso. Durrenmatt sostituisce alla morale pratica di ogni poliziotto (il delitto non paga) una morale metafisica: il razionale non prevale affatto sul caos, o almeno non fatalmente.



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La promessa. Un requiem per il romanzo 2024-02-06 08:58:17 marialetiziadorsi
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marialetiziadorsi Opinione inserita da marialetiziadorsi    06 Febbraio, 2024
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Uno stravolgimento del giallo classico

Un giallo diverso dal solito e che stravolge il genere, ben costruito, avvincente, con uno stile fluido e dire quasi “nebbioso” per l’atmosfera ricreata, comunque di piacevole lettura.
La storia si svolge in Svizzera e si parte dall’omicidio di una bambina di sette anni e da un commissario, Matthai, di carattere freddo e di grande intuito ed ingegno, che non si rassegna all’accusa di colpevolezza che viene rivolta verso un ambulante in qualche modo costretto a confessare il delitto e che si suiciderà poi in carcere. Per tutti il caso è chiuso, non per il commissario che quando ha dovuto comunicare il delitto ha promesso ai genitori della piccola di trovare l’assassino.
Matthei è raffigurato come un uomo che non ha vita privata, vive in albergo, completamente dedito a quella che sente come una missione, la ricerca della verità ad ogni costo.
Il commissario non solo non è convinto dell’identità dell’assassino imprigionato ma crede si tratti in realtà di una catena di omicidi tutti opera della stessa mano che non è quella che la polizia ha identificato con l’ambulante. Il caso per Matthei non è chiuso.
Il commissario inizierà quindi una sua indagine personale anche perché viene allontanato dal commissariato nel quale operava e che lo porterà a prendere in gestione un distributore di benzina e ad accogliere in casa una donna con una bambina che assomiglia a quella uccisa con lo scopo di attirare in trappola l’assassino. Non riuscirà nell’intento per una pura casualità e la fermissima convinzione razionale di conoscere la verità da una parte ed il fallimento dall’altra lo porteranno alla follia.
La soluzione, in fondo scontata, verrà trovata anni dopo. Il commissario non sbagliava, ma non è riuscito ad avere la soddisfazione che avrebbe meritato.
Molto televisivo da una parte, dall’altra diverso dai gialli classici alla Agatha Christie o dei grandi della letteratura del genere, “La promessa” mantiene un pessimismo di fondo che il lettore avverte sin dall’inizio. Come è possibile che solo il commissario, considerato un genio delle indagini per la sua estrema razionalità, veda una verità così lampante e che solo troppo tardi si arrivi a scoprirla? Come può non essere creduto?
Ed è infine ragionevole che un uomo arrivi ad impazzire nel tentativo di dimostrare la sua verità che ha il solo scopo di salvare vite?
Il romanzo è una negazione totale del giallo classico perché anche la deduzione più accurata e perfetta può non portare alla risoluzione del caso perché razionalità e destino del singolo possono non coincidere e portarci a non arrivare mai alla verità. Alla fine sono il caso, la sorte a sovrintendere alla vita degli uomini, caso e sorte beffardi che condannano l’uomo alla follia.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2020-08-04 23:08:28 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    05 Agosto, 2020
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Esistere sotto leggi già date

Quello che più mi stupisce di Dürrenmatt è la sua capacità di scrivere in modo piano, fluido, quasi elementare nella sintassi, senza però rinunciare un solo istante alle profonde e alte ambizioni delle sue opere, che, sostenute da trame originali e beffarde, non temono di affrontare temi spinosi come la giustizia e il destino. A ben vedere Dürrenmatt non ha mai scritto il suo libro capitale, il suo capolavoro memorabile, perché, come in Simenon o Balzac, ogni sua opera è la stella di una più ampia costellazione: è lo sguardo d’insieme che da questa traspare a rappresentare il vero approdo della sua letteratura. In questo libro, di poco posteriore a “La panne”, l’autore si prefigge di svuotare il giallo del proprio significato, perché ogni giallo, con la sua schiera di detective, indizi, deduzioni, si fonda su una gabbia così coerente da risultare fasulla; il problema, ci suggerisce Dürrenmatt, è che nel giallo classico, quello scintillante di Agatha Christie, quello inscalfibile di Conan Doyle, la realtà è piegata alla volontà dell’autore e tradisce, in questo senso, la verità. Così in questo libro, che si occupa di un delitto orribile, di un omicida efferato, che rincorre per 150 pagine una fine, il tema non è la soluzione del caso trovata con il più logico dei ragionamenti deduttivi, ma l’impossibilità di ingabbiare il mondo nelle rigide caselle della comprensione umana. Emblema di questa dissoluzione del predomino umano sulla realtà è il detective protagonista del romanzo che nella sua parabola dal genio alla follia riconosce sulla propria pelle lo sgretolarsi della ragione, braccato dal senso di colpa per una promessa tradita, per una pace impossibile.

Con questo romanzo Dürrenmatt inaugura un filone giallo che, a onor del vero, ha avuto una certa fortuna: sorvolando sulle serie TV di più immediato consumo, sono molti i registi che si sono cimentati sulle ossessioni della giustizia, sulla sua fallibilità, sul beffardo accadere degli eventi, basti pensare alla splendida prima stagione di True Detective, ad alcuni gelidi finali di Law & Order o alla scurissima Mindhunter di David Fincher. In questo sgretolarsi delle certezze del contemporaneo, l’opera di Dürrenmatt appare, nella sua tragica e necessaria inappellabilità, quasi veggente e aggiunge, se possibile, una vena ulteriore di pessimismo alle conclusioni cui era giunto precedentemente. Peccato solo per un finale fin troppo preparato e allungato, certo scenicamente efficace, sardonico e quasi cinico, ma che lascia davvero l’impressione di essere seduti a un tavolino a godersi lo spettacolo. Il fatto è che la trappola narrativa di Dürrenmatt è talmente brillante da imprigionare il suo autore. E per questo ci piace.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2018-06-04 08:36:46 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    04 Giugno, 2018
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UN ANTI-GIALLO DOMINATO DAL CASO

“Niente è più crudele di un genio che inciampa in qualcosa di idiota. [...] Matthäi non poteva accettarlo. Voleva che i suoi calcoli tornassero anche nella realtà. Perciò dovette rinnegare la realtà e sboccare nel vuoto."

Come suggerisce il sottotitolo al romanzo (“Un requiem per il romanzo giallo”), Dürrenmatt ha scritto con “La promessa” una sorta di anti-giallo, sovvertendo non tanto la struttura narrativa (che anzi, con la stratificazione dei piani di racconto – lo scrittore che “riceve” la storia da un narratore, il quale a sua volta riporta in forma più o meno indiretta i fatti vissuti da un terzo – richiama alla mente il romanzo ottocentesco, e penso ad esempio a Puskin, Lermontov, James, ecc.) e l’intreccio (il delitto, l’investigazione, la caccia all’assassino) tipici del genere, quanto le sue premesse teoriche e le sue conclusioni. Per Dürrenmatt la detective story non è più infatti un gioco puramente intellettuale e speculativo, una costruzione astratta, avulsa dalla realtà (o meglio, che con la realtà ha lo stesso rapporto che giochi di società come il “monopoli” o il “risiko” possono avere rispettivamente con il mondo degli affari e della guerra), bensì un microcosmo che rispecchia fedelmente le leggi della vita, e che come la vita è inesorabilmente dominata dal caso, dall’arbitrio, dall’irrazionale, da quell’elemento cioè che spesso i romanzieri polizieschi escludono accuratamente e come per partito preso dalle loro trame. Il commissario Matthäi fallisce così la sua ricerca del colpevole non perché ha commesso un errore di strategia o ha trascurato un indizio importante (al contrario, egli non ha sbagliato proprio nulla, è addirittura un genio, a detta del suo ex superiore), ma solo per una coincidenza “idiota”. Tra i tanti possibili (e classici) finali, che il capitano della polizia cantonale enumera con chiaro intento ironico allo scrittore, proprio questo, così banale e all’apparenza poco plausibile (appunto perché vero, come insegna Pirandello, il quale aveva capito da tanto tempo che la realtà supera per inverosimiglianza l’immaginazione), non avrebbe mai trovato diritto di cittadinanza in un poliziesco tradizionale. E già che ho tirato in ballo Pirandello, aggiungo che all’autore di “Enrico IV” e “Il fu Mattia Pascal” sarebbe molto piaciuta la follia di cui cade preda Matthäi, la cui straordinaria intelligenza è messa fuori uso e si cortocircuita a causa del sassolino maldestramente finito nel suo delicatissimo ingranaggio per colpa dell’insospettabile caso.
Visto in questa ottica, Matthäi non è solo un detective sconfitto nella sua sfida all’assassino, ma più in generale assurge a simbolo dell’uomo il quale cerca pervicacemente di governare la realtà con la sua razionalità, di addomesticare il mondo con il suo intelletto, di ridurre la vita a schemi e logiche prevedibili a priori, ma in questo suo sforzo è fatalmente sopraffatto dall’assurdo sempre in agguato (Kafka docet). In questo senso, “La promessa” è quasi un romanzo esistenzialista, e il suo protagonista, titanicamente perdente come il capitano Achab di “Moby Dick”, può essere assimilato all’eroe dell’assurdo per eccellenza, ovverossia il Sisifo di Camus, come questi costretto dalla propria epica grandezza a trascinare per l’eternità, con dolorosa e sofferta consapevolezza un peso incomprensibilmente immane, senz’altro senso che non sia l’orgogliosa e testarda fedeltà a quell’invincibile istinto che, dalla cacciata dall’Eden in poi, passando per l’Ulisse di Dante e il Josef K. de “Il Castello”, spinge da sempre l’uomo a tentare di spostare in avanti i propri limiti, anche a costo di sfidare l’interdetto divino e bruciarsi le ali in quel volo che, per la disparità delle forze a disposizione rispetto all’obiettivo prefisso, è quasi un romantico suicidio.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2017-09-01 08:50:28 Silvia Argentati
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Silvia Argentati Opinione inserita da Silvia Argentati    01 Settembre, 2017
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RECENSIONE


Duro, spietato, crudele e agghiacciante, come le circostanze e il caso che nella via si fanno beffa dell’essere umano. Una trama investigativa, quella messa in piedi da Dürrenmatt che stravolge gli schemi del giallo deduttivo. Lo scrittore si allontana dall’ottimismo positivista dell’investigatore infallibile e rifugge la divisione manichea tra male e bene. Dürrenmatt gratta la superficie dell’idilliaca e perbenista della società elvetica per far muovere i suoi personaggi nei bassifondi della svizzera orientale. Al centro della vicenda c’è il detective Matthai (senza una vita privata e con il vizio del fumo) ossessionato dall’idea di giustizia e dal bisogno di scovare la verità dopo la promessa fatta alla mamma della piccola vittima trovata morta sgozzata nel bosco vicino Magendorf. Un’ossessione che lo porta a credere nell’innocenza di un colpevole e in cerca di un assassino inesistente. Ma se l’assassino inesistente esistesse? Questo il dubbio che si insinua nella mente del lettore. Il commissario Matthai, uomo donchisciottesco, mette in gioco tutto se stesso per cercare all’interno dell’impianto poliziesco–investigativo le bambine dalle trecce bionde e il vestitino rosso (elementi che ricordano la favola di Cappuccetto Rosso) e il terribile il gigante dei porcospini. Ma “un fatto non può tornare come torna un conto”; come afferma un altro personaggio del libro “la gente spera che almeno la polizia sappia mettere ordine nel mondo, benché io non possa immaginare nessuna speranza più pidocchiosa di questa….i fattori di disturbo si intrufolano nel gioco…e ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile ha una parte troppo grande”.
P.S. Nel 2001 il regista americano Sean Penn ha realizzato un film omonimo con Jack Nicholson e Benicio Del Toro tratto dal libro di Dürrenmatt.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2016-11-11 16:54:34 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    11 Novembre, 2016
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L’angoscia dell’uomo in un mondo senza certezze

Se già con “Il giudice e il suo boia”, breve romanzo apparso per la prima volta nel 1952, Friederich Durrenmatt affronta il tema del rapporto uomo-giustizia, sottolineando la difficoltà di stabilire una verità assoluta che riporti ordine in una realtà confusa quale è quella del mondo contemporaneo, ne “La promessa”, egli porta il tema su un piano ancor più esasperato, con l’intento di dimostrare l’inutilità di ogni indagine in siffatto mondo. Non a caso il sottotitolo di quest’opera è “Un requiem per il romanzo giallo”. La storia si svolge in un paesino della Svizzera, dove viene ritrovato il cadavere martoriato di una quattordicenne. L’omicidio viene immediatamente classificato come delitto a sfondo sessuale. È l’ ispettore Matthai, a qualche ora dal pensionamento, ad occuparsene. Egli si assume l’onere di comunicare la terribile notizia ai genitori della giovane vittima, si fa partecipe del loro immenso dolore e, profondamente commosso, promette di scoprire e arrestare il colpevole. Sarà questa promessa a condizionare il resto della sua vita. Egli, infatti, non si accontenterà delle indagini affrettate dei suoi colleghi che vogliono identificare il colpevole nella persona di un ambulante, abituato a vivere di espedienti e già accusato di reati sessuali. Allontanato dal suo ufficio, perché ormai non più in servizio attivo, Matthai conduce le indagini per suo conto, ulteriormente impressionato dal suicidio dell’ambulante ormai incriminato. Qui comincia la vera ossessione di Matthai, la sua lotta per stabilire la verità, una lotta contro una realtà tanto mutevole e ingannevole quanto sfuggente. Ed è questo il punto centrale del romanzo: i meccanismi di indagine e di giudizio sono inadeguati a cogliere i fatti nella loro autenticità. L’uomo non è in grado di orientarsi nel caos che lo circonda. E come ne “Il giudice e il suo boia” vittima e carnefice sono indissolubilmente legati, così ne “La promessa” l’investigatore, assillato dall’idea della giustizia, rimane vittima di se stesso e di quel male di vivere che domina il mondo.
Da questo romanzo, scritto in maniera mirabile, Sean Penn trasse l’omonimo film, con Jack Nicholson come protagonista. La storia naturalmente fu adattata alla realtà americana, e se pure parzialmente diversa, lo spirito e il messaggio sono fedeli al testo: una visione del mondo piuttosto pessimistica ma ben aderente al disagio esistenziale dell’uomo moderno.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2016-01-18 18:34:04 Misspix
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Misspix Opinione inserita da Misspix    18 Gennaio, 2016
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No, quello che mi irrita di più nei vostri romanzi

Uno dei più folli romanzieri tedeschi del Novecento sforna un romanzo crudo come carne da macello tagliata a pezzi. La favola di Cappuccetto rosso si tinge di amaro in una Svizzera che sa di cenere e natura selvaggia. La bambina con le trecce bionde e il cestino in mano attraversa il bosco ma incontra il lupo, o meglio, il gigante dei porcospini. L'investigatore Matthai deve partire per una nuova terra ma fa una promessa che mette in gioco tutta la sua vita: trovare il gigante e fare pace con la sua umanità.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2014-11-13 22:23:54 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    14 Novembre, 2014
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L'investigatore perfetto

“La gente spera che almeno la polizia sappia mettere ordine nel mondo, benché io non possa immaginare nessuna speranza più pidocchiosa di questa”.

Il cielo plumbeo dei dintorni di Zurigo. Uno scrittore che tiene una conferenza sull'arte di scrivere libri polizieschi.
La conferenza termina. La notte è già scesa. Al bar dell'albergo, lo scrittore riconosce un uomo che ha seguito il suo intervento; condivide con lui un bicchiere di whisky. L'uomo si presenta: è l'ex comandante della polizia cantonale di Zurigo, convinto che la finzione dei libri (dove la logica porta sempre alla risoluzione del caso) non si addica all'inafferrabilità del reale.
Il giorno dopo il poliziotto conduce lo scrittore lungo la strada che taglia una vallata boscosa, sino ad un distributore di benzina. Ci si ferma, non a caso. E lì inizia il suo racconto.
Matthai era il miglior elemento della polizia zurighese: freddo, razionale, straordinariamente deduttivo, dotato di un eccezionale fiuto per gli elementi d'indagine apparentemente secondari. Quando il cadavere di una bambina di sette anni viene rinvenuto straziato dal rasoio di un maniaco nei boschi del piccolo paese di Magendorf, Matthai si guarda attorno, cercando qualcuno che si incarichi di avvisare i genitori. Non troverà chi sia disposto a farlo.
Ancora non lo sa, ma la decisione di recarsi personalmente alla casa dove abitava la piccola Grittli Moser condizionerà il resto della sua vita: la madre della bambina, con la sua glaciale immobilità, gli strapperà la promessa di catturare l'assassino, “il gigante dei porcospini”.
Da quel momento, Matthai non potrà accettare altra possibilità che mantenere quanto dichiarato, a costo di lasciare la Polizia e “fabbricarsi” una nuova vita, con un unico scopo: assecondare il proprio istinto investigativo e condurre l'indagine a modo suo. Adempiere alla promessa.

Un libro inquietante, di geometrica crudeltà (e non solo perché descrive dei raccapriccianti fatti di sangue), fuori dall'ordinario quanto alla sua costruzione.
Per questo motivo il sottotitolo – “Un requiem per il romanzo giallo” non è casuale. Esso sottintende la dimostrazione che il miglior investigatore, il metodo d'indagine più promettente, l'approccio più logico alla soluzione, non assicurano necessariamente la chiusura del cerchio: “ un fatto non può tornare come torna un conto, perché noi non conosciamo mai tutti i fattori necessari ma soltanto pochi elementi per lo più secondari. E ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile ha una parte troppo grande”.
Con questo libro, Friedrich Durrenmatt si prefigge l'obiettivo di rompere gli usuali schemi del giallo, riuscendoci. Disegna un maestoso braccio di ferro nell'opposizione di un uomo “spietatamente” razionale (perché non ammettere che anche lui è a suo modo un maniaco?) alla spietatezza del caso e dei destini individuali.
E pensare che Durrenmatt elaborò prima la sceneggiatura del film “Il mostro di Magendorf”, diretto da Ladislao Vajda nel 1958, e poi lo trasformò in libro. Da cui a sua volta Sean Penn ha tratto una nuova trasposizione cinematografica nel 2001 (lo scrittore era morto nel 1990). Una pellicola che, se non supera il romanzo, lo completa: basti pensare al fatto che il beffardo finale – che nel libro è un racconto a parte – nel film si compie in pochi esplicativi fotogrammi, drammaticamente erosi dal fuoco; o basti osservare lo sguardo che ha l'ispettore Matthai mentre attende l'arrivo dell'assassino: quello, allucinato, dell'immenso Jack Nicholson.

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2013-06-05 09:20:07 Ginseng666
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    05 Giugno, 2013
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Il caos e la fatalità del caso...

Questo libro è la dimostrazione lampante che il destino supera notevolmente la volontà umana....
Tutto pare preordinato e occorre una buona dose di fortuna perchè il male, l'omicidio e i colpevoli vengono acciuffati....
Il romanzo di Durrematt ci pone dinanzi a questa beffa, la beffa crudele della casualità che a volte muove gli avvenimenti in maniera...da renderci impotenti di fronte al male.
La vicenda è emblematica: il commissario Matthai, promette ai genitori straziati di una bambina uccisa da un assassino crudele e feroce, di trovarlo ed assicurarlo alla giustizia.
Per tenere fede a questa appassionata promessa il commissario compirà ogni genere di imprese
coraggiose, insistenti...fino a spingersi all'adozione di una bambina simile a quella morta, per usarla come esca...ed attirare l'assassino in una trappola ben congegnata...
Molto suggestiva la rappresentazione cinematografica del libro...che rende perfettamente l'idea dell'autore...
Il caso...la casualità deciderà diversamente il modo di porre fine agli omicidi..frustrando gli sforzi del povero commissario...
Si sa..."L'uomo propone e Dio dispone" e ancora "La vendetta è del Signore: tu uomo non ti vendicherai...perchè sono io che ripago l'uomo secondo le sue azioni"..ct. dalla bibbia.
In questo modo...l'uomo è solo uno strumento del destino e a volte la giustizia non raggiunge i colpevoli....o li insegue in maniera del tutto diversa da come noi abbiamo programmato...
Certo l'amarezza ci può abbattere....ma infine....la casualità è sempre....lo strumento usato da Dio per colpire il male e i suoi seguaci..
Consigliato, anche per le profonde riflessioni che suscita.
Saluti.
Ginseng666

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2013-06-05 08:44:55 marlon
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marlon Opinione inserita da marlon    05 Giugno, 2013
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SIAMO SOLI (???)

Siamo in Svizzera, anni ’50. Matthai è un commissario di provincia, lavora in un commissariato sperduto tra i cantoni. Famoso per essere un poliziotto infallibile, freddo e intuitivo, Matthai si imbatte in un caso di omicidio. La vittima è una bambina di 7 anni, uccisa a colpi di rasoio e abbandonata tra i boschi. Il dolore e la disperazione dei genitori della bambina colpiscono al cuore il commissario. Quest’ultimo farà la promessa di catturare l’assassino. Ad ogni costo. Questa promessa lo porterà ad indagare in modo ossessivo, tra lo scetticismo dei colleghi ottusi e superficiali. Addirittura arriverà al punto, nel corso del tempo, di adottare una bambina e usarla come esca per l’assassino!! L’ossessione nel mantenere la parola data lo porterà inesorabilmente alla pazzia. Fino alla RIVELAZIONE finale….
Il titolo (REQUIEM PER IL ROMANZO GIALLO) la dice tutta sul racconto, breve ( circa 150 pagine ) e spietato! L’autore è il primo che ci spiega come tutto sia governato dal CASO ( O DAL CAOS ?!!) e ha letteralmente demolito il romanzo giallo risolto con la logica e le sue intuizioni. Purtroppo la realtà ci insegna che spesso le indagini non portano a nulla e i colpevoli rimangono impuniti. E questo succede tutti i giorni in ogni angolo del globo. IL BENE NON VINCE SEMPRE. Durrenmatt ci sbatte in faccia la realtà facendoci sentire più vulnerabili, più “ esposti” al caso ( o caos…), più soli… proprio come il commissario Matthai !!
E’ il primo libro e unico libro che ho letto di Durrenmatt. Non sarà l’ultimo. Consigliatissimo…

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La promessa. Un requiem per il romanzo 2012-11-08 07:44:47 gracy
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gracy Opinione inserita da gracy    08 Novembre, 2012
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Cappuccetto rosso vieni vieni qua!

Tutto parte da un omicidio efferato, viene trucidata a colpi di rasoio una bambina nei pressi del bosco di Magendorf, vicino a Zurigo, si scopre un reo confesso e il caso sembrerebbe chiuso, invece il commissario di polizia Matthai intuisce che oltre ogni ragionevole dubbio l’assassino non è lui e promette di trovare il vero colpevole.
Ecco il requiem del giallo im-perfetto! Il delitto perfetto e le indagini più insolite, Durrenmatt confeziona un gioiello letterario che racchiude tutte le difficoltà giudiziarie che le indagini incontrano con la logica e che il fallimento o la risoluzione dipendano dal caso. Non è un caso che il commissario metta in gioco tutta la sua carriera e che gli eventi vengano raccontati con tanto distacco e angoscia fino a ribaltare le regole della normale indagine, impersonando la figura dell’eroe e dell’antieroe assieme. Pubblicato nel 1958, mi fa pensare ai delitti di casa nostra che ancora non hanno un colpevole e che Durrenmatt ci abbia voluto lasciare una piccola eredità sui “gialli” utilizzando una prosa appagante che da spazio al lettore di fare un’attenta analisi attraverso la razionalità e la capacità di critica, dove l’uomo malgrado si sforzi a cercare la perfezione deve fare i conti con il caso e che fare promesse è sempre rischioso.

“Dobbiamo guardarci dal considerare questi fantasmi come fossero qualcosa "in sé," come se si trovassero fuori dello spirito umano, o, peggio ancora: non commettiamo lo sbaglio di considerarli come un errore evitabile, sbaglio che ci potrebbe indurre a condannare il mondo in una sorta di morale caparbia e dispettosa, qualora tentassimo di imporre una visione perfettamente razionale delle cose, giacché proprio la sua perfezione assoluta costituirebbe la sua menzogna mortale e un segno della peggiore cecità. Mi perdoni questo commento introdotto a metà della mia bella storia, un commento certo discutibile per un filosofo, lo so, ma deve concedere ad un vecchio come me di fare le sue considerazioni su ciò che ha vissuto, per quanto approssimative esse siano. E dopo tutto, benché io provenga dalla polizia, mi sforzo comunque di essere un uomo e non un bue.”

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Friedrich Dürrenmatt credo che vada letto almeno una volta nella vita!
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