La prigione La prigione

La prigione

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«Quanti mesi, quanti anni ci vogliono perché un bambino diventi un ragazzo, e un ragazzo un uomo?». Ad Alain Poitaud, direttore appena trentaduenne di un settimanale di enorme successo, bastano poche ore per smettere di essere l’uomo che è stato e «diventare un altro». Accade in una piovosa sera di ottobre, allorché, tornando a casa per cambiarsi in vista di una cena in compagnia della moglie Jacqueline e della piccola corte di cui è solito circondarsi, trova ad aspettarlo davanti al portone un ispettore della Polizia giudiziaria. Poco dopo, al Quai des Orfèvres, si sentirà dire che Jacqueline ha ucciso la sorella minore, Adrienne, con un colpo di pistola, chiudendosi poi in un mutismo assoluto. La stampa ci metterà poco a scoprire che con Adrienne, per parecchi anni, Alain è andato a letto regolarmente, e parlerà di «dramma della gelosia», ma lui – l’uomo cinico, superficiale, mondano, il donnaiolo incallito sempre pronto a fare dell’ironia – comincerà a chiedersi quale sia stato il vero motivo di quel gesto. E mentre la polizia conduce la sua indagine, si interrogherà su quella giovane donna accondiscendente e discreta (tanto che fin dall’inizio l’ha chiamata Micetta), che ha sposato quasi per gioco, che gli è sempre stata accanto senza chiedere niente – ma, soprattutto, in un crescendo di smarrimento e di angoscia, si interrogherà su se stesso.



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La prigione 2024-08-18 14:16:08 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    18 Agosto, 2024
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Nello specchio

«[…] Non aveva perso il senso dell’umorismo. Gli piaceva fare dell’ironia, a volte anche piuttosto pesante. Non era, in fondo, l’unico atteggiamento sensato nei confronti della stupidità della vita e delle persone?»

Avvicinarsi a un Geogers Simenon non Maigret è sempre un’esperienza unica e fortemente introspettiva. Tanti sono gli echi autobiografici che si respirano in queste opere e altrettanto numerose sono le riflessioni sulle figure femminili che da sempre affascinano l’autore. Non a caso, in molti suoi scritti non dedicati al celebre commissario, son proprio le donne a reggere le fila della narrazione con tutte le loro profondità e criticità. “La prigione” è un romanzo classe 1967 ed appartiene all’ultima produzione simenoniana. Approda in Italia nel 1968 per Mondadori, sparisce dai cataloghi e le librerie quasi subito e torna a vedere la luce grazie ad Adelphi che sta ripubblicando l’intera opera dell’autore. Lo scritto appartiene a una delle fasi più complesse della vita di Simenon, se in opere quali “L’orologiaio di Everton” o “Il fondo della bottiglia” l’autore doveva vedersela con la perdita del fratello e il senso di colpa attraversando un altro periodo nero della sua produzione, qui è costretto a fare i conti con la separazione dalla moglie Denyse Ouimet a seguito anche delle numerosissime e mai celate relazioni extraconiugali del marito.
Ne “La prigione” protagonista è Alain Poitaud di anni trentadue e di professione direttore del “Toi”, una rivista molto quotata da lui fondata. La moglie Jacqueline, soprannominata Micetta, è a sua volta giornalista ma freelance. Il soprannome deriva dal fatto che la donna ha un carattere molto mite e accondiscendente. Tra i due la relazione è basata sulla libertà, cene conviviali, appuntamenti di lavoro, scappatelle occasionali ed anche molti bicchieri di scotch o whisky. Alain spersonalizza le persone che incontra, nessuna ha un nome, sono tutte “cocco” o “bella mia” senza troppe distinzioni.
Quando la vicenda ha inizio è il 18 ottobre, Poitaud sta rientrando a casa, ha in programma una cena con gli amici e ad attenderlo trova un funzionario di polizia. La sua Micetta non è ancora rientrata. A prima vista viene a delinearsi un giallo atipico, sappiamo quasi subito che la donna ha prelevato la pistola del compagno per sparare alla sorella. Tuttavia, da subito, il lettore si accorge di trovarsi davanti a uno scritto ben diverso, non solo un giallo atipico ma anche un romanzo sociale e psicologico che scuote già a partire dalla caratterizzazione del personaggio principale. Alain fatica a suscitare empatia, ad entrare nelle grazie del conoscitore. È un uomo superficiale, borioso, anaempatico, forte bevitore e dedito a sminuire i legami e gli affetti. Simenon descrive il rapporto di coppia di una relazione alto-borghese con una vita piatta, vuota e vissuta tra parvenze e finta convivialità. Basti pensare che i due hanno un figlio di cinque anni che nelle pagine quasi non compare. Il conoscitore sa che esiste ma non lo incontra, quest’ultimo vive nella casa di campagna insieme ai domestici che lo crescono ed educano.
Pagina dopo pagina assisteremo a una trasformazione del protagonista e man mano che il romanzo prenderà forma ne intuiremo anche quella che è l’inevitabile declino finale. L’epilogo non sarà infatti felice.

«[…] Si vergognava. Era più forte di lui.»

Ed ecco allora che “La prigione” ci porta ad affrontare un viaggio totalmente introspettivo per mezzo di Alain, Micetta e tutti i personaggi che ne costellano lo svolgersi. Alain si rende conto che la sua vita non è altro che una menzogna, una costruzione perfetta di finzione e inutilità, un luogo dove indossare maschere su maschere sino a perdere se stesso. Anche scavando oltre quel personaggio che si è costruito, non sa più chi è.
Jacqueline, di contro, è una donna che ha sempre vissuto seguendo i canoni imposti e previsti dal marito, con carattere discreto e accondiscendente, ma da sempre odia la sorella con cui Alain ha anche avuto una relazione, seppur finita un anno prima al delitto. È questo ciò che fa pensare a un delitto passionale. Ella semplicemente decide di smetterla di vivere all’ombra di Alain, decide di vivere e non più nascondersi dietro una parvenza. Sa di aver contraddetto al marito e per questo si scusa anche per non essere stata la Micetta che lui desiderava.
Ma quanto possono reggere gli inganni? Quanto la maschera può durare? Quanto una vita di finzioni può andare avanti? Quando la miseria dell’animo può reggere alla verità? Non resta che un unico inevitabile epilogo.
Un Simenon cupo, duro, profondo, che nulla risparmia e che trattiene dalla prima all’ultima battuta.

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La prigione 2024-02-11 06:14:08 68
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68 Opinione inserita da 68    11 Febbraio, 2024
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Quale colpa?

..”In realtà aveva le stesse paure degli altri, anche di più, compresa quella di guardare gli uomini in faccia”..

..” era molto stanco, era sceso nel profondo di stesso”..

Alain Poitaud, direttore di una delle riviste più lette in Francia, è un uomo arrivato che guadagna soldi a palate e che si accosta alla gente con un’ intimità esagerata e apparente, sposato con Jacqueline, che chiama Micetta, una donna immobile, assente, spesso silente, una semplice presenza.
La sua vita va di fretta, donne di ogni risma nel suo letto, frequentazioni importanti, epicentro del suo mondo, ma una sera di ottobre tutto e’ destinato a cambiare quando sotto casa si imbatte in un ufficiale giudiziario e in una notizia sconvolgente, Jacqueline ha confessato l’assassinio della sorella minore Adrienne con un colpo di pistola per ritirarsi, da quel momento, in un assoluto silenzio.
Invero Adrienne, giovane donna con dei grandi occhi inespressivi, e’ stata segretamente la sua amante, una storia nata per caso, finita da un anno, quale la causa del suo assassinio, gelosia, vendetta, inganno, e perché Micetta non gli parla più’ se non per scusarsi?
Inizia un’ altra storia, scontata prosecuzione della stessa, la colpevolezza di Jacqueline, rea confessa, è manifesta, i sensi di colpa di Alain non tardano a manifestarsi, mascherati da una vita dedita ad altro, svuotata di tutto, colma di niente, assente dal se’ più profondo. Ogni accusa è infamante, la propria estraneità evidente, che ci sia un’ altra verità da rincorrere?
Alain entra in una narrazione inversa che scava nel passato, fotogrammi di un’ infanzia infelice che vorrebbe cancellare, un matrimonio senza amore, rapporti famigliari scontati e formali, un figlio che vive altrove, il desiderio di riscatto, la paura della solitudine, una convivialita’ artificiosa per non guardare gli altri, decine di donne delle quali conservare vaghi ricordi, una continua anestesia alcolica per cancellare l’ evidenza.
Puo’ uno stato di innocenza tingersi di colpevolezza, invischiato in un fatto di cronaca nera che non lo riguarda ma che lo sottopone allo sguardo e al severo giudizio degli altri, al sospetto dei parenti, come può accettare questa colpa, inviso persino a se stesso?
Perché questo d’ imbarazzo, in fondo non ha fatto niente, il delitto appartiene al passato, non avrebbe potuto intervenire, da che cosa è scosso e in che modo si sente coinvolto? Che abbia paura della solitudine, di non contare più niente, lasciato in disparte, caduto nella dimenticanza, impossibilitato a frequentarsi, di certo si abbandona a una fuga tra un caffè e l’ altro, svuotato, ferito, vittima di se stesso, al termine di una recita impietosa e insensata, tutto, come sempre, nasce da se’.
Quale assassinio si è realmente compiuto, chi il vero colpevole, come vivere e sopravvivere quando predomina l’ insensatezza?
E allora cosa c’è di peggio di un ininterrotto rimuginio, di un’ assenza definitiva, nel rivedersi uno qualunque sostando in uno stato di indifferenza, inevitabilmente perso, abbandonato a una solitudine molesta.
Simenon scompone e ricompone, in una dettagliata e sopraffina indagine psicologica, un thriller che già possiede un colpevole ma che ricerca le cause primarie di questo gesto estremo. Invero tutti gli indizi di una vita confluiscono in uno stato di colpevolezza non punibile perché figlio di un preciso modus vivendi e operandi e l’ estraneita’ dai fatti e’ inversamente proporzionale al proprio sentire.
In una solitudine e inquietudine sempre più’ manifeste un contorno spoglio ed essenziale riversa sul protagonista un’ onta insostenibile, e quella paura che

..”da sempre gli apparteneva e che adesso tutti conoscevano”..

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