La porta La porta

La porta

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«Era possibile che per tutti quegli anni lei fosse stata felice con lui, e che lo fosse ancora?». Stenta a crederlo, Bernard Foy, e non solo perché ha perso entrambe le mani saltando su una mina e non si sente più un vero uomo, ma perché di uomini sua moglie Nelly, che del proprio passato non gli ha nascosto nulla, ha sempre avuto bisogno. Da vent’anni loro due si amano con lo stesso trasporto e la stessa urgenza di quando si sono conosciuti. Eppure Bernard, che passa le sue giornate a spiare le vite degli altri dalla finestra, ad ascoltare i rumori del palazzo e del quartiere, e soprattutto ad aspettare che lei torni dal lavoro, è tormentato dalla gelosia per la vita, di sicuro «più animata, più appassionante», che la moglie conduce fuori casa, e dal bisogno di sapere in ogni momento dove lei sia e che cosa stia facendo: tanto che la sua assenza gli provoca un acuto malessere fisico. Un malessere che è sensibilmente peggiorato da quando Nelly sbriga piccole commissioni per un giovane illustratore che la poliomielite ha inchiodato su una sedia a rotelle e che si è trasferito al primo piano del loro stesso palazzo. E poi, nonostante l’età, lei sembra ogni giorno «più bella, più desiderabile», il che colma Bernard di un’insostenibile angoscia: come non sospettare che si tratti di quella «luce particolare» che emana dal volto di una donna innamorata? A poco a poco, Bernard non farà altro che pensare alla porta dell’appartamento del primo piano, dove lui non è mai entrato, che non è mai riuscito neanche a intravedere... Nessuno come Simenon è capace di compiere, trascinando con sé il lettore, una simile, implacabile discesa nella mente di un uomo dominato dalle sue ossessioni – ossessioni che non potranno che portare a un epilogo fatale.



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La porta 2024-08-15 16:06:15 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    15 Agosto, 2024
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Bernard Foy, Nelly e l'ossessione

«[…] Come in molte vecchie case del quartiere, le finestre, alte e strette, scendevano fino a trenta centimetri dal pavimento e arabeschi in ferro battuto reggevano la sbarra del davanzale.»

“La porta” di Georges Simenon, edito per Adelphi, con traduzione di Laura Frausin Guarino, fu scritto dall’autore a Noland e trovò la conclusione il 10 giugno 1961. Vide la sua prima pubblicazione solo nel 1962 da Presses de la Cité.
Ed è proprio da una delle tante case di quartiere che dalla sua sedia il protagonista, Foy, segue le vicende che si susseguono sulla strada dove vive insieme alla moglie Nelly.
Bernard e Nelly da due decenni sono sposati e vivono in un appartamento sopra la pasticceria Escandon, all’angolo di rue des Minimes. Foy non ha un’occupazione questo perché la sua esistenza è cambiata da quando, mentre si trovava di pattuglia nel bosco durante la Seconda guerra mondiale, le sue mani toccano una mina che poi è esplosa. Da questo momento queste non esistono più e sempre da questo istante, Bernard, non si sente più un vero uomo. In lui si sviluppano mille insicurezze, mille paure, mille fobie che si coniugano e fondono con una morbosa gelosia verso Nelly. La coppia non ha mai smesso di amarsi, la coppia è ancora complice; eppure l’uomo viene roso dalla gelosia. È un sentimento malsano, lo sa, soprattutto dal momento in cui nel palazzo si trasferisce un giovane illustratore inchiodato su una sedia a rotelle dalla poliomielite. Si tratta del fratello di Gisèle, una collega di Nelly della ditta Delangle & Abouet. Questo è il filo conduttore che porta la moglie del protagonista spesso a casa del giovane: ella si occupa di consegnargli dei pacchi da parte della sorella.

«[…] Ci sono giorni, quando ti vedo scendere dall’autobus, in cui mi metterei a urlare di gioia… Fin da quando avevo quattordici anni sognavo il matrimonio, una donna tutta mia, un piccolo mondo di cui sarei stato.»

Ed ecco allora che “La porta” ci mostra un uomo che vive le sue giornate spiando, osservando, pensando. E mentre pensa e più pensa, più sente lontana la donna che ha al proprio fianco, più teme di perderla, più ne è geloso. Una moglie, sia chiaro, che è innamorata del suo compagno per quanto esso sia infelice e per quanto esso sia sfortunato.
Tra queste pagine si respira un perenne senso di solitudine, di vuoto, di pensieri che sono l’unica grande compagnia in un appartamento che è inquietudine. L’ossessione si fonde con la menomazione, la ricerca di affetto e carezze si coniuga con la fragilità dell’animo umano e del sentimento che può essere messo in dubbio con tutto. Ed ecco allora che Simenon, con la sua solita prosa cruda e intrisa di verismo, delinea i tratti di un uomo debole, affranto, disfatto sino a quello che ne è il tragico ma inevitabile epilogo.

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La porta 2024-07-25 10:06:19 68
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68 Opinione inserita da 68    25 Luglio, 2024
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Ossessione funesta


…” Scusa. Ti amo Nelly. Anch’io, Bernard”…

Quale l’ identità di Bernard Foy, il menomato protagonista del romanzo, quale porzione di se’ egli rappresenta, omette, nasconde, accompagnato da un vissuto monodimensionale, quale futuro per chi fatica a stare nel presente, quale legame amoroso con chi lo ama e lo protegge, come vive una menomazione che restituisce solitudine, gelosia, rabbia, quanto riesce a leggersi dentro, vittima della propria visione maniacale, come indirizza il proprio destino?
Anni prima Bernard ha subito l’ amputazione di entrambi le mani a causa di una mina, da venti è sposato con Nelly, una donna che ritiene d’ amare e che amorevolmente continua a prendersi cura di lui, unico sostentamento della coppia,
Lunghe ore trascorse alla finestra in una metropoli rovente in compagnia della propria menomazione, Bernhard osserva, immagina, riflette, si introduce nelle vite altrui, rivede la propria storia, versione critica di se’, di ciò che è stato, che avrebbe potuto essere, che non è, costruendosi una trama del tutto personale, percorso da una gelosia incontrollabile, protagonista del suo non essere, pronta a impadronirsi di reale e immaginario restituendo un esito infausto.
Come sempre una trama scarna, essenziale, claustrofobia, sguardi, attese, silenzi, tratti costruiti su possibilità, presupposti, inganni, un reale altrove e diverso, fantasmi rivisitati, un’ idea marchiata da un’ ossessione in un declino inevitabilmente certo. Bernard si nutre di un se’ dal quale vorrebbe sottrarsi auspicando prospettive diverse, la gelosia lo prende e si fa sostanza, si allontana e ritorna confutando speranze illusorie, imprigionandolo in una solitudine e in uno stato di follia che credeva lontano.
Che cosa Bernard intende per gelosia, termine usato e abusato, legittimato e delegittimato da comportamenti avversi e dal proprio delirio, come un’ emozione può sfociare in un sentimento dal quale è impossibile sottrarsi?
Una casa, una strada, rumori di sottofondo, passi, inquilini, volti noti, un auto reclusione e un ribaltamento di ruoli, Bernard a casa, Nelly al lavoro, come giustificare una situazione siffatta laddove ci si ritiene infelici per una mutilazione che ha sottratto al protagonista la reale possibilità di vivere?
Anni di attesa, assaporando le abitudini altrui, una solitudine imbrattata di cattivi pensieri e trasformata

…” in un turbamento a precedere la vertigine”…

Quando l’ ossessione è manifesta, il presente frequenta il passato in una fragilità evidente, si racconta un’ altra storia, a quel punto quanto bastano condivisione, confessione, ascolto, un’ intimità sfociata nella tolleranza a restituire il respiro della normalità cancellando il proprio senso di colpa?
C’è e rimane un sentimento vivido, uno sguardo posato su

…” una porta dal pomolo di maiolica”

, un senso di vuoto che e’ solitudine ingravescente. E allora pensieri invisibili popolano l’ intimità di un appartamento trasformandolo in inquietudine manifesta, sorrisi, allegria, cupezza, sbadataggine, l’ idea che la vita del coniuge sia decisamente più interessante di quella vissuta all’ interno del proprio appartamento.
In questa vita non vita, in parte immaginata, l’ ossessione dell’ invisibilità e della menomazione dell’ altro è uno specchio che riflette la propria colpa, il bisogno di carezze, la fragilità di coppia, uno stato di gelosia permanente, un reale previsto, lo sguardo posato all’ interno di una stanza silente che restituisce distruzione e morte.

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