La pista di ghiaccio
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Recensione della Redazione QLibri
La spada di ghiaccio
Romanzo d’esordio di Bolano, veramente bellissimo. E’ stato classificato come thriller ma non è naturalmente un giallo classico, forse nemmeno un giallo. E’ una cosa inclassificabile, originalissima, forse più romanzo sentimentale che giallo, ma sentimentale senza zucchero, anzi con un po’ d’aceto. Anche se nella narrazione si intrecciano più voci, più storie d’amore o quasi, la voce più interessante è senza dubbio quella del geniale e arrivista Enric Rosquelles, uomo in carriera, poliedrico, pieno di interessi e tutto cervello. E’ bellissima perché Bolano rende la sua voce particolarmente brillante, geniale, scafata in tutto, ma del tutto innocente e idealista in amore fino al limite massimo consentito. Fino a voler vivere una storia d’amore senza mai viverla, facendola muovere come in una pista di ghiaccio nel territorio dell’idea e del sogno in modo da renderla atemporale, forse eterna. Come un filo che si tende al massimo e poi… vedrete voi la fine. La storia sembra non avere nessuna possibilità. Enric è un uomo grasso e poco dotato fisicamente mentre Nuria, campionessa nazionale di pattinaggio, è bellissima. Per qualche oscura ragione Nuria viene esclusa dalla sua squadra e privata della borsa di studio per lo sport, ragion per cui non potrebbe più allenarsi non essendoci una pista in città. Enric, per poter passare del tempo con la ragazza, costruisce una pista di pattinaggio nella villa abbandonata e in rovina di Benvingut dirottando i fondi del comune. La descrizione della pista e della villa sono bellissime come pure tutti i sogni che riguardano il pattinaggio. L’immagine di Enric che sogna di pattinare come Nuria e le immagini legate ai sogni sono incredibili. Anche la pista è un luogo suggestivo, quasi metafisico. E’ descritta al centro di un labirinto, ricavato nell’antico palazzo in rovina, che a sua volta è come un altro labirinto di sale, scale, stanze. La storia è tutta bellissima, con un finale perfetto, leggermente malinconico, del resto non poteva essere diversamente. Alcune immagini e alcuni passaggi sono di una bellezza eccezionale. Pure i libri nel libro sono interessanti e con immagini simboliche: il fiume ad esempio in cui pattina la santa protettrice delle pattinatrici è come una spada che separa giorno e notte. Così la pista è teatro di una storia d’ amore atemporale, che Enric vorrebbe eterna, ma sembra anche un altare dove si compie il “sacrificio umano”. Secondo me, questo è il miglior libro di Bolano.
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Quel che è perso è perso
Ci avvertono subito Remo, Gaspar ed Enric, personaggi e voci narranti de “La pista di ghiaccio”: in questa storia troveremo un delitto, uno scandalo comunale e un triste segreto. Se prendessimo però la mappa di un giallo, da utilizzare come guida per affrontare la lettura, basterebbero poche pagine per capire di essere al cospetto di un percorso assai diverso, che non segue alcuna delle direzioni attese e si fa beffe di indizi, indagini, colpevoli. E, forse, persino della verità.
Qual è il cuore del romanzo, allora? Difficile a dirsi, con Roberto Bolano, ma il bello sta probabilmente proprio nel lasciarsi trasportare, senza rotta e senza meta, da queste tre voci così diverse, seppur sfumate dalle stesse ombre di malinconia. Un ex-scrittore cileno convertitosi in commerciante catalano. Un poeta messicano dall’animo vagabondo. Un pingue spagnolo in bilico tra potere e frustrazione. Sembrerebbero lontani anni luce, invece le loro voci parlano della stessa città, degli stessi personaggi, della stessa solitudine, offrendoci la loro porzione di verità. Non la verità della vittima e del colpevole, che rimane quasi un affresco sullo sfondo, ma una verità fatta di desideri inconfessati, di passioni impossibili, di impulsi improvvisi e inquietudini silenziose, che ruotano intorno a una pista di ghiaccio abusiva, costruita nel maestoso e ormai decadente Palazzo Benvingut.
Nell’afa di una torrida estate catalana, in cui l’aria è tanto densa da sembrare solida e il pulviscolo danza senza sosta nella luce abbagliante, il gelido spazio di una pista di pattinaggio, con la sua innaturale e fredda immobilità, si fa così simbolo di un’umanità ammaccata, tormentata, smarrita nel mondo, che si muove fuori dal tempo, come sospesa in un labirintico sogno.
“Siamo tutti così abituati a morire di tanto in tanto e piano piano che in realtà siamo ogni giorno più vivi. Infinitamente vecchi e infinitamente vivi”.
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I sentimenti forti
Sul bianco del ghiaccio, il rosso del sangue si imprime ancor più negli occhi.
E’ quello di una donna ammazzata sulla pista di un palaghiaccio che lì a Z. – un paese non troppo distante da Barcellona – sembra una cattedrale nel deserto, una costruzione senza una ragione apparente.
Ma il senso di quell’edificio è dato da un sentimento: l’innamoramento del pingue Enric Rosquelles – braccio destro del sindaco – per Nuria, la campionessa mondiale di pattinaggio dal corpo che mozza il fiato. E’ Enric che in qualche modo sottrae il danaro pubblico a una più naturale destinazione, e che, all’insaputa dell’intero Municipio di Z., riesce a fare del decadente Palazzo Benvingut uno stupefacente e muto dono d’amore.
Ad essere affascinato da Nuria è anche Remo Moran, gestore del campeggio Stella Maris, frequentato dalla varia umanità, e nel quale lavora Gaspar Heredia, invece attratto dalla misteriosa Caridad, la donna che gira con un coltello sotto la maglietta.
Tutti questi personaggi, in un evolversi dei fatti concentrico e senza scampo, hanno qualcosa a che fare con quell’inaudito ritrovamento sulla pista ghiacciata.
Il romanzo d’esordio di Roberto Bolano ha i tratti tipici della letteratura sudamericana: il racconto in prima persona – una triplice prima persona, considerato che i personaggi di Remo, Gaspar ed Enric ricevono voce in una perfetta alternanza di capitoli – si incentra sul rapporto tra gli individui, sui sentimenti di attrazione e repulsione che tra essi si sviluppano, lasciati scorrere non attraverso i fatti e gli intrecci del racconto, ma direttamente dalle parole, dai gesti, dalle sensazioni.
Capita tuttavia, con gli scrittori sudamericani, che la galleria di personaggi maggiori e minori si ponga a troppa “distanza” dalla storia, o che quest’ultima si appiattisca troppo sulle loro vicende, trasformandosi in qualcos’altro. In questo primo romanzo di Bolano sembra accadere qualcosa di simile: a volte la trama sembra troppo labile per mantenere unite le diverse storie. Non labile in sé, in ogni caso, ed è per questo che “La pista di ghiaccio” scivola sino alla fine, quando il tentativo di ritrovare l’unità del racconto riesce soprattutto nel personaggio di Enric Rosquelles (forse il più bello e dolente del libro).
Amore, potere e un omicidio
“La pista di ghiaccio” è il primo romanzo scritto da Roberto Bolaño, pubblicato in Spagna nel 1993 e riproposto nell'edizione Adelphi nel 2018 con la traduzione di Ilide Carmignani.
Tre voci si alternano nella narrazione, quella di Remo Morán, Gaspar Heredia e Enric Rosquelles, per raccontare avvenimenti che si sono svolti a Z, una cittadina sulla Costa Brava, nel corso di una lunga estate che sfocia fino all'inizio dell'autunno e alla conseguente fine della stagione turistica. Enric, Gaspar e Remo saranno protagonisti di una vicenda particolare, che culminerà nel brutale omicidio di una donna. Non stiamo leggendo un giallo o un thriller, più semplicemente ci troviamo di fronte ad una storia di ordinaria umanità. Il desiderio di due di questi uomini, Enric e Remo, si indirizza verso una giovane e bellissima ragazza, Nuria, promettente campionessa di pattinaggio sul ghiaccio. Nuria intesse una relazione con entrambi, anche se di natura completamente diversa. Gaspar invece, Gasparín per gli amici, è il testimone principale dell'evento attorno a cui ruota la narrazione: ma si tratta di un testimone che non giudica e che non si fa per niente incantare dalle apparenze.
Bolaño sembra giocare con noi lettori regalandoci una storia apparentemente complessa e intricata, in realtà abbastanza lineare, semplicemente molto umana. La maestria dell'autore riesce a catturarci attraverso la tecnica delle “confessioni incrociate”, che in seguito hanno spopolato nelle serie televisive e a farci assaporare così uno spaccato di vita: l'amore carnale e quello platonico, la violenza, la gelosia, la corruzione, la difficoltà a realizzarsi nella società e la facilità con cui se ne viene estromessi quando invece se ne era ai vertici. Niente è come sembra, è necessario avere uno sguardo più attento, più profondo, scavare di più nel contorto, contraddittorio e sorprendente animo umano.
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Sangue, ghiaccio e storie d'amore
Potremmo definirlo un noir. Potremmo parlare di storia d'amore. Potremmo considerarlo un viaggio introspettivo nell'anima e nelle ambizioni di gente comune di provincia. La pista di ghiaccio è in effetti tutto ciò senza essere esclusivamente nessuna delle tre. È un libro eclettico, fuori dagli schemi, difficilmente circoscrivibile mediante un'unica definizione. È un'opera vivace pur essendo malinconica, divertente ma anche triste, disillusa ma per lunghi tratti romantica. Pagine di poetica prosa sudamericana con cui Roberto Bolano dimostra il suo talento di narratore e la sua capacità di analizzare l'animo umano. Ci sono tre voci narranti che si alternano in una serie di capitoli che hanno per titolo la loro stessa frase iniziale. Remo Moràn, Enric Rosquelles, Gaspar Heredia. Remo è un aspirante scrittore fallito, esule cileno che ha fatto fortuna in Costa Brava con una serie di attività commerciali. Enric è un pingue burocrate, braccio destro del sindaco di Z, non meglio identificata località catalana teatro dei fatti narrati. Gaspar è un poeta Messicano che, a corto di risorse, si ritrova nel Vecchio Continente a sbarcare il lunario come guardiano notturno in un campeggio. Le vite dei tre si intersecano orbitando intorno ad una serie di eventi, di incontri e di luoghi. Un omicidio, una pista di ghiaccio abusiva, una villa abbandonata. Punti di vista diversi della stessa storia, ognuno però arricchito dalle vicende personali del narratore. E poi tre donne che potremmo definire, ognuna a suo modo, fatali. La bella Nuria, reginetta del luogo, virtuosa di pattinaggio sul ghiaccio, amante carnale di Remo e amore platonico di Enric. La borderline Caridad, che gira armata di coltello e fa girare la testa al povero Gaspar. La vulcanica Carmen, roboante vagabonda con un passato da cantante lirica. Quale gelido segreto si nasconde dietro quella lastra ghiacciata macchiata di sangue? Come incideranno gli eventi sulle abitudini, sugli amori, insomma sulla vita dei protagonisti? Quali sorprese, emozioni, riflessioni attendono il lettore ad ogni nuovo capitolo? "L'asino, dopo la pioggia, sembrava felice. Allora, come vomitati da una nuvola nera, da un'estremità della stazione, spuntarono due poliziotti e un carabiniere. Pensai che venissero ad arrestarci. Con la coda dell'occhio li vidi avanzare lentamente, flemmatici, verso di noi, con le mani pronte a sfoderare l'arma. Quell'animale e io ci assomigliamo, disse Caridad con voce sognante. Siamo stranieri nel nostro stesso paese. Avrei voluto dirle che si sbagliava, che lì l'unico cui potevano applicare la legge degli stranieri ero io, ma non aprii la bocca. La presi dolcemente per la vita e attesi. Caridad, pensai, era straniera a Dio, alla polizia, a se stessa, ma non a me. Si poteva dire lo stesso dell'asino. Gli sbirri si fermarono a metà strada. Entrarono nel bar della stazione, prima i poliziotti, poi il carabiniere, e, miracolo uditivo!, li sentii chiaramente ordinare due macchiati e un corretto. L'asino ragliò di nuovo. Lo contemplammo per un bel po'. Caridad mi passò un braccio intorno alle spalle e rimanemmo così finché non arrivò il treno...".
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Uomini
Tre uomini, tre voci corali, una truffa ai danni dello Stato, una donna imprendibile dalla silhouette leggiadra e dalle doti di pattinatrice, un omicidio (una morte che è preannunciata sin dalle prime pagine ma che eppure trae in inganno perché resta costantemente sullo sfondo di ben altro oggetto, problema, pensiero cosicché impossibile è ritenere di trovarsi innanzi ad un romanzo noir o almeno ad un noir nel suo stile canonico), sono soltanto alcuni degli elementi che compongono “La pista di ghiaccio” di Roberto Bolano e sua opera prima.
Se infatti deciderete di avvicinarvi a questo scritto con la convinzione di approcciarvi “soltanto” ad un giallo, ne resterete delusi. Perché questo elaborato, redatto con una particolarissima formula narrativa e strutturato sull’intervallarsi di più voci narranti che ricordano la malinconia propria di autori quali Jean-Claude Izzo o Kazuo Ishiguro, che ricordano la composizione di “Sostiene Pereira” (per l’incipit di ogni breve capitoletto e ancor più il misticismo proprio) di Tabucchi, che ricordano il dolore dell’animo umano caratteristico di Pessoa e che ancora alternano vicende del concreto, della realtà con immagini visionarie, illusioni, fantasie, pensieri e pensieri che attanagliano il cuore e lo spirito di ciascun protagonista, destruttura completamente la formula del noir ovvero di quei passi-chiave che appartengono al genere e che consentono al lettore di ricostruire dell’arcano e di giungere alla risoluzione del caso che è posto, in questo caso, talmente in secondo piano da essere affrontato e, appunto risolto, dall’autore soltanto nella parte finale del libro, per dar al contrari spazio e priorità a stati quali la solitudine, l’umanità, i dubbi, i dolori, le paure, i desideri, le finzioni della mente.
Il tutto mediante un intrecciarsi di storie e di voci che si intersecano tra loro all’inizio confondendo perché difficilmente riconoscibili, di poi, rendendosi sempre più chiare e esclusive dell’io narrante di turno. Ciascuno ha una sua storia fatta di passioni e fragilità e la pista di ghiaccio finisce con l’esser la metafora di una società incapace di gestire i rapporti e gli affetti e dove, tra la massa, emergono uomini che ancora non hanno trovato il loro posto nel mondo, o che forse, addirittura, ancora non sanno chi sono e cosa vogliono.
Il risultato finale è quello di un romanzo d’esordio forte, profondo, introspettivo, malinconico e duro che fa riflettere e auto-interrogarsi e in cui emerge la maestria e la bravura di un autore scomparso, ahimé, a soli cinquant’anni nel 2003, ma che aveva tanto da dare e che per fortuna ci ha lasciato tanto da leggere.
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Una storia corale
Punto di forza di quest’opera di Roberto Bolaño, pubblicata nell’ormai lontano 1993, è sicuramente il meccanismo narrativo che prevede la sovrapposizione di più voci narranti appartenenti a tre personaggi differenti, le cui storie si intersecheranno nel corso del romanzo. Questa sorta di “coralità” ben si adatta ad una storia che pur pescando nel genere noir - prevede infatti la scoperta di un cadavere e la successiva individuazione dell’assassino- definisce la sua peculiarità nella tecnica delle “confessioni incrociate” (come recita appunto la sintesi riportata nell’interno di copertina) dei tre protagonisti. Le voci narranti pertanto si alternano regolarmente ripetendosi di tre in tre, come se idealmente ognuno di loro avesse a disposizione lo stesso spazio per confessare, davanti all’ideale platea dei lettori, le proprie responsabilità in una vicenda a tratti surreale che ruota attorno ad una pista di ghiaccio, destinata ad una avvenente pattinatrice catalana, costruita all’interno di una sfarzosa villa decadente da tempo abbandonata.
Il merito di Bolaño è quello di intrigare presentando dei personaggi piuttosto sui generis che, oltre alle tre voci, prevedono figure assolutamente curiose ed accattivanti, con ruoli non certo secondari, e che si muovono sullo sfondo di “Z”, località balneare di fantasia sulla Costa Brava spagnola. Vale la pena ricordare ad es., la già citata campionessa di pattinaggio che si allena sulla pista di ghiaccio, giovane donna con pochi scrupoli morali pronta a sfruttare la propria bellezza per raggiungere gli obiettivi personali, così come una coppia femminile squattrinata ed ai limiti dell’indigenza, formata da una cantante lirica e da una misteriosa amica di poche parole che nasconde nel grembo un coltello da cucina. In definitiva si tratta di un romanzo che certamente non verrà ricordato per i colpi di scena relativi alla vicenda noir, ma che vale la pena di leggere per l’originalità insita tanto nella costruzione narrativa adottata quanto nella rappresentazione degli “attori“ recitanti.
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Di bellezza si muore
Al centro di un dedalo di stanze e corridoi, nel recesso più intimo di un palazzo in abbandono, cangiante e ceruleo, radicato alla nuda roccia di una scogliera, tra le onde dell’oceano e le altezze del cielo, un uomo in quarantena, ostaggio tanto del suo orgoglio, quanto ingenuamente innamorato della silhouette immaginifica di una indomabile pattinatrice, fa costruire una pista di ghiaccio, a spese dello stato che si vanta di rappresentare. Uno spazio di un realismo evanescente, onirico, che scivola lontano dalle atmosfere magiche di Marquez e accarezza i suoi personaggi fino a delinearne, con sfumata eleganza, i contorni. Certo c’è un omicidio, annunciato fin dalle prime righe, una vittima, un colpevole, ma tutto accade molto tardi, ben oltre la metà del libro, perché il giallo e la politica sono solo un pretesto per dare corpo a una struggente riflessione sull’amore e sulla bellezza. Sentimenti difficili, irrazionali, distruttivi che promettono fin da subito risvolti pericolosi, ma passioni brutali, esiziali di una grazia disarmante. Perché tutto Bolano racconta con una eleganza raccolta, con una prosa raffinatissima e delicata, che continuamente trascolora dalla concretezza della carne ai voli dello spirito.
Le voci di tre uomini si intrecciano senza soluzione di continuo, riprendono e riespandono piani temporali proteiformi e sdrucciolevoli, ricostruiscono “la cronaca di una morte annunciata”, disinteressandosi del loro stesso scopo. Quello che davvero conta e palpita è la storia dei sentimenti, delle passioni accese che vivono di una fiamma propria e fatua, tremano e si disperdono, per pura forza d’entropia, come lasciate in balia di un caso capriccioso che non risponde ad alcun principio di ordine. E allora la pista di ghiaccio si fa contrasto cromatico e termico per preservare in perpetuo la bellezza. Come in quella storia del cielo che per vincere l’inferno lo cristallizza nel gelo perenne, senza però riuscire a vincere la forza dirompente di una fiamma che continuamente minaccia la superficie.
Questo libro ha in sé la forza evocativa di un film di Myazaki (e non credo sia un paragone troppo azzardato), la placida, magmatica, densa lentezza di Sostiene Pereira, l’epopea di sudamericani smarriti e vagabondi sotto il cielo spagnolo, significativamente rappresentati sotto le tende di un campeggio, ma anche il malinconico abbandono di Ishiguro. Forse mentre si legge, non si ha davvero la percezione della bellezza del testo, ma una volta chiusa l’ultima pagina il lettore è pervaso da una nostalgia feroce, dal vuoto che prova solo chi, fino a un attimo prima, ha tenuto in mano il segreto di una mattina in un'aria di vetro.