La notte del professor Andersen
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La crisi dell'intellettuale in Norvegia
Un remaque de La finestra sul cortile, questo libro di Dag Solstad, intitolato La notte del professor Andersen. Ma non solo: un ritratto particolareggiato delle usanze norvegesi, il ruolo dell’intellettuale nella società norvegese, un monologo interiore sul vuoto morale della modernità. Parte da un delitto per terminare all’analisi della consapevolezza di una crisi, che è quella dell’intellettuale e della sua di lui generazione, mutati nell’intimo e nel proseguo della vita. E’ un noir filosofico, con poca azione, ma ricco di “polpa esistenziale”.
Il professor Andersen è, appunto, un professore universitario, un po’ dandy, insegna all’Università di Oslo, dove insegna letteratura, che è:
“un dandy antimaterialista in completo italiano solo al tavolo di un ristorante. Godeva comparire così davanti ai suoi studenti (…). In realtà non voleva far colpo su di loro, ma su se stesso. Indossare uno di quei completi gli dava un inebriante senso di libertà.”.
E’ la notte di Natale, e il professore sta festeggiando la ricorrenza con tutti i crismi. Non tanto perché ci crede, ma in quanto gli procura una felicità interiore, che è:
“ un ossequio alla tradizione culturale del suo paese, non da un senso religioso. La sua è una devozione atea a resti del passato, (…) smarrendosi nella nebbia della storia poco dopo aver visto la luce.”
In questo stato d’animo si affaccia alla finestra dove assiste ad un omicidio: un giovane uomo stringe forte il collo ad una donna, che crolla a terra. Dopo di che le tende vengono tirate e con loro cala il buio più totale. Il professore si rende conto di dover avvertire la polizia, ma non ci riesce. Solleva la cornetta del telefono e poi l’abbassa. Ne scaturisce il racconto, denso e filosofico, del flusso di coscienza che ne scaturisce. E’ uno scavo intimo e riflette non solo sulla coerenza e sul senso delle scelte individuali, ma anche sulla coscienza storica ed intellettuale della sua generazione. Ci sono pagine bellissime sullo scorrere del tempo e l’immortalità dell’ingegno dell’arte. Per non parlare della crisi dell’intellettuale moderno che lo conduce a domandarsi dove è finito il sentimento della sua generazione, quell’alleanza fra radicalismo politico ed avanguardia artistica, alla luce delle mutate condizioni socio-economiche della maturità.
Il dilemma è tra realtà e rappresentazione, e quello tra volontà e rappresentazione che sfocia in una forte dissonanza cognitiva: quello che è certamente successo (l’omicidio, di cui il lettore dubita fortemente), e il racconto, ovvero la rappresentazione di quel fatto.
Il colpo di scena di questo giallo metafisico è questa secca aporia lasciata in eredità al lettore. Così “l’autocoscienza” si disperde in una miriade di possibilità, che conducono al null, al nichilismo. Una lettura densa, molto forte.