La neve era sporca La neve era sporca

La neve era sporca

Letteratura straniera

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Frank ha diciannove anni, freddo, scostante, insolente e solitario. Il ragazzo vuole in segreto iniziarsi alla vita e pensa di poterlo fare uccidendo senza ragione qualcuno.



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La neve era sporca 2024-02-20 15:12:02 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    20 Febbraio, 2024
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Cattivi ragazzi

Dimenticatevi il burbero bonario Maigret, questo è un romanzo di Georges Simenon un po' insolito, durissimo, spietato, brutale quanto il protagonista, l'autore ci appare più coinvolto direttamente in quanto scrive, e perciò più cupo, forse, e non solo perché l’epoca è quella buia dell’occupazione nazista. Direi invece che trapela chiaro come sia un romanzo letteralmente redatto da un autore sofferente interiormente per motivi suoi, come in effetti è, depresso e dolorante. Intendiamoci, la mano è sempre la sua, però la penna per quanto valente è intinta in un inchiostro nerissimo, accecante, cinico nella sua oscurità. Simenon è normalmente un attento osservatore di fatti e persone del suo tempo, ma in particolare sa leggere benissimo nel cuore dei suoi simili. Il più delle volte quello che legge non è luce, non tutto almeno, ma stavolta sembra soffermarsi particolarmente solo sulle linee più marcate a carbone brunito. Protagonista è Frank, un ragazzotto triste e sprezzante, all’apparenza uno come tanti, che però è quello che definiremmo un giovanotto parecchio problematico. Privo di padre e di una qualsivoglia guida morale, poiché la madre è coinvolta nei biechi affari del meretricio, è di conseguenza pessimo esempio educativo da seguire, il giovane Frank cresce come un vizioso sfaccendato, non studia, non lavora, batte la fiacca oziando con gli amici. Neanche ha bisogno di mostrare il meglio di sè, comportarsi da bravo ragazzo simpatico ed attraente per rimorchiare qualche ragazza, infatti nell’impresa di famiglia ha modo di sfogare i suoi ormoni in subbuglio, senza sforzo, gratis et amor dei, per cui persiste a militare tra i cattivi ragazzi. Il tutto lo rende un individuo affatto solare, con un cipiglio duro e cattivo. L’ozio è il padre dei vizi, e in un giovane immaturo e presuntuoso, con le carenze affettive del nostro, insieme ad una sorta di innata cattiveria e scarsa empatia per i suoi simili, inevitabilmente lo spinge sempre più in basso nell’abisso dell’abiezione, fino all’assassinio. Né vale ad arrestarlo l’intervento amorevole della crocerossina di turno, questa non è purtroppo una storia tipo la bella e la bestia. Di quella favola c’è sola la neve, ma non è candida, fresca, immacolata, è neve sporca, perciò grigia, scura, rispecchia l’anima del protagonista: una persona odiosa e pericolosa, da mandare a processo per il suo delitto perché gli venga comminato il giusto castigo, quasi come se “La neve sporca” fosse a suo modo un connubio tra “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij e “Il processo” di Franz Kafka.
Solo che, e questo Simenon lo dice tra i denti, più che le righe, la neve prima di sporcarsi è bianca, disarmata, virginea. Lo era anche Frank: che aveva il vizio, forse più che pavoneggiarsi che per altro, di stringere gli occhi a fessura. La luce sarebbe passata anche da quella crepa, illuminandogli l’anima nera che si ritrovava certamente non per sua sola colpa. Però è rimasto indietro, nessuno si salva da solo, chiunque chiede salvezza, Frank è ragazzo buio perché conosce solo il buio: aspirava anche lui ad amore, affetto, empatia. Ma aveva stretto gli occhi troppo forte perché le emozioni solari filtrassero; magari trapela un lieve barlume, diciamolo tra i denti, è un cattivo ragazzo, ma più vittima che carnefice. In sintesi, un Simenon diverso, sempre grande, però a denti stretti.
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Georges Simenon
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La neve era sporca 2023-04-29 19:11:07 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    29 Aprile, 2023
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Alla ricerca del delitto salvezza

«Sempre neve sporca, tutta quella neve che pare marcita, con tracce nere e incrostazioni di detriti. La polvere bianca che ogni tanto si stacca dalla volta celeste, a piccole dosi, come il calcinaccio da un soffitto, non giunge a coprire quel sudiciume.»

Siamo in Europa, Nord Europa. Un luogo non ben precisato, una località incastonata in quel dell’occupazione nazista. Questo almeno, ciò che si può dedurre perché alcunché è esplicitato. Protagonista di queste pagine è Frank Friedmaier, giovanotto diciannovenne, senza arte né parte, che non studia e non lavora e che trascorre le proprie giornate da Timo, un locale noto in cui si reca per trascorrere qualche serata in compagnia degli “amici”.
Lotte, la madre, è una signora piacente ma anche astuta. Ha destinato la sua umile dimora a bordello, le ragazze non devono avere che tra i sedici e i diciotto anni, e ad abitarla vi sono madre e figlio ma anche alcune ragazze che la donna desidera avere sempre a disposizione per ogni necessità.
Frank è una figura scostante, insolente, irritante, fredda, solitaria. Agisce con cinismo, è anaffettivo, prova solo rabbia e disprezzo per ciò che lo circonda e per chi incontra. Il prossimo è destinatario di volontaria cattiveria, la madre è patetica e insulsa, le ragazze del bordello sono oggetti con cui divertirsi e che mai gli si negherebbero essendo lui il figlio della padrona. E quale modo migliore per la sua iniziazione se non l’omicidio e senza ragione? Alla sua veneranda età di diciannove anni, deve pur in qualche modo entrare nel mondo degli adulti.
La madre stessa lo teme. Nota in lui atteggiamenti e sguardi intrisi di cattiveria e malevolenza, cerca di tenerlo buono e di destinargli attenzioni che però sono percepite in senso negativo tanto da infastidire il giovane uomo.
Da Timo intesse un rapporto di conoscenza con Kromer che si vanta, e senza troppo lesinare, di aver ammazzato un uomo. Da qui Frank matura la necessità di procedere con il suo di primo assassinio (vicino casa, Holst, unico testimone non per caso e non a caso) ai danni di un sottoufficiale con un lungo coltello. Non prova rimorso, non prova pietà. È impassibile. Deve contrastare la noia, dimostrare che riesce a togliere la vita a uno sconosciuto senza sbagliare, senza provare rimorso e/o pietitudine.
Tuttavia, qualcuno si innamora di lui: Sissy. Sissy, la giovanissima figlia di Holst, un uomo umile che guida i tram e che vive per questa giovane donna che se ne sta sempre chiusa in casa. Frank si accorge dell’interesse della ragazza verso di lui, si accorge del fatto che quando passa ella sbircia dalla porta socchiusa. È un’anima pura e innocente, percepisce il pericolo nell’uomo ma al cuore non riesce a comandare. Tanto ne è attratta, tanto ne è intimorita. Esattamente come Minna, ospite della madre di Frank ma di questo tanto infatuata quanto terrorizzata.

«Forse era vero: non era triste, ma non provava nemmeno il bisogno di ridere e scherzare. Restava sempre impassibile, ed era questa la cosa che sconcertava.»

Può bastare un solo crimine per sentirsi appagati? No, certo che no. L’asticella si alza, il rischio non è pervenuto. Il ragazzo si mette anche in società con Kromer e continuerà a commettere altri crimini sino ad arrivare a vendere la stessa inconsapevole Sissy. Attirata dalla prospettiva di trascorrere una notte con l’amato, ben altra sarà la sorte che la attenderà. In un certo senso quel che accadrà romperà la presunta corazza di Frank che, per quanto apparentemente imperturbabile, non fa che chiedersi come ella stia essendosi “ammalata” dopo quella notte.
Sono giorni di freddo, di neve. Nel cuore e fuori. Sono giorni in cui Frank è spavaldo, beve e si fregia di una tessera capace di addurre e apportare benefici. Sono giorni di una neve sporca, sudicia, non sinonimo di purezza come verrebbe da pensare. Un po’ come la stessa vita è, un po’ come la stessa metafora della vita ci porta a vivere. La neve per definizione è pura e candida, ma nulla vi è di puro e candido in Frank. Costui è squallido, cinico, meschino, imbruttito dal suo stesso essere. Distrugge Sissy, l’unica capace di dargli un calore che forse avrebbe potuto salvarlo in primis da se stesso.
Frank verrà tratto in arresto, verrà condotto in prigione e tra tutti i reati commessi finirà con l’essere accusato dell’unico di cui non è reo. Che ne sarà di Frank? Della sua apparente lucidità?
Come Raskol’nikov de “Delitto e Castigo” di Dostoevskij ma anche come ne “Il processo” di Kafka, siamo alle prese con un personaggio che dovrà riflettere sulle proprie azioni, che destinatario di un sentimento immeritato dovrà riflettere sul se confessare o meno i suoi veri delitti.
“La neve era sporca” è uno dei libri più complessi del Simenon non Maigret. È uno scritto psicologicamente forte, che mette il lettore davanti alla cupezza e all'oscurità, che mette il lettore davanti a tutto il gelo del periodo storico ma anche dell’anima. Maestro è Simenon, inoltre, nel definire l’ambientazione temporale senza mai esplicitarla. Ciò che più spicca è ad ogni modo la caratterizzazione psicologica del personaggio. Frank è un giovane provato dalla vita. Non è un uomo la cui morale è condividibile e che in alcun modo è giustificabile per le sue azioni ma è anche una figura che viene delineata come diciannovenne ma che istintivamente viene identificata come molto più grande, naturalmente additata di caratteristiche negative, che cresce senza padre, anaffettivo, con una madre di dubbia moralità a sua volta, con due occhi stretti a fessura da cui alcuna luce può passare e ancor meno può esservi spiraglio alcuno di bontà. Una figura che è facilmente identificabile e riconoscibile ma che trasmette anche un fondo di solitudine, tristezza pur nonostante il lettore abbia la consapevolezza di trovarsi davanti a una figura assolutamente incapace di provare emozioni perché non ne conosce. Frank è un uomo solo alla ricerca di un suo essere, alla ricerca di una figura maschile e paterna di cui sente la mancanza come un macigno, è schiacciato da una disperazione di cui non è nemmeno consapevole. Cerca una vita tranquilla e normale, un suo saper essere. Tanta cupezza che chiude il cerchio con uno spiraglio di luce nel finale. Un personaggio cioè atipico e amorale che nelle conclusioni riporta il lettore a quel briciolo di innocenza, amore e bellezza.
Un Simenon provato dal dolore per la perdita del fratello che su suo consiglio si era arruolato alla Legione, un Simenon provato dalle accuse a lui rivolte di collaborazionismo. Un Simenon che nulla risparmia, che scrive un libro nerissimo (insieme a “Il fondo nella bottiglia”), un Simenon di grande impatto psicologico e riflessivo.

«Frank non ha pietà. Di nessuno, nemmeno di se stesso. E non chiede pietà, non ne accetta (...) perché non debba un giorno aver la debolezza di provarne per se stesso.»

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La neve era sporca 2018-08-03 14:14:10 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    03 Agosto, 2018
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Il destino degli uomini

Quando nel 1948 riceve la notizia della morte del fratello, arruolatosi nella Legione straniera su suo consiglio, Simenon scrive due libri nerissimi, forse per espiare le sue colpe, forse per addomesticare i suoi fantasmi. E così prendono vita La neve era sporca e Il fondo nella bottiglia. Se nel secondo la storia si tende fino alla rottura nella dicotomia insanata fra due fratelli, tra la terra rossa delle pianure americane, nel primo è invece Frank, giovane diciannovenne, a compiere la sua parabola di caduta e consapevolezza, tra le nevi stuprate di una indefinita città del centro Europa. La neve era sporca è per molti motivi un testo atipico per Simenon: la freddezza analitica e feroce, il tratto tagliente e logico della disamina dei personaggi lascia spazio, parola per parola, ad un pathos insolito, lacerante e caldo. Ed è proprio questa fiamma interna, questo fuoco contratto, a consumare gli uomini esausti di questo libro, a ridurre in cenere bianca le difese umanissime di cui si circondano. La stessa cenere bianca che si deposita come neve, impura e sporca, sulle loro vite. Perché se c’è una cosa che Simenon sa bene, è che nessuna purezza, nessun candore, è possibile nel mondo, non fosse altro che la realtà è un compromesso e, come tale, corruzione. Ed è la famiglia il cancro primitivo, l’olezzo, la fanghiglia, il degrado. Perché è nel rapporto con i genitori che si forma il dramma e diramano le metastasi della propria perdizione. Il grande tema che percorre queste pagine è, nona caso, la ricerca del padre e tutto il libro non è altro che la continua ricerca di questo maschile che continuamente sfugge. È il tentativo di riempire questo vuoto, il bisogno spasmodico di avere una guida, a muovere le azioni di Frank. E quando l’incontro finale sembra avverare questa originaria istanza, la verità è pura e semplice: “quello di un uomo è un mestiere difficile”. E allora questo romanzo, in cui tutto è crimine, l’omicidio, lo stupro, il furto, si dimostra alla fine un capovolto racconto di formazione, e cioè la compiuta descrizione di un massacro annunciato. Ed è un massacro perché Frank ha scelto che lo sarà, perché la cocciuta pervicacia che è in fondo ottusa resistenza a se stesso, null’altro è che il frutto di un’intelligenza tiepida. Non bisogna mai credere alla maturità ostentata di questo personaggio, mai cedere al mito della sua evoluzione, perché Frank è solo Frank, un diciannovenne. Anni dopo Simenon riprenderà il tema di questo romanzo in un suo altro libro, L’orologiaio di Everton, dove è il rapporto compiuto fra padre-figlio a scoppiare. Il motore narrativo è, in entrambi i casi, il superamento del limite, la soglia oltre quale tutto è troppo oltre per poter tornare in asse. È questo orizzonte, questo tranello minaccioso teso dal destino, a chiamare i personaggi di Simenon e a condurli all’estrema conseguenza delle loro scelte. Perché ogni volta, il vero protagonista, è il destino degli uomini.

E così Frank, incontro al suo destino, artefice di se stesso, consuma la sua parabola tra le sbarre di un carcere, sconfitto nella lucidità che si era imposto di mantenere, da una subitanea consapevolezza: che resistere per l’orgoglio di resistere non serve a niente. Simenon ci lascia alcune delle sue pagine più dense, più pastose, più intransigenti. E forse stona un po’ l’innaturale, incerta, ambientazione del libro, in cui Simenon, paradossalmente, non sembra trovarsi davvero a suo agio. Perché le regole del gioco valgono anche per l’autore: quando sono il dolore e la realtà a bussare alla porta, anche la neve candida della scrittura si sporca.

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La neve era sporca 2015-08-23 18:51:29 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    23 Agosto, 2015
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DELITTO MA ANCHE CASTIGO

Ingredienti: prendete dalla libreria “Delitto e castigo” di Dostoevskij, combinatelo con “Il processo” di Kafka, spruzzate una dose di “1984” di Orwell ed otterrete questo romanzo di Simenon. La storia infatti presenta diverse similitudini con quelle dei tre grandi autori prima citati, in quanto prevede innanzitutto la macchinazione di un delitto, come in Dostoevskij, descrive gli incomprensibili meandri della giustizia e della burocrazia di Kafkiana memoria ed allo stesso tempo, infine, ci ricorda un sistema di polizia segreta, di tortura e detenzione carceraria contenuto nella splendida opera di Orwell.

Questa volta Simenon decide di ambientare la storia in un imprecisato paese dell'Europa centrale occupato da truppe straniere. Si capisce che c'è la guerra, la popolazione soffre la fame, è freddo, nevica e soffre in silenzio. In questa location si muove Frank, giovane ragazzo di strada, che cerca di farsi largo ed ottenere rispetto e considerazione iniziando a compiere attività criminali. Omicidio, furto, frequentazioni sbagliate e pericolose, ben presto però porteranno Frank lungo una strada senza uscita, verso la cattura e la successiva detenzione.
Il romanzo è stato scritto durante il periodo americano di Simenon, e molto chiaramente lo scrittore belga nel descrivere i metodi utilizzati dai funzionari dell'esercito occupante, intende riferirsi alle atrocità compiute dai governi totalitari dell'epoca. A mio avviso più che al Nazismo, Simenon pensa a Stalin ed alla dittatura Sovietica. L'impiego di spie e di delatori, le improvvise sparizioni di persone, gli interrogatori asfissianti ai prigionieri prelevati dalle loro celle in qualsiasi orario del giorno e della notte, l'isolamento continuo, le minacce nemmeno tanto velate di punizioni corporali, ricordano sicuramente i metodi del Kgb o perché no anche quelli della Stasi della fu Germania Est.

Ho trovato piuttosto efficaci e significative le pagine in cui Frank, nelle mani del nemico, prende progressivamente coscienza del proprio stato, della mancanza di libertà e della disperazione causata dalla prigionia e dall'isolamento. Sono proprio queste le pagine più simili a Kafka ed a Dostoevskij, perché assistiamo ad interrogatori sulla falsa riga di quelli subiti da Raskolnikov e notiamo anche l'agire di una burocrazia incomprensibile rappresentata da funzionari che si muovono da una stanza all'altra freneticamente. Invece a mio avviso, risulta meno interessante e memorabile la parte precedente, nella quale Simenon descrive appunto le peripezie da “piccolo gangster” del suo giovane protagonista. In ogni caso l'ho trovato, nel complesso, uno dei migliori romanzi di Simenon, tanto dal punto di vista dell'analisi introspettiva quanto per l'efficacia nella denuncia dei crimini compiuti dalle dittature.

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Delitto e castigo, Il processo, 1984.
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La neve era sporca 2014-01-09 10:52:10 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    09 Gennaio, 2014
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L'attesa di Frank

L'analisi che Simenon fa di certi suoi personaggi colpisce per la capacità introspettiva profonda e ad alto impatto realistico che lo avvicina ai grandi della letteratura, e nel caso specifico a Dostoevskij in Delitto e Castigo.
Protagonista di questa storia è Frank, diciannovenne cresciuto nella casa di appuntamenti della madre in una città dell'Europa centrale occupata da truppe straniere non meglio identificate.
Quello che spicca è lo squallore dell'insieme: una galleria di personaggi equivoci sullo sfondo di un paesaggio innevato e mai del tutto candido, come l'anima del protagonista, contaminata fin dall'infanzia dal cattivo esempio materno.
La voglia di far fuori qualcuno sorge spontanea in Frank, come quella di bere o di possedere una donna, e trova radici in una vaga smania di autodistruzione.
Non gli importa farsi beccare e sfida la sorte perché dia una scossa alla sua esistenza oziosa e dissoluta, liberandolo da una madre che disprezza e da quel vuoto doloroso e inconfessabile dovuto alla mancanza di un padre.
E' un infelice che non accetta pietà e vive rumorosamente per attirare l'attenzione: non gli dispiacerebbe mettersi alla prova, curioso perfino di scoprire le sue reazioni e il suo grado di sopportazione alla tortura.
I suoi pensieri, i suoi desideri più riposti battono ossessivamente le stesse vie contorte, sfociando in due delitti e in un'azione particolarmente turpe contro una ragazza innamorata di lui.
“In qualche punto il destino era in agguato. Ma dove?”.
Finalmente il destino risponde, sotto sembianze che non aveva previsto, con una frase garbata e perentoria: “La prego di seguirmi”.
Non c'è amore in questo romanzo, ce n'è solo l'assenza e il rimpianto, non sembra esserci neppure riscatto, perché manca un vero e proprio pentimento.
Ci sono un corpo e un'anima ripiegati in se stessi, che si crogiolano in un dolore da cui sembrano ricavare una sorta di piacere: “Occorre, innanzitutto, scavarsi la tana e affondarvisi”.
E' il piacere di resistere al precipitare degli eventi in attesa di qualcosa, ma di cosa?
Una calda, preziosa certezza, che Frank alla fine riceve e si tiene stretta al petto nel timore che si dissolva, un piccolo gesto d'attenzione da parte dell'unica persona che per lui conti e che lo ha sempre ignorato.
Tutto il resto è neve sudicia.

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La neve era sporca 2013-10-15 05:26:22 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    15 Ottobre, 2013
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Il delitto non paga

Simenon sarà sempre ricordato come l’inventore di quello straordinario personaggio che è il Commissario Maigret, di cui ha scritto tanti libri.
Ma un autore prolifico come lui non poteva, giustamente, limitare la produzione a una serie, peraltro ben riuscita, e allora ha scritto romanzi, per lo più di genere noir, e tutti, tranne qualche raro caso, di maggior valore. Non è possibile al lettore dimenticare opere come I fantasmi del cappellaio, Corte d’assise, Il destino dei Malou, Pioggia nera, L’uomo che guardava passare i treni, solo per citarne alcune. E sempre, soprattutto in queste, si resta stupiti della capacità di Simenon di descrivere in modo perfetto l’atmosfera, di sondare nei più piccoli anfratti la personalità dei protagonisti. Fino a poco tempo fa non ero riuscito a trovare un romanzo che si discostasse dall’eccellenza a cui ormai mi ero abituato, ma, si sa, non tutte le ciambelle riescono con il buco e, ahimé, la serie altamente positiva si è improvvisamente interrotta in modo inaspettato con un noir scritto durante il soggiorno di Simenon negli Stati Uniti. Mi riferisco a La neve era sporca, che parla ancora una volta di una mente malata, di cui l’omicidio è quasi naturale conseguenza. La vicenda in sé è valida, con la figura di questo diciannovenne Frank che uccide per dimostrare a se stesso di essere adulto e all’altezza dei criminali dell’ambiente in cui vive. Il delitto però non paga e in un individuo ancora in formazione cominciano ad affiorare i dubbi, le false certezze si incrinano, complice anche l’universale sentimento dell’amore, e così piano piano tutto gli sembra diverso, sciatto, perverso, inutile, tanto da non ribellarsi al destino che gli riserverà un tragico epilogo.
Simenon dimostra ancora una volta la sua innata capacità di analizzare, in tutte le sfaccettature, i suoi personaggi, un’analisi fine in cui riesce a trovare anche una scintilla di salvezza.
Quello che invece non risulta - almeno a mio avviso - in linea con le tradizionali capacità dell’autore belga è la descrizione dell’ambientazione, e non solo di quella, perché l’atmosfera appare non palpabile, ma artificiosa. Non è improbabile che il tutto derivi dalla localizzazione della vicenda, che si svolge durante il secondo conflitto mondiale in un paese indefinito dell’Europa Centrale, sotto una dura occupazione che non sembra quella tedesca, bensì quella sovietica. Del resto, come esposto in una nota introduttiva, lo stesso Simenon nel corso di un’intervista a proposito di questo romanzo precisò “L’importante è che l’esercito di occupazione non sia riconoscibile, di modo che l’opera abbia un carattere universale. Anche se, a essere sincero, nella mia mente l’azione si svolge nell’Europa centrale, e precisamente durante l’occupazione russa. Ambienti e nomi sono quelli di una città austriaca o ceca.”. Ecco, il non aver sperimentato direttamente il tallone dell’orso russo ha costretto Simenon ha inventarsi una sorta di regime oppressivo, in parte simile a quello nazista, ma che non corrisponde a quello comunista, di cui probabilmente aveva alcune indicazioni, incomplete, enfatiche, dai giornali americani, impegnati nella lunga battaglia della guerra fredda.
E così, mentre ne I fantasmi del cappellaio l’ambiente, l’atmosfera francesi appaiono al lettore del tutto naturali, qui invece si riscontra un’artificiosità propria di chi si è abbandonato, in mancanza di una diretta conoscenza, agli stereotipi della stampa. Ne risulta così sì un regime oppressivo,
ma che appare un frutto della fantasia, perché nella realtà in quei posti e all’epoca della vicenda la vita era ben più grama, cupa e angosciante.
Comunque, Simenon è sempre Simenon, quel grande scrittore capace di avvincere il lettore con un’abilità spesso sconcertante e mi sento di perdonargli una ciambella riuscita senza buco, perché l’impasto è ancora buono e una stroncatura sarebbe fuori luogo e ingiusta, tanto più che la lettura è senz’altro piacevole.
Insomma, più che una caduta, è una scivolata senza aver toccato terra, ed è per questo che concludo dicendo che La neve era sporca è senz’altro da leggere.

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La neve era sporca 2013-07-19 10:04:57 whasting
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whasting Opinione inserita da whasting    19 Luglio, 2013
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FRANK VOLEVA SOLO AMARE

La neve era sporca.
Frank è come la neve, ricoperto da tanti strati di sporcizia.
Frank è quel genere di persona che se incontriamo per strada cataloghiamo come "senza cuore".
Ed invece Frank un cuore ce l'ha, solo che nessuno gli ha mai detto come usarlo.
Non sa chi sia suo padre, sua madre gestisce una casa di appuntamenti e lui cresce troppo in fretta.
Già all'età di 19 anni insieme ad un suo amico decide di sverginarsi. Ma non nel senso che intendiamo tutti. Sverginarsi nel senso di ammazzare una persona.
A Frank piace rischiare, siamo nel periodo nazista, quindi se lo beccano gli possono fare tanto male.
Eppure lui non si ferma, uccide e non si guarda indietro.
Una fine tragica, ci sono rimasta malissimo.
Ho girato l'ultima pagina ed ho visto che non andava più avanti.
Io tifavo per Frank, che si era innamorato, ma non lo sapeva.
Frank penso sia uno dei miei personaggi preferiti tra tutti i libri che ho letto.
Sarà che io amo stare dalla parte del cattivo.
E' veramente un bel libro, lo consiglio.

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La neve era sporca 2013-04-02 07:34:34 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    02 Aprile, 2013
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FRANK

Nasce bianca la neve, si sporca di nero soltanto posandosi a terra, lontana dalle cime disabitate, vicina ai passi dell'uomo.
Frank ha vent'anni ed e' nato candido come la neve, come ogni bambino. Poi la vita lo ha tinto di nero e tornare al colore originario non e' scontato, in particolar modo se non lo si vuole.
Occupazione nazista, i poveri sono sempre piu' poveri, i ricchi sono alla stregua di ogni altro miserabile, il solo benessere sta nel potere e nei suoi derivati. Frank vive in un palazzone come tanti altri, un appartamento che la madre sfrutta come bordello per gli ufficiali, soldi e conoscenze non mancano, Frank puo' permettersi buon cibo, abiti costosi, carbone per scaldarsi.
Ma questo non basta, per essere un vero uomo uccide, rapina, abusa e maltratta, non vuole la pieta' di nessuno, tanto e'il male che impone agli altri tanto e' quello che vomita su se stesso.

L'odio e' un atteggiamento umano, consapevole talvolta. Io stessa avrei voluto odiare Frank, se non per chiunque almeno per lei, per Sissy , per difenderla e portarla via con me.
Eppure e' difficle riuscire ad odiare la neve sporca, specie quando si scioglie e ci si puo' vedere attraverso, accorgendosi di quanto si possa ancora sperare, sempre, nonostante tutto.

Splendido Simenon, in un libro cupo, doloroso, avvincente riesce come sempre a creare profili inquietanti e meravigliosi, cattura le ombre della sua mente e dona loro vita, carne, ossa , nervi e cuore.
In fondo a quest'orgia di grigiume e sporcizia, Dio solo sa come, riesce pure a inserirci l'amore, un puntino rosso che emerge accecando, in tanto nero. E la neve torna un po' piu' bianca.

Imperdibile per chi ama l'autore, buona lettura.

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