La mappa dei tre labirinti
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T.S. Learner è un’autrice molto prolifica di drammi teatrali, romanzi e racconti. Nata e cresciuta in Inghilterra, ora vive tra Londra, San Francisco e Sydney.
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La Learner s'è persa nei suoi labirinti
Ho appena finito la lettura di questo volume, acquistato d’istinto e sulla base dell’iniziale ed in parte ingannevole impressione data dal titolo italiano e dalla presentazione nel risvolto di copertina, e debbo dire che mi ha lasciato assai perplesso.
La vicenda è abbastanza intrigante e scritta con garbo. La narrazione è avvincente e coinvolgente. I personaggi sono ben delineati e descritti in modo efficace. Il risvolto esoterico è sempre estremamente latente e non disturba, almeno sino alle ultime pagine, quando il naturale senso di incredulità del lettore è messo più alla prova.
La perplessità deriva, però, da un altro fattore. Io ho sempre apprezzato gli scrittori anglosassoni per la loro precisione: in genere le ambientazioni sono sempre molto curate e la documentazione alla base di ogni romanzo talvolta è addirittura stupefacente. “La mappa dei tre labirinti” è la classica eccezione, pesantemente negativa.
Senza svelare nulla della trama, bastano solo alcuni esempi per mostrare la totale “sbadataggine” dell’autrice e l’assenza di un editor che sia stato in grado di correggere la narrazione.
Gli svarioni si incontrano sin dalle prime pagine. Il romanzo è tutto incentrato sulla prodigiosa scoperta di un tesoro (sino alla fine non si sa se materiale o metafisico) fatta da un tal Elazar ibn Yehuda, medico ebreo del Califfo al- Walid, colui che portò le truppe arabe a conquistare la Spagna nell’VIII secolo. Questo medico sarebbe stato fatto giustiziare dal Califfo nel 725 d.C. a … Costantinopoli. Sono passate solo poche pagine dall’inizio e il lettore appena un po’ smaliziato resta allibito. Deve sospendere la lettura per chiedersi cosa ci facesse un califfo a Costantinopoli (capitale dell’Impero Romano d’oriente) nell’VIII secolo. Da questo momento in poi è tutto un susseguirsi di ‘perle’ e la lettura diviene una specie di caccia allo strafalcione.
Giusto per dare un’idea esemplifico.
Izarra, la protagonista femminile, mostra ad August la sua pistola, una Walther PPK: notoriamente una semiautomatica ad otto colpi. Dopo una trentina di pagine, però, l’arma si trasforma ‘magicamente’ in una rivoltella con sei colpi nel tamburo!
Si accenna alla strenua resistenza per la difesa di Amburgo ad opera di un manipolo di ragazzini della Hitlerjügend opposto ai soldati dell’Armata Rossa. Peccato che Amburgo sia stata occupata dalle truppe anglo-americane e che l’avanzata russa sia giunta poco più ad ovest di Berlino.
August per sfuggire ai propri inseguitori si camuffa si taglia i capelli a spazzola e li tinge con una tintura che gli viene fornita dall’amica. Non si capisce, però, perché mai non abbia usato il suo corredo da spia con trucchi, fondi tinta e tinture per capelli che si trascina dietro fin dalla partenza da Londra mesi prima (si è dimenticato di averlo?). Dopo una ventina di pagine, poi, cioè pochi giorni dopo il taglio, si infila un casco in testa, monta su una moto sfrecciando nella campagna tedesca ed il vento gli scompiglia i capelli (a spazzola e sotto il casco?).
Questi sono solo alcune chicche, ma il libro è pieno di scivoloni di questo genere per chi ha voglia di cercarli. Talvolta viene la tentazione di mollare il volume e mettersi a controllare ogni singola affermazione della scrittrice. Ovviamente così la gioia della lettura va persa. Ogni volta che il lettore incappa in questi errori marchiani si distrae, perde il filo dell’esposizione e, soprattutto, smarrisce quel necessario rapporto fiduciario che deve esistere tra narratore e ascoltatore per creare l’indispensabile coinvolgimento.
Ed è un vero peccato perché la storia non è affatto disprezzabile, ma ci voleva sicuramente maggior diligenza nella stesura. La Learner s’è fatta trascinare dalle sue stesse parole e non ha vigilato su ciò che andava scrivendo.
Ironia finale: nella quarta di copertina è riferito il giudizio di Vogue : “Una scrittrice capace di trascendere i generi letterari, con una spiccata attenzione ai dettagli e una straordinaria capacità narrativa”. Forse anche il critico letterario della rivista era distratto!