La fine dei Greene
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Philo Vance fatica a ritrovare il suo fiuto
Terza indagine per l’aristocratico investigatore Philo Vance.
La facoltosa famiglia Greene è vittima di un oscuro e spietato assassino che, uno dopo l’altro, uccide quasi tutti i suoi componenti. La polizia, il Procuratore distrettuale John F.X. Markham e lo stesso Vance sembrano brancolare nel buio per l’incomprensibilità dei vari delitti. Solo la tenacia e la sagacia di quest’ultimo riusciranno ad individuare il colpevole di questa inquietante serie di delitti.
Molti critici hanno classificato questo romanzo tra i migliori di Van Dine ed uno dei capolavori del genere poliziesco. Per parte mia, però, debbo dire che il romanzo non mi ha esaltato, né convinto totalmente.
La trama vorrebbe essere ingarbugliata ed intrigante, ma, come per i precedenti romanzi, allo smaliziato lettore moderno tutto appare piuttosto chiaro sin dall'inizio. Al solito il meno sospettabile dei protagonisti della storia risulterà essere l’autore dei delitti. Partendo da questa chiave di lettura i vari tentativi di depistaggio appaiono facilmente smascherabili e, proprio per ciò, l’evolversi della storia risulta scontato. Alla fine ci si riduce ad attendere che i protagonisti riescano a trovare il bandolo della matassa che allo spettatore esterno appare già in bella vista.
A questo terzo volume, poi, manca quel quid in più che aveva reso intriganti i precedenti. A differenza degli altri, infatti,i la figura di Vance è meno caratterizzata, meno spigolosa e irridente, più amichevole e bonaria. Senza quel gusto acre che veniva dai salaci dialoghi fatti a suon di dotte citazioni e frecciatine snob, i confronti tra i personaggi appaiono più smussati ed edulcorati. Ciò va a detrimento della narrazione che diviene meno piacevole e stimolante. Perso il gusto irridente, anche l’acume investigativo del ricco gentiluomo sembra appannato, spaesato nella soluzione di un caso ritenuto diabolico e incomprensibile, quando, invece, allontanando il punto di osservazione dai singoli particolari, diviene lineare e preciso, soprattutto seguendo il criterio di indagine marchio di fabbrica di Vance: lo studio psicologico dei delitti.
Insomma un volumetto non sgradevole, ma sicuramente inferiore allo standard a cui Van Dine aveva abituato.
Due annotazioni conclusive. Purtroppo l’edizione elettronica che ho avuto l’opportunità di leggere è martoriata da refusi ed errori di conversione del testo, che rendono faticosa la lettura, e da una traduzione non certo impeccabile, al punto che, inspiegabilmente, una delle protagoniste muta nome. L’Ada Greene del testo originale diviene, senza alcuna ragione apparente, Licia Greene. Mi è sorto il dubbio che, nella traduzione originaria del 1930, quell'Ada sia stato espunto dalla censura per qualche insondabile riferimento a personaggi dell'epoca che non volevano o non potevano diventare protagonisti di storie gialle. Mistero!