La figlia sbagliata
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Megan la svitata
In questo romanzo facciamo subito la conoscenza con Megan, e Deaver ci tiene a farci sapere fin da subito che è svitata. In realtà, nonostante sia anche quello, e chi non lo è almeno un po'? è molto altro e lo scopriremo poco alla volta. Megan scompare in un pomeriggio qualsiasi, dopo una seduta con un nuovo psicologo di cui nessuno sa niente. Tutto porta a pensare che quella diciassettenne problematica, già nota alla polizia e, per dirla tutta, anche piuttosto antipatica abbia deciso di concedersi una fuga verso la grande mela. Non la pensano così i genitori, che nonostante siano tutto meno che la famigliola perfetta sanno che invece è successo qualcos'altro. Comincia così una specie di caccia nella quale un abile gatto gioca con con quelli che crede siano degli innocui topolini e in effetti si diverte parecchio.
Come ci si poteva aspettare da Deaver questo romanzo è un thriller, e scritto anche piuttosto bene. La trama scorre bene, anche se le vicende si svolgono in contemporanea in diverse ambientazioni. Ci sono in effetti alcune scene piuttosto esagerate e poco credibili, nel complesso però si tratta di un buon romanzo con una sua originalità e con tutta una serie di eventi imprevedibili, ma perfettamente logici. La novità di questo libro è che quello su cui l'autore punta è il potere delle parole. Tate, il padre della ragazza rapita è un avvocato, che va particolarmente orgoglioso della sua capacità di convincere i giurati delle sue tesi. Il suo antagonista, invece è uno psicologo, per il quale la comunicazione e la capacità di interagire coi pazienti è fondamentale, i due ci danno prova delle loro abilità nel corso di tutto il romanzo, ma danno il meglio sul finale con un duello dove si affrontano, invece che con le armi con il loro cervello. Peccato solo per le ultimissime pagine, stucchevoli e scontate, che mi hanno lasciato in bocca un fastidioso sapore dolciastro che ha in parte rovinato un piatto abbondante e ricco di sapori ben amalgamati.
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Il titolo sbagliato
Ecco un altro romanzo che avrebbe potuto ambire ad una valutazione più alta, non fosse stato martoriato nell'edizione italiana. Perché la Rizzoli non si è accontentata di risparmiare due lire eliminando i trattini che indicavano il cambio da un POV all'altro, ma è riuscita a confondermi ulteriormente le idee stravolgendo il titolo; questo cambiamento non solo anticipa al lettore una rivelazione di cui leggerà solo nel finale, ma fa sorgere inutili dubbi su chi sia il protagonista della storia e tra chi si sviluppi il contrasto principale, là dove l'originale "Speaking in Tongues" metteva da subito in chiaro il fulcro della storia, ossia le capacità oratorie di cui fanno sfoggio eroe e villain.
La struttura della storia è quella di un thriller abbastanza convenzionale: mi ha ricordato ad esempio le atmosfere de "La psichiatra" di Wulf Dorn; a fare la differenza è la scelta di includere tra i punti di vista quello dell'antagonista, trattandolo come uno degli altri personaggi e mostrandoci quindi i suoi pensieri e le difficoltà che affronta. La trama segue il rapimento della liceale Megan Collier ed i conseguenti tentativi dei genitori, Tate e Bett, di ritrovarla dal momento che sono certi non possa essersi allontanata di sua iniziativa; purtroppo anche con la sinossi Rizzoli ha fatto un pessimo lavoro (non che con la cover ci abbia azzeccato, ma su quella posso sorvolare), perché fa sembrare Megan poco più di una bambina quando in realtà è una diciassettenne, parla di un divorzio recente mentre i suoi si sono separati da ben quindici anni e vaneggia di fantomatiche sedute della ragazza con un certo dottor Peters: quello che vediamo all'inizio della storia è invece il loro primo ed unico incontro, durante il quale lui subito riesce a raggirarla e rapirla.
L'introduzione è proprio uno dei punti deboli del romanzo perché è troppo rapida, come anche il resto della narrazione, e sembra dare per scontate delle informazioni sulla situazione familiare dei Collier. Un altro difetto si nota nelle scene in cui compaiono dei personaggi giovani dal momento che Deaver, proprio come William Landay, inserisce in continuazione "cioè, tipo, capito" come fossero degli intercalare; e questo non è un problema se viene fatto per identificare un solo personaggio, ma qui tutti gli adolescenti parlano in questo modo! Purtroppo i difetti di questo romanzo non finiscono qui: i due peggiori sono l'esagerazione di alcune scene come il piano della siringa di Aaron (non spoilero oltre, tranquilli), che rendono davvero inverosimile una narrazione per il resto ben ancorata nella realtà, e la superficialità di diversi passaggi.
Il romanzo include infatti delle tematiche decisamente forti, come criminalità organizzata, omicidio, razzismo, stupro e pedofilia, ma nella fretta generale non perde neppure mezza riga per trattare con la dovuta attenzione questi elementi. Ad esempio, quando entra in scena per la prima volta Joshua, c'è un timido tentativo di far notare come venga discriminato ingiustamente per la sua etnia, ma poi l'autore se ne dimentica del tutto, tant'è che Tate non avrà mai l'occasione di ritrattare il suo pregiudizio; nel contesto della trama, quel dettaglio risulta fine a se stesso.
Oltre al già citato POV dell'antagonista, sul lato degli elementi positivi troviamo un stile molto diretto ed estremamente scorrevole, seppur per nulla distintivo a mio parere, e dei personaggi decisamente intelligenti ed in grado di prendere l'iniziativa quando necessario. Più di tutti mi ha colpito Megan, sia nelle scene in cui la vediamo tentare la fuga sa sola, sia nelle interazioni con Tate che risultano emozionanti a loro modo. Non ho parole invece per il suo rapporto con Bett, in particolare con quel finale troppo all'acqua di rose rispetto al tono generale del romanzo.
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Dannate parole
Il libro racconta la storia di una diciassettenne dall'infanzia scombussolata, cresciuta in una situazione famigliare disdicevole: i suoi genitori sono divorziati e per questo motivo vive in casa della madre, che non si dimostra molto presente, così come il padre, un importante avvocato, il più bravo della città, maestro della retorica e campione indiscusso di arringhe. La ragazza, Megan, è da qualche mese in cura da uno psicologo che a parer suo non è molto efficiente e perciò ha poca fiducia che un percorso con lui possa essere proficuo.
Un giorno (il libro incomincia proprio con questo scenario) ad accoglierla per la solita seduta non è il suo psicologo bensì un uomo un po’ più giovane, dall'aria rassicurante e persuadente, che si presenta dichiarandosi un sostituto momentaneo. Qui Megan affronta tutto il rancore e la rabbia accumulata, il nuovo terapeuta allora la obbliga a mettere per iscritto quello che prova: il risultato finale è la stesura di due lettere rivolte ai genitori, i principali artefici di tutta quella rabbia; loro stessi ne scopriranno l'esistenza poco dopo aver realizzato la scomparsa della loro figlia.
Ho apprezzato come l'autore abbia voluto esaltare nella morale l'importanza e la valenza delle parole, le quali sono tutto ciò che ha permesso il susseguirsi della vicenda, e anche la conclusione.
Di primo impatto l’impressione che ho avuto non è stata molto positiva: l’ autore usa spesso dei “gerghi giovanili” per sottolineare il fatto che stesse parlando una diciassettenne, ed è una scelta stilistica rispettabile. Quando però diventa troppo evidente, troppo falsa, troppo superficiale, insomma quando è troppo si percepisce e non fa piacere. Forse la prendo un po’ troppo sul personale,dato che mi avvicino molto all'età di Megan, ma è davvero un sassolino che dovevo togliermi dalla scarpa. Il risvolto positivo della storia è a parer mio la scoperta da parte della famiglia di Megan (e di Megan stessa) di un affetto reciproco silenzioso e lento, ma anche rivelatore.
Con questo non voglio alludere al finale né in maniera negativa né nel lieto fine, perché di principio non si riferisce mai la conclusione di una storia senza viverla, soprattutto quanto si parla dei gialli. E’ un libro che sento di consigliare nonostante il mio giudizio sia piuttosto altalenante. Come ho già detto, la trama è geniale, la forma un po’ meno, ma nel complesso non è stata una sgradevole lettura. Quindi se lo avete per mano, o in qualche modo vi trovate a leggerlo, non fermatevi alle perplessità che le prime pagine vi potrebbero regalare, piuttosto concedetegli la possibilità di essere compreso, oltre la forma, che a volte inganna.
Ah, le dannate parole.
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Deaver, una garanzia
Jeffery Deaver è uno scrittore “sicuro”: un libro scritto da lui non è banale, non tira via zoppicando verso il finale, non perde mai la carica di tensione emotiva e contiene sempre qualche pagina di vero terrore, quello che passa attraverso le pagine fino alla sensibilità di chi legge.
Mi è capitato di assistere alla lettura pubblica di alcuni brani dei suoi libri tenute presso università o convegni letterari, (in televisione e in inglese of course!) a dimostrazione che la sua prosa è un esempio di buona scrittura, anche se una volta tradotta in italiano questo aspetto non è più valutabile .
Questo libro non cambia il mio giudizio, ma neppure lo migliora. Nel senso che ho letto di meglio: il celeberrimo “Il collezionista di ossa” e tutti quelli che seguono con protagonisti il mitico investigatore Rhyme e la sua collaboratrice Amelia sono ricchi di pathos e di intelligenza, indimenticabili anche a distanza di molti anni.
Questo libro racconta invece una storia familiare: un avvocato ex procuratore, l’ex moglie bellissima, la figlia trascurata da entrambi che viene rapita dal suo analista. La polizia non crede al rapimento e ai genitori non resta che cercarla da soli. La parte più interessante del libro consiste nell’uso che l’avvocato e il rapitore sanno fare dell’oratoria. Entrambi campioni nell’utilizzo dell’eloquio per saggiare le emozioni e per modificare gli atteggiamenti e le sensazioni degli interlocutori si affronteranno in un duello di parole assai più interessante di qualche pistolettata tirata alla meno peggio.
Intendiamoci il libro è bello e mantiene costante l’attenzione, cosa che un giallo deve saper fare, solo che quando si è assaggiato il miele lo zucchero non sembra più così dolce.
[…]
“Dimmelo, Megan” insistette. “Parlami degli orsi”
“Non è importante”.
“Invece sì che è importante” la incalzò sporgendosi in avanti. “Ascolta. Tu sei con me, adesso. Megan. Dimenticati quello che ha fatto Hanson. Io non lavoro come fa lui, non brancolo nel buio. Io vado in profondità”.
Lei lo guardò negli occhi e si paralizzò come un cervo abbagliato dai fari di un’auto.
“Non preoccuparti” mormorò lui. “Fidati di me. E cambierò la tua vita per sempre”
[…]
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'il carattere è destino'
ebbene, ho letto tutti i libri di Deaver e devo dire che andrò ad aggiungere questo nell'elenco di quelli che ho gradito! Mi è piaciuto il fatto che 'l'indagine' sia condotta sia all'interno dei personaggi, che hanno una sfera emotiva davvero complessa e si spostano nella trama con la stessa maestria con cui lo farebbero Rhyme o il detective Sachs, sia all'esterno degli stessi, nell'intreccio degli eventi che porta ad una conclusione che è un vero e proprio colpo di scena. 358 pagine da divorare in un solo respiro, per arrivare alla soluzione del caso che pare d'aver avuto sempre sotto gli occhi.
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Il potere delle parole
"La figlia sbagliata" di Jeffery Deaver mi è piaciuto molto ecco perchè voglio partire con l'elencare i punti "forti" di questo libro: mi è piaciuta molto la trama che secondo me è intrigante ed appassionante. Mi è piaciuto molto anche il modo con cui Deaver a descritto i personaggi curando i particolari e i dialoghi. Molto interessante a mio avviso la figura di Aaron Matthews ,psichiatra affetto da sindrome bipolare e abilissimo oratore che proprio grazie alla sua abilità con le parole riesce a stregare le persone e a indurle a comportarsi in una certa maniera, altro personaggio che ho trovato interessante è Megan arrabbiata con i genitori perché non gli dedicano le opportune attenzioni, ragazza che sembra fragile e debole ma che sa adeguarsi perfettamente alle situazioni difficili che supera in maniera egregia un'altra cosa che mi è piaciuta è il modo con cui Deaver esalta le parole facendo capire al lettore come siano potenti e come se usate correttamente e efficacemente possa essere molto utili . Una cosa però che mi ha lasciato un po’ perplesso come anche ad altri utenti è il fatto che a un certo punto il fidanzato di Megan sparisce di punto in bianco e di lui non si sa più niente; un’altra cosa che mi sento di evidenziare è il modo un po’ goffo con il quale Deaver utilizza un linguaggio il più possibile giovanile che a volte stona completamente con tutto il contesto. A parte queste due osservazioni negative ribadisco il fatto che vale la pena leggere questo libro.
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No, cioè, dico, cioè, ok.
Ho trovato questo libro piacevole e meritevole di essere letto, nel complesso. Per questo motivo elencerò subito gli aspetti che mi hanno lasciata perplessa.
Si tratta di un thriller e come tale, si apre con un mistero, che forse viene sbrigato in maniera semplice e un tantino sbrigativa alla fine del libro.
Fra i protagonisti compare anche una ragazza diciassettenne il cui rapimento è il fulcro dell'intera faccenda. Forse perchè mi avvicino molto di più alla sua età che a quella di tutti gli altri personaggi, ho trovato irritante la maniera nella quale lo scrittore la fa esprimere. Desideroso, forse, di adottare un gergo giovanile, ha messo in bocca a lei ed agli altri suoi coetanei un'innumerevole serie di "cioè, dico, ok, a posto, alla grande" e ancora e soprattutto "CIOE'", inframmentizzando frasi di senso altrimenti compiuto, per renderle inutilmente caotiche.
La stessa ragazza, rapita da un giorno e trovatasi in un posto sconosciuto, reagisce con un certo numero di crisi di pianto ma allo stesso tempo si destreggia così bene nella nuova situazione, arrivando addirittura a maneggiare armi più o meno improvvisate, di risultare inverosimile.
L'antagonista, seppur psicologo, sembra fare una presa fin troppo energica ed immediata sulla mente e le idee dei personaggi che avvicina per depistare, apparendo esagerato anch'egli, nel suo manipolare chi lo circonda.
Nonostante ciò, il libro è ben sviluppato ed invoglia alla lettura. E' piuttosto corto, e si legge in pochi giorni, perchè è in grado di appassionare e lascia il lettore desideroso di scoprire dettagli in più.
Il punto di vista, in terza persona, si sposta da un personaggio all'altro, andando ad analizzare la situazione della ragazza rapita, del rapitore, degli adulti impegnati a cercarla, fra mille false piste e bastoni fra le ruote.
Un tocco appena accennato di amore ritrovato fra due ex coniugi e di passione fra adolescenti, ingentilisce il thriller psicologico quel che basta per non indurire l'atmosfera quel poco che la renderebbe difficile da reggere.
E' presente anche un accorgimento che oserei definire quasi "horror", nei capitoli ambientati nel cupo luogo dove viene rinchiusa la ragazza rapita.
Inoltre, se si è rimasti delusi dalla facilità del mistero che verrà alla fine svelato,all'ultimo si conoscerà anche una verità della quale difficilmente si poteva sospettare, placando così la sete da colpo di scena.
L'ultimo capitolo ha un che di banale ma anche di ottimista e personalmente non me la sono sentita di bocciarlo per scarsa originalità quando cerca di offrire un lieto fine.
Tutto sommato un libro bello da leggere e, per quanto mi riguarda, anche da recensire.
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Gripping
Come sempre i libri di Deaver si mettono giù con difficoltà; il ritmo è incalzante e l'introspezione psicologica dei vari protagonisti, sia la protagonista Megan, sia i suoi genitori, sia il rapitore sono fatti con grande maestria. Lo stile è come sempre impeccabile e la lettura gradevole anche se nella trama vi sono delle forzature non da poco. Ad esempio il rapitore che riesce sempre a fare fessi i suoi interlocutori, che riesce a far ubriacare il poliziotto piuttosto che convincere al suicidio la madre dello psicologo di Megan, mi sembrano francamente un pò inverosimili. Detto ciò il romanzo si dipana in maniera tale da tenere il lettore avvinghiato al libro. Un particolare: Deaver si dimentica totalmente del fidanzato di Megan che sparisce nelle ultime pagine del romanzo.
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La figlia sbagliata
Tutti i gatti vedono al buio.
Midnight è un gatto.
Midnight vede al buio.
Le due premesse logiche del sillogismo portano ad una conclusione logica inevitabile. A meno che... Midnight non sia cieco.
Megan, un'adolescente difficile, arrabbiata, per motivi diversi, con i genitori separati, fa sedute da uno psicanalista ed all'improvviso, un giorno, lasciando due lettere colme di rabbia al padre e alla madre, scompare, scappa. I genitori, che dalla separazione si parlano a malapena, uniscono le forze per cercarla e iniziano un viaggio doloroso anche nel tempo, nel loro passato, rinfacciandosi colpe ed omissioni, ma anche scoprendo quanto sono cambiati negli anni. In poco tempo però appare chiaro che Megan non è scappata di sua volontà; è stata rapita e la sua salvezza richiederà grandi capacità, di analisi, di persuasione, contro un nemico abile, pericolosissimo, che sfiora con le sue capacità il genio ma anche la follia e per salvarla dovrà venire a galla anche una triste verità da sempre taciuta.
Jeffery Deaver ci offre un buon psico-thriller senza i suoi personaggi più conosciuti e, questa volta, senza la solita lunga scia di sangue. Le atmosfere cariche di suspense, i dialoghi curatissimi e lo spessore dei personaggi sono all'altezza dei suoi romanzi più riusciti, ma il finale è forse un po' forzato e semplicistico. Tutto sommato, un'adrenalinica, piacevole full immersion nei profondi states.