La farfalla nell'uragano La farfalla nell'uragano

La farfalla nell'uragano

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Nella vita irrequieta di Farah Hafez, brillante reporter dell'Algemeen Nederlands Dagblad, ci sono due punti fermi: il primo è il giornalismo, il secondo è il pencak silat, arte marziale di origine indonesiana che Farah ha appreso dal padre quando viveva a Kabul, prima che arrivasse la guerra e prima di trovare rifugio, ancora bambina, ad Amsterdam. Ormai cittadina dei Paesi Bassi, Farah non ha mai smesso di praticare la nobile arte dei guerrieri di Sumatra, ed è proprio l'esito di un combattimento a far sì che lei si trovi all'ospedale nel momento in cui un bambino dai tratti mediorientali, vittima di un pirata della strada, viene trasportato d'urgenza in sala operatoria. Porta gioielli e campanellini e indossa un abito tradizionale che subito attira l'attenzione della giornalista. Quando le sue labbra formano una parola che nessuno intorno è in grado di capire, Farah riconosce la lingua della propria infanzia, e si rende conto che quell'abbigliamento appartiene a uno dei rituali più detestabili praticati in Afghanistan. Cosa può aver spinto quel bambino tra i boschi intorno alla capitale olandese? È l'inizio di un'indagine ad alto rischio verso il cuore di una potente organizzazione criminale che da Mosca attraversa l'Europa e si estende fino a Johannesburg, alimentata dalla smisurata corruzione che dilaga negli ambienti politici e finanziari. In un paese dove la multiculturalità ha solo apparentemente trovato un equilibrio, l'ostinata volontà di fare luce sulla drammatica vicenda del piccolo afghano porterà Farah a un duro confronto con un passato che credeva di essersi lasciata alle spalle, e che l'aveva quasi uccisa.



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La farfalla nell'uragano 2018-09-07 07:32:41 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    07 Settembre, 2018
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Un ritorno pesante al passato

Walter Lucius, nome d’arte di Walter Goverde, teatrante e sceneggiatore olandese, scrive La farfalla nell’uragano, in cui si parla di Afghanistan, delle sue tradizioni, ma soprattutto di pedofilia maschile. Un testo che si legge in preda alla nausea e allo sconcerto, che racconta di bacha bazi, ovvero dell’abuso pedosessuale, che si giustifica letteralmente con “giocare con i maschietti”, ovvero con bambini dai cinque anni in su, venduti dai signori della guerra in cambio di poche centinaia di dollari. Vestiti con un particolare abbigliamento per distinguerli a vecchi bavosi ed orrendi. Ed è proprio quel costume che Farah Hafez riconosce indosso ad una bambina investita alla periferia di Amsterdam. Lei è una giornalista che con Calvino, ispettore di polizia che fa coppia con Marouane Diba, inizia una indagine che porta con sé soltanto raccapriccio e violenza.
Una indagine:
“ad alto rischio verso il cuore di una potente organizzazione criminale che da Mosca attraversa l’Europa e si estende fino a Johannesburg, alimentata dalla smisurata corruzione che dilaga negli ambienti politici e finanziari.”.
Una trama complessa, ricca di forti caratterizzazioni sociali, per un testo molto lungo e pesante. Una narrazione che suscita disgusto per le vicende narrate, che non mi ha convinto per nulla. Ma con grande attinenza con la realtà attuale del mondo.

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