La canzone di Susannah. La torre nera
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Alla faccia della self insertion
A meno di un mese dalla lettura dell'epilogo de "I Lupi del Calla", rieccomi a proseguire il mio viaggio verso la Torre Nera con il sesto volume "La canzone di Susannah". Dietro tanta fretta (almeno per i miei standard) c'è il ritmo incalzante finalmente acquistato dalla serie, perché ora il caro Stephen sta mettendo a frutto i tanti elementi di world building che nei primi capitoli potevano sembrare nulla più di informazioni scollegate. Non so se si tratti di operazioni di retcon o meno, ma devo dire di aver apprezzato l'intrecciarsi delle varie linee di trama.
La narrazione continua direttamente dal finale del quinto libro, e questo comporta la divisione del ka-tet. Susannah è infatti stata trasportata nella New York del 1999, dove Mia cerca l'aiuto dei sodali del Re Rosso per poter dare alla luce il suo pargolo demoniaco; nello stesso luogo e tempo arrivano anche Jake e Callahan -con l'immancabile Oy al seguito-, portati lì più dal ka che da un'effettiva intenzione. Proprio per questo Eddie non può seguire la sua dolce metà, ma è costretto ad accompagnare Roland nel Maine degli anni Settanta, dove prosegue la loro missione per mettere al sicuro da Balazar e soci il terreno su cui cresce la rosa perspeciale.
Ci troviamo quindi di fronte ad un deciso cambio di ambientazione, scelta che ho apprezzato perché da una smossa alle dinamiche narrative, portando ad esempio il saccente Roland a doversi affidare alle conoscenze moderne di Eddie. Come già accennato, ci troviamo inoltre di fronte ad un romanzo in cui l'azione la fa da padrona, con scene molto rapide che fanno procedere con maggior velocità la trama senza però sacrificare la coerenza narrativa e sfruttando dettagli inseriti nei volumi precedenti per fornire dei collegamenti.
Credo che le mie parti preferite siano state quelle dedicate a Susannah e Mia, in particolare per come il loro rapporto si evolve rispetto a "I Lupi del Calla": qui sono costrette dal nuovo contesto a stringere una sorta di alleanza, che porta la pistolera ma anche noi lettori ad ottenere nuove informazioni e tanti chiarimenti sulla lore dell'Onni-Mondo. Per quanto riguarda l'elemento meta-letterario, ammetto di averlo trovato un po' cringe in un primo momento, ma mi ha poi convinto nell'insieme della storia; riesce anche a fornire una spiegazione carina del perché tanti libri di King siano collegati a questa serie.
Serie che comunque non si monda di tutti i suoi difetti in questo sesto (o settimo, a seconda dei punti di vista) capitolo. Ad esempio, per quanto Mia si prodighi in spiegazioni su demoni elementari ed affini da un lato, dall'altro il caro Stephen inserisce concetti del tutto inediti (come quello dei twim o dei Frangitori) senza fornire alcuna spiegazione, e nonostante questo i personaggi ne parlano ampiamente come fossero informazioni già discusse più e più volte nei libri precedenti. Non mi ha fatto impazzire neppure la facilità con cui sembra procedere la missione di Roland ed Eddie: la strada dei due pistoleri non è propriamente priva di ostacoli, però gli aiuti che ricevono per superarli agevolano eccessivamente il percorso, e questo fa calare di parecchio la tensione.
E cosa dire del finale? a mio avviso risulta un po' troppo insoddisfacente. Bisogna sicuramente considerare che l'ultimo romanzo è uscito solo qualche mese dopo, e non ad anni di distanza come i primi volumi della saga. Ritengo però che si potesse dare più completezza per lo meno alla parte riservata a Jake e Callahan, perché la loro risulta essere poco più di una comparsata quando la premessa lasciava presagire un ruolo ben più sostanzioso.
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Nel paese della memoria il tempo è sempre ora.
Devo dire che fino a questo libro non avevo particolarmente amato Susannah. Come accennavo nei Lupi, complici la figaggine, la bravura subita ed immediata in tutto e qualche stucchevole vezzo linguistico (peggiorato dalla traduzione italiana).
È vero che aver creato una pistolera senza gambe, costretta a muoversi su una sedia a rotelle era stato un colpo niente male, ma il personaggio era un po’ “né carne né pesce” secondo me (oltre al fatto che si sposava con Eddie e questa era dura da digerire).
Sapendo che qui avremmo avuto persino Susannah madre, avevo foschissime aspettative. Ma è King.
Nel libro che poteva essere il trionfo dello stucco e del politically correct (?) ti fa amare un personaggio forte che finalmente si caratterizza. Un personaggio in perenne conflitto con sé stesso e non solo a causa delle altre “anime” che vivono in lei, ma forte e razionale e – soprattutto – allergico a raccontarsi storie.
“Già da bambina raramente era stata tanto felice come quando fingeva di essere qualcun altro. La qual cosa probabilmente spiega tutto quello che vale la pena di sapere su di te, dolcezza, pensò.”
Quindi Susannah, alle prese con una Mia ben più pericolosa di Detta, madre nel modo più bizzarro che si possa immaginare si afferma e conferma pistolera.
Un istante dopo aver partorito, spara al figlio.
Ahimè riesce solo a staccargli una zampa.
E ci avviamo al finale.