Narrativa straniera Gialli, Thriller, Horror La ballerina del Gai Moulin
 

La ballerina del Gai Moulin La ballerina del Gai Moulin

La ballerina del Gai Moulin

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«Nell’oscurità il locale è vasto come una cattedrale. Si ha il senso di un vuoto immenso. I radiatori emanano ancora un certo tepore ... Delfosse accende un fiammifero. Si fermano un secondo per riprendere fiato, per calcolare il percorso che devono compiere. E all’improvviso il fiammifero cade, mentre Delfosse lancia un grido acuto ... Anche Chabot ha scorto qualcosa. Ma non è riuscito a distinguere bene ... Sembrava un corpo disteso sul pavimento, accanto al bar ... Dei capelli nerissimi...».



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La ballerina del Gai Moulin 2018-01-15 14:51:06 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    15 Gennaio, 2018
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Indagini a Liegi

Decimo romanzo con protagonista Maigret La ballerina del Gai Moulin è un giallo del tutto atipico, presentando un intreccio complesso, un groviglio vero e proprio e per dipanarlo il nostro commissario, nella speranza di una mossa falsa di un omicida, dovrà prima farsi rinchiudere in prigione, come presunto colpevole, poi addirittura mettere in scena un finto suicidio nel commissariato di polizia di Liegi, città in cui si svolge l’intera vicenda e che, guarda caso, è dove è nato Simenon.
Ma La ballerina del Gai Moulin, per certi aspetti, pur restando un poliziesco, ha in serbo una prima parte da autentico noir con due soggetti verso cui è indirizzata la sottile e approfondita analisi psicologica dell’autore.
Se l’atmosfera e l’ambientazione sono impeccabili, tuttavia si deve lamentare una struttura abbastanza debole, con una trama che avrebbe meritato ben maggiori attenzioni e che invece finisce con il determinare uno sviluppo traballante della vicenda, quasi che a un certo punto fosse scappata di mano a Simenon. Si arriva certo alla conclusione, a Parigi, da dove era partito Maigret,
ma è un po’ stiracchiata, così che il romanzo merita più per lo sfondo, per le caratterizzazioni, per le atmosfere, che per l’aspetto poliziesco vero e proprio. Poco male, tuttavia, perché così è possibile cogliere le altre qualità dell’autore, fermo restando che la lettura rimane nel complesso soddisfacente.

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La ballerina del Gai Moulin 2017-02-20 12:34:25 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    20 Febbraio, 2017
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Addio al Belgio

Con questo romanzo Maigret arriva in doppia cifra e così il suo autore decide di variare la ricetta: se il quadro d’insieme resta simile nel suo unire ipocrisie e piccole avidità, la struttura al contrario cambia. Il commissario entra in scena solo a metà dello percorso, mentre nei capitoli precedenti è un’ombra che compare e ricompare, assai più minacciosa che rassicurante, contribuendo a minare il sistema nervoso dei protagonisti. Che, in un ingranaggio abbastanza corale, sono soprattutto i due adolescenti sulla strada del vizio, l’appartenente all’alta borghesia che trascina il figlio della piccola in una visione forse stereotipata che però va a stemperarsi in un inconsueto gioco di barbe finte le cui esistenze sono in qualche modo vicine a quelle dei mediocri impiegati dello spionaggio descritti da Le Carrè. L’ambientazione in un night di quart’ordine è prettamente simenoniana, per non parlare dell’appartamento della ballerina/prostituta di cui al titolo (meno bella ma somigliante alla sua omonima de ‘All’Insegna di terranova’) e delle scene che vi si svolgono, ma la commistione di atmosfere contribuisce a dare alla vicenda un inconfondibile tocco noir che mette in secondo piano l’investigazione vera e propria, peraltro costruita con mano brillante. Non è una novità, invece, che Maigret vada in trasferta: la storia è ambientata a Liegi, dove già avveniva lo scioglimento de ‘L'impiccato di Saint-Pholien’, e l’impressione è che, ancora una volta utilizzando elementi autobiografici, la circostanza serva allo scrittore per regolare alcuni conto in sospeso con la poco amata patria prima di trasferirsi definitivamente in Francia. La città è descritta difatti come avvolta da un manto di irrimediabile provincialismo che non risparmia polizia e poliziotti, tanto che Maigret pare divertirsi a mettere in difficoltà l’ispettore che lo ospita (o, per meglio dire, di cui usurpa il ruolo) e i suoi storditi sottoposti (per non accennare alla pesante caratterizzazione riservata al petulante poliziotto che vuole piazzare le sue pipe sottocosto).

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