L'uomo che voleva uccidermi
Editore
Recensione della Redazione QLibri
L'involuzione della specie
Il passo non troppo incisivo, schematico, asciutto che caratterizza la penna di molti autori giapponesi contemporanei si imprime anche su questo romanzo di Shuichi Yoshida, autore di successo in patria.
La trama e’ piuttosto semplice , un nucleo di sospetti che si conta sulle due dita, un’assenza piuttosto drastica di suspense.
Chi cerca il poliziesco canonico, auspicando nel modus operandi di scrittori occidentali , sappia che in questo volume di giallo trovera’ poco piu’ che la copertina. Resta una lettura scorrevole, che utilizza il delitto come espediente per parlare d’altro.
Trovo che il nucleo del libro sia piu’ che altro sociologico, una disamina della societa’ contemporanea giapponese. Ne emerge, in conformita’ peraltro con quello che avviene in tanti altri Paesi, una panoramica piuttosto inquietante . Giovani che all’aggregazione preferiscono l’isolamento, comunicando e conoscendosi attraverso chat e gruppi virtuali. L’autore parla di un impoverimento dei valori, dove la gogna mediatica non conosce vergogna e l’apatia della gente impera.
Il fenomeno e’ amplificato da Yoshida attraverso la contrapposizione della vecchia generazione alla nuova. La madre affranta dal dolore inginocchiata di fronte ad un altarino , il vecchio padre che non ha la forza di alzare la serranda della piccola bottega di barbiere e non si dà pace. Non puo’ trovare un senso a quella sua bambina che frequentava sessualmente sconosciuti incontrati su internet. Alle risatine di scherno della gente inclemente e malvagia che col pettegolezzo rifiuta di assecondare il dolore della sua tragica perdita. Monta la rabbia sempre piu’ folle per quel ragazzo viziato che l’ha maltrattata, abbandonata al buio. A cui l’anziano piegato dalla fatica e dal pianto chiede null’altro che una sola, misera, sacrosanta parola di scusa, ma torna al mittente l’ennesimo ghigno sprezzante.
Diffuso come thriller, io credo la sua forza sia invece umana, nella sua accezione negativa.
Senza lode e senza infamia, fa pensare e non sono pensieri incoraggianti quelli sull’involuzione della specie. Buona lettura.
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Persone malvagie
Se è vero che sono andata un po' "a scatola chiusa", non essendomi informata della storia e delle recensioni, è altrettanto vero che questo romanzo si è rivelato parecchio diverso da come mi era apparso ad un'occhiata superficiale. E se anche voi, vedendo tutto quel giallo in copertina, avete supposto di essere di fronte ad un mystery è il momento di ricredervi: si tratta infatti di un thriller dalle atmosfere insolitamente rilassate, che punta tutto sulla caratterizzazione dei personaggi e il dispiegamento al contrario della trama. Non proprio il romanzo che mi aspettavo quindi, ma sicuramente quello di cui avevo bisogno, per parafrasare il commissario Gordon; vediamo ora perché potrebbe fare anche al caso vostro.
Come anticipato, la narrazione parte dove molti romanzi terminano, ossia con la conclusione di un'indagine; se a questo aggiungiamo il fatto che nessuno dei POV presenti è quello di uno degli investigatori, capirete da subito come "L'uomo che voleva uccidermi" sia ben lontano dall'essere un giallo. Il delitto al centro della storia è il brutale omicidio della giovane rappresentante Ishibashi Yoshino, per il quale è stato arrestato l'operaio edile Shimizu Y?ichi: questo viene chiarito fin dalle primissime pagine, mentre il resto del volume è impiegato per illustrare al lettore perché si è giunti a questo crimine e come le azioni di vittima e carnefice siano state fortemente influenzate dalle persone loro vicine e dalle dinamiche della società giapponese dei primi anni Duemila.
Il libro gioca molto sulle relazioni tra i personaggi, mostrando il conflitto tra la vecchia generazione più legata alle tradizioni e all'onore e quella giovane che dimostra un atteggiamento meno formale e un maggior desiderio di libertà, ma anche tra familiari, amici e partner, sottolineando in particolare come siano sempre presenti dei problemi di comunicazione. Si tratta di barriere che i personaggi si autoimpongono per timore di come gli altri potrebbero reagire, aprendo così la porta ad una serie di tematiche collaterali che vediamo affrontate nei singoli POV.
Quella dei punti di vista è una questione un po' spinosa. Il mio lato razionale si rende ben conto che inserire quasi venti POV in un volume di trecento pagine risulta esagerato, ma non posso in tutta onestà dire di aver trovato questa scelta fastidiosa: tutti i personaggi principali sono caratterizzati in modo eccellente, nessuno di loro appare noioso o superfluo. Inizialmente vengono introdotti in un'ottica positiva o al più neutra, ed è solo dopo diverse pagine che si arriva a capire come ognuno di loro nasconda dei segreti passati, abbia commesso delle azioni crudeli o sia spinto a mentire al prossimo, in alcuni casi per dei motivi anche condivisibili. Il risultato è un cast ricco di sfumature ed estremamente verosimile, al quale il lettore non può che affezionarsi.
Oltre ai personaggi, l'autore ha scelto di dare parecchio spazio anche all'ambientazione, intesa come società in cui essi si muovono. Personalmente ho trovato istruttiva questa lettura per come illustra le abitudini di una nazione tanto lontana dalla mia nelle tradizioni quanto purtroppo vicina nei difetti peggiori: Yoshida Sh?ichi ci parla di un Giappone maschilista e omofobo, dove body e slut shaming sono la normalità, e lo fa trasmettendo una forte critica senza dover sbattere in faccia al lettore le sue opinioni, ma spingendolo più intelligentemente ad analizzare questi comportamenti e capirne la problematicità nella vita di tutti i giorni.
Ma veniamo ad un paio di difetti che, pur non avendo affatto rovinato la mia esperienza di lettura, mi hanno impedito di dare una valutazione totalmente positiva a questo titolo. Ho trovato un po' straniante l'alternanza tra prima e terza persona nel testo: se è una scelta sensata per le parti che dovrebbero corrispondere alle deposizioni dei testimoni, non ha ragion d'essere negli altri casi. L'altro problema riguarda alcune sottotrame che l'autore sembra dimenticare durante la narrazione o alle quali non da sufficiente importanza, e perciò avrei preferito fossero in parte ridimensionate oppure del tutto omesse.
L'edizione italiana merita qualche riga a parte. La qualità dei materiali è ottima, come pure l'idea di includere una guida alla pronuncia ed un piccolo glossario, ma la scelta di non inserire dei divisori tra i paragrafi fa sì che il salto da un POV all'altro non sia subito intuibile. Anche la traduzione del titolo non mi convince, perché fa pensare che la storia sia narrata in prima persona dalla vittima -mentre Yoshino è proprio una dei pochi personaggi a non avere una parte in cui parla direttamente al lettore- e che si tratti di un omicidio pianificato da molto tempo; la frase scelta non è casuale, ma continuo a pensare che avrebbero potuto semplicemente tradurre "Akunin" (ossia, persona malvagia), un titolo più calzante ed associabile a più di un personaggio.
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Questo non è un libro giallo
Attenzione questo non è un giallo, come la quarta di copertina e i blog in rete tentano di tratteggiare !
Certo un libro giallo fa notizia, suscita entusiasmo e spesso fa lievitare le vendite, tuttavia a lettura ultimata, credo sia possibile dare “un’etichetta” differente a questa opera. Per la precisione, la vicenda ruota attorno ad un omicidio ed alla ricerca di un assassino per cui l’elemento poliziesco di fatto esiste anche se, a mio avviso, l’impianto narrativo tende a sottolineare e privilegiare altri aspetti. Il libro assume la struttura di un articolo di cronaca nera in cui l’autore narra il dipanarsi della vicenda dai diversi punti di vista dei vari protagonisti, riuscendo a ricomporre in un unico quadro situazioni inizialmente frammentate.
L’autore ne “L’uomo che voleva uccidermi” si pone l’obiettivo di illustrare, anche in maniera abbastanza cruda e spietata, l’attuale società giapponese attraverso un’analisi sociologica e psicologica piuttosto accurata. Spesso infatti siamo portati a vedere il Giappone come un paese con caratteristiche differenti rispetto all’Occidente, ammirandolo per l’assenza di alcuni vizi così tipici del nostro mondo che sembrerebbero assenti a quelle latitudini. Invece Shuichi riesce a dimostrare diverse ed inquietanti similitudini: l’uso disinvolto di Internet ed il ricorso ai social network come strumenti per agevolare i contatti tra uomini e donne, la consumazione di rapporti sessuali facili alimentati dalla diffusione dei cosiddetti “love hotel” o “centri benessere”, all’interno dei quali relazionarsi in libertà ed intimità. Allo stesso tempo fotografa una società malata di solitudine: persone rimaste psicologicamente segnate nell’infanzia che trascinano i traumi nell’età adulta tentando di mascherare le proprie debolezze tra le braccia di una conoscenza occasionale, oppure giovani privi di valori che per sopravvivere alla noia passano le serate nei locali cantando karaoke e abbordando ragazze.
La visione d’insieme che ne deriva è piuttosto allarmante. Come viene stigmatizzato verso la fine del racconto dal padre della vittima “c’è troppa gente a questo mondo che non tiene a nessuno in particolare….La gente così è convinta di potersi permettere qualsiasi cosa e guardano dall’alto in basso quelli che invece perdono qualcosa, che nutrono desideri…”.