L'uomo che morì due volte
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Solitamente l'annuncio di un adattamento letterario non mi trasmette particolari emozioni, ma quando ho visto il cast scelto per portare sullo schermo la storia de "Il Club dei delitti del giovedì" sono rimasta senza parole: sono semplicemente perfetti per i loro ruoli! Inoltre da un po' speravo traessero un film oppure una serie da quel romanzo, vista anche la recente moda dei cozy mystery. Con questo rinnovato entusiasmo per la tetralogia mi sono quindi approcciata a "L'uomo che morì due volte", un secondo capitolo leggibile e comprensibile in modo indipendente, tenendo però conto che spoilera in parte le rivelazioni del precedente romanzo.
Sulla scena tornano i membri del Club che dà il titolo alla serie: gli ultra settantenni Elizabeth, Joyce, Ibrahim e Ron; oltre al tuttofare Bogdan, agli agenti di polizia Chris e Donna, e ad un nutrito gruppo di nuovi caratteri che danno il via alla seconda indagine. Nella residenza per anziani di Coopers Chase arriva infatti Marcus Carmichael, una vecchia conoscenza di Elizabeth: si tratta di uno pseudonimo utilizzato dal suo ex marito Douglas Middlemiss, che cerca un nascondiglio sicuro dopo aver rubato venti milioni in diamanti ad un criminale locale. Mentre il Club si attrezza per proteggere l'uomo, vengono portate avanti in parallelo un'indagine a carico della narcotrafficante Connie Johnson e la vendetta contro il teppista Ryan Baird.
Un bel po' di grattacapi in quel di Fairhaven! a mio avviso troppi per analizzare tutti nel modo migliore. Infatti, la linea di trama collegata a Douglas occupa la maggior parte della narrazione, e le altre sono costrette a convergervi a forza. Questo incide soprattutto sulla sottotrama dedicata ad Ibrahim, che per l'appunto ottiene solo una manciata di scene di sviluppo ed una risoluzione fuori pagina a dir poco frustrante, specie perché si dovrebbe parlare con più cognizione di PTSD. La stessa frettolosità superficiale ricade anche sui flashback di Bodgan e la (presumo) depressione di Donna: tutto sistemato tra una battuta e l'altra.
Anche a livello di trama avrei alcune note non proprio positive. In linea generale, ho trovato l'intreccio meno coinvolgente e misterioso del previsto; memore della complessità e dell'inventiva dimostrate dal caro Richard nel suo debutto, mi sarei aspettata un giallo più articolato, e sicuramente meno ripetitivo nelle dinamiche. Per quanto mi riguarda, la ricerca dei diamanti rubati non mi è sembrata un innesco abbastanza convincente -in fin dei conti i protagonisti non sono i derubati e per loro ritrovare il maltolto significa ben poco-, mentre lo smascheramento dell'assassino sarebbe stato entusiasmante se le vittime non fossero state tanto ambigue per buona parte del volume.
In compenso, trovo che il finale sia stato decisamente soddisfacente, sia per l'escamotage che viene ideato da Ron per far giustizia, sia per come viene spiegato il piano del colpevole. Mi è piaciuta parecchio anche la conclusione data alla romance di Chris: una relazione credibile e dolce senza sfociare in un'eccessiva zuccherosità. Tra i pregi finisce ovviamente la caratterizzazione sopra le righe dei personaggi che rende la lettura piacevolmente esilarante, si tratti dell'adorabile svampitaggine di Joyce o delle priorità tutte sfasate di Lomax.
Tra un'avventura e l'altra, Osman riesce ad includere anche qualche parentesi di serietà, infatti in questo libro si torna a parlare di Alzheimer, di confronto generazionale e dei diversi modi in cui le persone anziane si pongono rispetto al mondo contemporaneo. Si tratta di parentesi molto ridotte ma assai gradite, perché riescono a fornire un quadro abbastanza verosimile nel quale racchiudere delle vicende che spesso non lo sono neanche lontanamente.