L'orologiaio di Everton
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Nel vivere, nel sopravvivere.
«Del resto, non si trattava di controllo, Ben lo sapeva. Se a volte suo padre faceva in modo di vederlo, non era certo per sindacare il suo comportamento, ma solo per il piacere di un contatto, sia pure a distanza.»
C’è una strana quiete in quel di Everton, una cittadina scandita dal ritmo della quotidianità, di una vita fatta di bicchieri di latte bevuti a casa di donne che si occupano della prole e mariti che si dilettano tra i locali e i boccali di vino e birra. Una quiete che nasconde una strana forma di tenerezza che, a sua volta, è emblema e simbolo di “una quiete prima della tempesta”, di una quiete che si mixa a dolcezza. Sembra quasi un paradosso nel paradosso. Ben è solo un bambino di pochi mesi, profuma di latte e pane appena sfornato. Il padre, Dave Galloway, si ritrova solo con lui. La moglie se ne è andata. Non una riga, non una parola. Tanti piccoli fogli accartocciati e strappati con tanti piccoli grandi tentativi di scrivere di un messaggio forse d’addio, forse di commiato, forse di derisione. Una donna dal profumo e dalle scarpe volgari, scelta appositamente per questo. Una piccola sfida per Dave ma anche il suo personalissimo atto di ribellione contro il sistema. Che fare adesso? Per Dave conta solo la felicità del figlio e a questo si dedica interamente. Senza nulla mai mettere innanzi a lui. Ben prima di tutto. Come stai Ben? Sei felice Ben? “Sì, Dad”, rispondeva solennemente questi. Un bravo ragazzo, un giovane uomo cresciuto con un padre forse troppo silenzioso ma pur sempre un padre. Un bravo ragazzo che anche a scuola sapeva cavarsela. Sono passati quindici anni e Dave è adesso spiazzato. È un sabato sera. A differenza del precedente in cui era raffreddato e non era uscito, sta tornando da casa di Musak. C’è silenzio, troppo silenzio. Ben presto si accorge che manca anche il suo furgone, quello di seconda mano acquistato appositamente per i piccoli spostamenti del suo lavoro di orologiaio. Ben già sapeva guidarlo seppur non disponesse ancora di una vera e propria patente di guida. Eppure è Ben ad averlo preso, pare, da quel che viene ad apprendere da una famiglia vicina, per una fuga d’amore. E se non si fosse trattata solo di una fuga d’amore? Se quel figlio cresciuto affinché fosse felice si rivelasse un assassino? Un giovane uomo capace di togliere la vita ad altri e senza nemmeno pentirsene? Chi è davvero Ben? Quali e quante risposte dare a quei giornalisti che cercano lo scoop e che interrogano il padre con domande alle quali egli stesso fatica a rispondere perché forse conscio del fatto che quel figlio non lo conosce davvero?
«Ma Dave ascoltava? Gli pareva che le parole non fossero più parole, ma immagini che gli passavano davanti agli occhi come una pellicola a colori. Non avrebbe saputo ripetere una sola frase, eppure aveva l’impressione di aver seguito i movimenti di ciascuno dei personaggi citati.»
Ancora una volta Simenon propone ai suoi lettori un’indagine psicologica forte, profonda, mai lasciata al caso. Un’indagine accompagnata da un ritmo narrativo ben cadenzato, mai troppo rapido, mai troppo lento. Anzi. Siamo davanti a un libro in cui personaggi ordinari vengono strappati a una vita che credono essere la loro per essere condotti sull’orlo del baratro, un baratro che non consente ammissioni, scuse, scusanti, eccezioni. Si tratta di un rapporto causa-effetto. Il figlio ha commesso un reato di cui non sembra essersi pentito, anzi, sembra andarne fiero. Il padre, dal suo canto, non abbandona quel figlio che è appunto carne della sua carne. Prima cerca di analizzare e comprendere, è destabilizzato, risponde ai giornalisti e alla polizia quasi come se fosse in uno stato di nebbia e confusione, dopo cerca di seguirne le orme, il figlio è pur sempre inseguito dalle forze dell’ordine di sei Stati e dall’FBI, inoltre, scopre anche rifiutarsi di volerlo vedere. All’inizio cerca anche di giustificarne il perché poi prende consapevolezza del dato e del fatto.
Ed è qui che il confine psicologico è ancor più approfondito. Simenon ci fa dubitare di chi conosciamo, insinua in noi il dubbio di non conoscere davvero chi abbiamo accanto, anche nel caso di nostro figlio. Ci fa riflettere sul come e quanto talvolta pensiamo di comprendere e capire una persona per poi ritrovarci davanti a un’altra verità. A ciò si aggiunge la non spiegazione: il gesto di Ben non è mai spiegato, il padre a sua volta non si pone domande, non cerca risposte se non nell’affermazione di un atto di ribellione che accomuna nonno, padre e figlio in una dicotomia fatta di vivere o sopravvivere, in una realtà in cui quell’unico atto di rivolta, di uscire dagli schemi può essere “letale”. Come nel caso del nonno che sempre pagherà per quell’unica scappatella, o del padre che ha tentato la sua ribellione scommettendo su una donna che chiaramente non era adatta a lui. Ma non vi è ricerca di movente, non vi è ricostruzione dei perché. Non vi sono risposte. Forse perché in una condizione di completa apatia, non dialogo, l’unica soluzione è l’auto-annientamento. Per quanto incomprensibile o indescrivibile.
“L’orologiaio di Everton” ci presenta un Simenon che ci mostra la difficoltà del vivere, la ricerca di una redenzione nel sordido, l’incapacità di scegliere, la difficoltà dell’esistere. È un Simenon che narra dell’amore di un padre per un figlio, del suo dolore per la consapevolezza di non conoscere quella prole che voleva solo sapere felice e per la quale ha fatto tutto il possibile, di una verità e realtà sincera quanto spietata. Questo anche nella conclusione dove a permeare non è più quel senso di tenerezza che può accompagnare nella narrazione per mezzo di questo personaggio che non si giustifica ma che si sente vicino, quanto, invece, la solitudine. Una solutine che se precedentemente aleggia, adesso è completa e totale padrona della scena. Ma nella solitudine può esservi ancora una speranza di contatto, legame, nuovo inizio?
«Lo sguardo dei tre uomini non tradiva forse una stessa vita segreta, o meglio, una vita che aveva dovuto ripiegarsi su se stessa? Sguardo di esseri timidi, quasi rassegnati, mentre l’identica smorfia del labbro indicava una ribellione repressa. Erano tutti e tre della stessa razza, una razza opposta a quella di un Lane o un Musselman, o di sua madre. Gli pareva che in tutto il mondo non ci fossero che due tipi di uomini, quelli che chinano la testa e gli altri.»
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SULL'INTRANSIGENZA DELLA REALTÀ
C'è quasi una tenerezza di fondo che aleggia fra le righe di questa Everton sempre uguale a se stessa, una certa pietà che sembra sciogliere il rigore della trama e allentare il ritmo della catastrofe, un indefinito "odore di pane appena sfornato" che scalda, per una volta, la trasparenza gelida del disincanto. L'odore di un bambino che dorme nel suo lettino, quel figlio cui Dave Galloway ha deciso di consacrare la sua vita, le sue attenzioni, il suo affetto e la sua comprensione. Quando la madre se ne era andata, dopo appena un anno dalla nascita di Ben, col suo profumo volgare e le sue scarpe in disordine, Dave aveva pensato solo alla felicità del figlio. Era felice Ben? "Sì, dad" rispondeva, sempre, poche parole sempre uguali. Un bravo ragazzo, tutto sommato. Eppure quel ragazzo ha ucciso un uomo, è scappato con una ragazza ed è inseguito dalla polizia di cinque stati. Chi è Ben? Dave non se lo chiede e anzi balbetta confuso risposte vaghe ai giornalisti che lo assediano, perché quello che vuole, l'unico suo desiderio, è ritrovare il figlio e ripetergli che non è successo nulla, che non è arrabbiato con lui, che tutto si può risolvere. E in questo stupore ovattato, Dave sarà costretto a confrontarsi con un figlio che rifiuterà di vederlo.
Simenon strappa i suoi personaggi dalla vita di sempre per condurli sull'orlo della fine, al punto in cui, comunque andrà, nulla potrà essere come prima. Il figlio ha oltrepassato la linea della fine, il padre si è trascinato al suo seguito per non perderlo, perché anche se è un assassino, resta pur sempre suo figlio. Da questa prospettiva, oltre la soglia del bene e del male, Simenon ci costringe a dubitare di chi pensiamo di conoscere, di chi crediamo di capire per sconfessare, ancora una volta, la nostra idea di "sapere". E lo fa nel modo più estremo e assurdo possibile, perché fino alla fine nessuno sa e soprattutto nessuno sembra chiedersi, il motivo di quel gesto. Non lo fanno i giornalisti che scavano nel sordido e nel dolore e che sanno rendere sporca anche la verità, non lo fa la polizia che al movente preferisce l'evidenza del crimine e solo alla fine lo farà il padre, ricostruendo le tracce del destino negli uomini della sua famiglia. Nonno, padre e figlio alle prese con una dicotomia cruciale e infantile insieme: superare o meno la linea tra vivere e sopravvivere. E quando il problema diventa capitale, quando il peso di nascere tra chi "è sculacciato" fa esplodere la rivalsa, l'unica via per vivere è uccidere e poi annientarsi. Perché è solo nel sordido che questi personaggi trovano la loro redenzione, perché in fondo, per chi non ha il coraggio di scegliere ciò che si è, la realtà è solo una moneta che oscilla fra uccidere e morire. D'altronde vivere, ah sì, vivere, è la parte difficile.
Rispetto ad altri suoi libri, Simenon si dimostra più indulgente, non c'è condanna, non c'è cinismo, ma anzi un rispetto sacro nell'amore di questo padre per il figlio e allora la scrittura si fa più distante, sincera ma non spietata, perché la realtà è sempre realtà, ma l'amore di Dave per il figlio assassino è, paradossalmente, l'unico sentimento onesto che Simenon ci ha raccontato. E forse è proprio questa tenerezza di fondo che ha reso "L'orologiaio di Everton" uno dei libri più letti di Simenon, anche fra chi lo frequenta saltuariamente: è pur sempre una speranza.
Serenità perduta
Il rapporto tra me e Simenon è abbastanza controverso. E' chiaro che abbiamo qualche problema di approccio, considerando che sono soltanto agli inizi riguardo alla lettura della sua estesa opera. E' fuor di dubbio che sia uno scrittore di livello, ma ancora non è scattata la scintilla, tra noi due.
Per quanto "L'orologiaio di Everton" sia un giallo di buon livello, con numerosi risvolti psicologici che possono indurre a riflettere, ancora non posso dire che tra me e lo scrittore belga si sia creata quella sinergia lettore-scrittore che avverto quando leggo, ad esempio, un McCarthy o un King. Devo dire, però, che il potenziale c'è e che la voglia di leggere altro, nel suo repertorio, è piuttosto viva.
Lo stile di Simenon riesce a catturare, a rendere l'idea della vita inizialmente monotona del protagonista, Dave Galloway, un orologiaio che svolge ogni piccolo gesto della sua vita come fosse un dovere da adempiere necessariamente in un certo modo e ad una certa ora. La sua vita si divide tra il suo lavoro, suo figlio Ben (di cui è l'unico a prendersi cura dopo la fuga di sua moglie) e un unico diversivo settimanale, che è una serata passata nella veranda del suo vicino, Musak. Galloway è un uomo intrappolato nella sua routine, ma non se ne lamenta, come se sapesse che in fondo, l'abitudine, è solo un altro modo per dire "serenità".
Quando suo figlio Ben scapperà di casa insieme a una vicina, lui sembra completamente incapace di reagire, bloccato com'era nella sua vita sempre uguale. Difatti, in seguito al disastro, quella serenità che si era guadagnato sembra essere la cosa che rimpiange di più, una serenità di cui suo figlio era parte fondamentale.
Il lettore si troverà a scrutare i mutamenti della vita di Dave, un uomo che soltanto alla fine sembra essere in grado di scuotersi dal torpore e indagare sui motivi che hanno spinto suo figlio a fare quello che ha fatto; perchè non si è certo limitato a scappare di casa. Per gran parte del libro non basteranno poliziotti, commissari, avvocati, giudici a scuoterlo da quella specie di dormiveglia che lo fa agire quasi casualmente, arrendevole agli eventi e alla volontà degli altri come una bandiera al vento.
Non volendo rovinare a nessuno la sorpresa, è stato il finale a non convincermi del tutto. Ho sperato che la genialità di Simenon mi colpisse come un pugno sulla faccia. Non è stato così, nonostante dia una spiegazione soddisfacente dei fatti e dei motivi che hanno spinto Ben a fare quello che ha fatto, indagandone i risvolti psicologici. Però, ad essere sincero, non mi hanno convinto del tutto.
Resta comunque una bella lettura, ma forse, va fatta dopo aver letto quelli che sono i capolavori dello scrittore.
"Non era più la sua casa, la loro casa. Gli oggetti avevano perso ogni fisionomia e il letto di Ben, sul quale lui, Dave, stava disteso fino a poco prima, era solo un normale letto che conservava la traccia di un corpo."
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Ciò per cui vale la pena di vivere
Questo romanzo fu scritto da Simenon nel periodo in cui visse negli Stati Uniti e infatti nel libro Everton è una cittadina Dell’Arkansas, una delle tante che si trovano in quel grande paese e che finiscono con l’assomigliarsi tutte, con case non ricche, ma dignitose, il cinema in centro, l’immancabile campo da baseball in periferia. Sono realtà urbane così diverse da quelle rurali della Francia di cui l’autore ci ha fornito tanti ritratti talmente veritieri da essere palpabili, ma non c’è invece grande differenza per gli abitanti, magari più ristretti nelle loro case degli europei, con una mentalità meno radicata, trattandosi di una nazione ancora giovane, ma con lo stesso grigiore quotidiano. In questo tempo ripetitivo vive il protagonista, rimasto solo con il figlio figlio da quando questi aveva sei mesi a seguito dell’abbandono della moglie. Casa e lavoro, lavoro e casa tutti i giorni e ogni tanto una capatina per una partita da un amico, che vive solo e di cui sa ben poco. È l’unica fuga da una realtà in fondo monotona, a parte l’amore quasi ossessivo per quell’unico figlio che ogni tanto esce la sera, ma poi ritorna da quel genitore che l’attende in ansia.
Un giorno però, anzi una sera, non fa ritorno e non intendo aggiungere altro della vicenda per non togliere il piacere a chi lo leggerà.
Galloway, così si chiama il protagonista, vivrà un’ossessiva stagione nel tentativo di tenere unito ciò che si è spezzato e di capire il perché di un gesto.
L’orologiaio di Everton è un dramma si familiare, ma soprattutto di uno solo, di lui, di quel padre timido e umile, racchiuso nel bozzolo di una vita in cui c’era la certezza che il domani non sarebbe stato dissimile dall’oggi e dai giorni precedenti, ma c’è chi reagisce in modo diverso a questo stato di immobilità e con rabbia dà sfogo a tutto il tormento che ha dentro.
È superfluo che dica che l’analisi psicologica di Simenon è ai massimi livelli, con quella sua capacità di scavare lentamente dentro fino a mettere a nudo gli angoli più nascosti; ho trovato, invece, che la descrizione della provincia americana sembra meno precisa di quella francese; forse è una mia sensazione o forse è proprio così, perché anche lì x’è un agglomerato di case in un tempo immoto che può portare non di rado a improvvise ribellioni, che non sono di Galloway, troppo dimesso e rassegnato per buttare ogni cosa all’aria, ma non tutti sono Galloway.
Il solito capolavoro di Simenon? Certamente, anche quando gioca fuori casa.
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Affinita' e discendenze
Dave Galloway, l'orologiaio di Everton e quei piccoli gesti meccanici, ripetitivi che si compiono ogni giorno. La colazione alla stessa ora, gli abiti da lavoro, il ticchettio in un quadrante, una bistecca di domenica col tuo ragazzo, un drink il sabato sera dal vicino di casa.
Tutto questo ha un nome oggi : routine. Ma il giorno successivo potrebbe chiamarsi diversamente : serenita'. Se ci privassero della nostra' quotidianita', la noia di oggi non potrebbe trasformarsi nella nostalgia di domani ?
I Galloway, soggetti remissivi eppure ... Capita talvolta una scintilla di ribellione, l'angolo della bocca si curva verso l'alto. Sono affinita' della discendenza. In fondo non possiamo scappare da tutto, men che meno da noi stessi, dalla nostra natura. Natura inspiegabile, natura drammatica.
Simenon incanta e stupisce ogni volta, il suo potere di creare personaggi e di sottoporci una narrativa incuneata su una sottile analisi psicologica e' magistrale. La sensazione non e' tanto quella di un autore che all'interno del romanzo approfondisce l'aspetto psicologico, e' proprio l'aspetto psicologico stesso a divenire romanzo. Con grazia, senza appesantire il testo, senza colpi di scena improvvisi L'OROLOGIAIO DI EVERTON emoziona, intrattiene, ci esorta a riflettere su quello che abbiamo e sulla prospettiva da cui lo consideriamo. Cose o persone che siano.
I titoli di Simenon non solo si inseriscono con facilita' in libreria. Si inseriscono anche lì , a metà strada fra mente e cuore e lo fanno impercettibilmente. Te li ritrovi, senza sapere perche'. Forse semplicemente perche' quello e' il loro posto.
Buona lettura.
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Il tempo aggiusta tutto... o quasi
Un racconto che porta in cattedra un non-protagonista.
Un piccolo e timido orologiaio, un tipo emaciato, ordinato, introverso,abitudinario, sensibile , remissivo e poco affine a tutto ciò che di godereccio può darti la vita; in altre occasione uno potrebbe pensare al tipico serial killer . Se non fosse che …. Beh non voglio togliere nulla …
Ma in verità non è di questo che si parla, ma di una vita comune, di un uomo comune come tanti altri che travolto dagli eventi cerca di tenere assieme ciò che resta della sua vita,anzi, la cosa piu importante della sua vita.
Un racconto che per quanto ben scritto e intrigante, lascia quella sensazione di sabbia tra i denti: non è il modo in cui è scritto ma è ciò che trasmette che stride e infastidisce il cuore.
Devo ammettere che mi ha suscitato sensazioni controverse, solitudine, pena, compassione ,curiosità, speranza e rabbia.
Si perché per tutto il racconto un'unica domanda mi ha frullato in testa, come un picchio che scava, scava e scava. “Perche lo hai FATTO ?” .
Allora ho continuato a leggere avidamente, trasportato da questa sensazione di disorientamento, che fa in modo di metterti in profonda sintonia con il protagonista. Questo perche Simenon a mio parere tratteggia il protagonista, ma in particolare le sue sensazioni in modo straordinario.
Sono partito nella lettura con delle aspettative, e mi sono ritrovato senza volere in tutt’altro contesto. E l’eleganza, la discrezione mi hanno fatto virare altrove, senza per nulla soffrire la mancanza di queste ultime.
Un racconto singolare, che sono felice di aver letto, e consiglio a chiunque voglia conoscere un altro modo di vivere il romanzo “Giallo”.
In conclusione
Un racconto giallo originale, fuori dagli schemi qualcosa da provare: se non per l’immenso scrittore, per la sua facilità e velocità di lettura.
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Un capolavoro
Simenon incanta con questo libro, noon tra i più conosciuti, con un dramma psicologico che mette a nudo le emozioni del protagonista, Dave Galloway, l'orolgiaio di Everton appunto. Quest'uomo, abbandonato dalla moglie quando il figlio aveva solo 6 mesi, deve fare i conti con la vera natura del figlio Ben che come la madre scompare da casa. Il mistero si infittisce e Simenon è fantastico nel trasmettere il dolore, la paura, le speranze del protagonista.
Imperdibile, un giallo che esce dai consueti schemi e che incolla il lettore alle pagine del libro in maniera magica.