L'ombra
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Fiato sospeso fino all'ultimo !
“L’ombra” (2019) è il terzo psicothriller della giornalista tedesca Melanie Raabe, scrittrice di gialli oltre che di apprezzati testi teatrali e racconti. Il giallo ha come protagonista una donna in carriera, Norah Richter, giornalista capace e attenta, trasferitasi per lavoro da Berlino a Vienna. Sola, diffidente, gran fumatrice, vive in un piccolo appartamento, tra scatoloni ancora imballati, in una Vienna apparentemente ostile, fredda, grigia, percorsa da gente indaffarata e poco comunicativa. Ma una sera, ecco l’imprevisto: una mendicante ( tale almeno in apparenza) le predice che l’11 febbraio, al Prater, sarà costretta a uccidere volontariamente un uomo, Arthur Grimm. Inizia così tutta la storia. La poveretta non si capacita, vorrebbe andare a fondo, capire il perché di quel vaticinio misterioso. Si susseguono intanto eventi strani: nell’appartamento spariscono oggetti, si sentono strani rumori alla porta e sulle scale, telefonate misteriose turbano le notti insonni di Norah. Riaffiorano ricordi del passato (un amore finito, il suicidio di un’amica d’infanzia) e si fanno insistenti le telefonate anonime, che approfittano dell’emotività di Norah incitandola al delitto e dipingendo Arthur Grimm, la vittima predestinata, come un individuo ignobile, indegno di vivere. Le indagini che Norah conduce, sempre più perplessa e impaurita, la porteranno a conoscere lo stesso Grimm…
Il romanzo tiene sulla corda il lettore fino all’inaspettato finale (vero colpo di scena teatrale). La tensione è palpabile, ben calibrata: è come una lama luccicante e affilatissima che percorre tutti i capitoli, tra chiari e scuri, ben manovrata con uno stile tagliente e originale. Non c’è spazio per divagazioni: tutta l’attenzione è per Norah, le sue paure, le persone che incontra, la sua speranza di finire, in qualsiasi modo, l’esperienza allucinante che sta inspiegabilmente vivendo. Il finale, come già detto e così come la scrittrice l’ha congegnato, ha una struttura spettacolare e sorprendente: dato che ogni dettaglio del libro trova alla fine una sua spiegazione, si consiglia una lettura attenta anche a particolari apparentemente insignificanti. In questo giallo, a mio parere, emergono le due vocazioni di Melanie Raabe. Oltre alla vocazione squisitamente letteraria per il genere (si legga soprattutto l’emozionante e coinvolgente “La trappola” del 2017), è evidente anche la sua esperienza di testi teatrali: ne è testimonianza l’ultima “scena” del thriller, rappresentata magistralmente come spettacolo da palcoscenico.
Il thriller è scritto con grande abilità e maestria: vale la pena di leggere anche gli altri due romanzi della Raabe, il già citato “La trappola” del 2017 e “La verità” del 2019.
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Norah porta la morte?
Norah Richter è una giornalista tedesca che, spesso, si ficca nei guai perché trascinata dal suo innato senso di giustizia che le fa travalicare quelli che dovrebbero essere i limiti imposti alla sua professione. Di recente, proprio per questo motivo, ha “guadagnato” una denuncia per diffamazione dopo aver cercato inutilmente di difendere, coi suoi articoli, una ragazza che ha subito atroci violenze da un suo professore. Per ciò solo Norah ha perso il lavoro, ha rotto la sua relazione con Alex, ha abbandonato Berlino, ha dovuto accettare un nuovo impiego presso una rivista di Vienna. Ma i rimorsi e lo strazio per tutte coloro che non è riuscita a salvare la inseguono ovunque.
Come se ciò non bastasse, già il primo giorno, recandosi in redazione, incontra una strana mendicante dallo sguardo inquietante che le dice che lei “porta morte” e che “l’11 febbraio ucciderà un uomo di nome Arthur Grimm, al Prater. Per un’ottima ragione e per sua scelta”. Norah, però, ignora chi sia questo Grimm e perché mai lei lo dovrebbe incontrare e, per di più, uccidere. Tuttavia la data dell’11 febbraio è legata ad un tristissimo ricordo: in quel giorno di tanti anni prima si suicidò la sua amica del cuore, Valerie. Il solo ricordare quella data la fa rabbrividire.
Dopo quella profezia a Norah capitano sempre più frequentemente fatti strani. Si imbatte in cartelloni pubblicitari che fanno esplicito riferimento alla morte. In casa spariscono oggetti e altri improvvisamente appaiono. Sente ripetere il nome di Grimm nelle situazioni più insolite. Misteriosi e preoccupanti sms provenienti da un numero anonimo la invitano ad agire. Ha spesso la sensazione di essere seguita da una qualche presenza invisibile, un’ombra che si porta dietro un aroma per lei nauseante.
In questa spirale di tensione, Norah si troverà a indagare su Grimm; a sospettarlo autore di atti brutali, a pensare al fatidico 11 febbraio che si approssima sempre più…
“L’ombra” è un thriller psicologico dove l’introspezione e il lavorio interno alla protagonista la fanno da padroni e si sostituiscono all'azione. Il dramma si dipana tutto nella psiche di Norah, mentre fuori il mondo prosegue ignaro con il suo passo normale. Non ci sono inseguimenti, minacce fisiche, violenze, conflitti se non nell'animo di Norah che, giorno dopo giorno, è sempre più trascinata in un vortice di ansie, passioni e desideri di rivalsa che la portano a rinchiudersi in una gabbia da essa stessa costruita; una gabbia dove la premonizione della vecchia mendicante diviene elemento portante e assume quasi l’aspetto di una maledizione biblica alla quale non ci si può sottrarre.
La protagonista ci risulta tutt'altro che simpatica: ha un carattere difficile, scorbutico, con molti lati spigolosi e, in genere, oscuri, quando non proprio negativi. Con il suo prossimo è aggressiva, scostante e intollerante. Rifiuta tutto ciò che si scontra con il suo modo personale di concepire il mondo. Insomma non è una persona gradevole che ameremmo conoscere o di cui vorremmo diventare amici. Tuttavia non possiamo non provare empatia per lei. Inoltre la sua concezione di giustizia — seppur così radicale, esasperata e manichea — non può che trovarci solidali, quantomeno sui principi generali su cui si fonda.
Il romanzo parte lento, pigro. Descrive metodicamente le giornate viennesi di Norah che colano via dense come gocce di melassa da un cucchiaino. Prima che subentri la noia nel lettore, però, la storia inizia una progressiva accelerazione che parte in modo quasi impercettibile, più con accenni, suggerimenti. Poi ai sospetti (verrebbe da dire “alle paranoie di Norah”) subentrano fatti concreti, indizi e prove sempre più circostanziate, testimonianze di un turpe accadimento.
Ho apprezzato lo stile singolare e accattivante con cui la vicenda viene narrata. Le descrizioni spesso sono rapide, secche, febbrili. Ci troviamo di fronte al concitato susseguirsi di frasi incompiute, senza costruzione sintattica completa, fatte solo di soggetto e complemento, sparate a raffica. I sogni di Norah si mimetizzano con la vita reale che, a sua volta, si alterna ai ricordi. Ma proprio questa costruzione del racconto ci inculca un senso crescente di frenesia, di nervosismo incalzante.
Norah, con lo scorrere delle pagine, invece che chiarire il proprio personaggio lo rende sempre più enigmatico, problematico. Forse la parte meno gradevole è proprio il finale dove, con un paio di doppie giravolte, si muta completamente la prospettiva nella quale osservare tutta la vicenda. Se, da un lato, è ammirevole e imprevedibile il colpo di scena (plurimo) con cui si chiude il romanzo, dall'altro, questo stratagemma svilisce un po’ la storia che diviene meno verosimile per quanto rientri su binari più convenzionali di quelli imboccati alla partenza. La chiusa, poi, in perfetto stile happy end, è forse un po’ troppo edulcorata e mielosa. Quasi banale.
Tuttavia nel complesso è un romanzo gradevole, ben congegnato e coinvolgente, anche se troppo calato in quel disagio femminile attualmente rappresenta dal movimento #metoo. Da leggere.