L'occhio del male L'occhio del male

L'occhio del male

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Un tremendo sortilegio gitano incatena a una sorte da incubo Billy Halleck, noto e influente avvocato: dopo aver investito e ucciso con la sua auto una zingara, è stato infatti assolto da tribunale, ma non dal padre della vittima, che gli ha scagliato addosso un terribile anatema. A Billy resta solo un'ultima mossa per salvarsi: affrontare quel vecchio accecato dall'odio in una partita disperata dove ogni mossa è lecita, ma in cui un destino beffardo giocherà il ruolo di protagonista, riservando un'atroce sorpresa...



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L'occhio del male 2024-06-21 15:29:00 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    21 Giugno, 2024
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Sparisci non rende l'idea

Il mio rapporto con le narrazioni di Bachman non è partito con il piede giusto, e conservo ancora un ricordo svilente de "La lunga marcia"; le cose sono però migliorate con "L'uomo in fuga", specialmente per la scelta di porre l'attenzione soltanto sui personaggi adulti. Con un'incerta aspettativa sono quindi approdata a "L'occhio del male", forse il titolo bachmaniano sul quale riponevo maggiori speranze. Speranze assai ben riposte dal momento che tra i tre è il titolo più marcatamente kinghiano, ed anche per questo il mio preferito.

Alla base del romanzo c'è una vicenda di sopravvivenza in condizioni anomale, che lo accomuna appunto a molte opere del caro Stephen. L'avvocato William "BIlly" J. Halleck conduce una vita all'insegna dell'agiatezza nella borghese Fairview, cittadina immaginaria nel Connecticut, fino a quando causa la morte di una zingara mentre è alla guida dell'automobile. Per merito delle sue conoscenze BIlly riesce ad evitare una condanna per omicidio colposo, ma non la maledizione che Taduz Lemke -il terrificante padre della donna- sembra avergli lanciato ed a causa della quale diventa sempre più magro.

Lo spunto potrebbe sembrare un po' infantile, ma vi garantisco che getta le basi per una storia ricca di tensione ed angoscia, nonostante l'elemento horror sia più psicologico che visivo. In generale, non si tratta di una lettura in cui la violenza è descritta in modo troppo grafico, con sovrabbondanza di dettagli (come invece capita in altri libri di Bachman); questo non esclude però diversi aspetti triggeranti, soprattutto nelle scene in cui si fa riferimento a malattie mortali.

Per questa ragione, ammetto non si tratti di un romanzo adatto a tutti. Eppure io l'ho davvero apprezzato, anche più di quanto le prime pagine lasciassero presagire: più ci si addentra nella narrazione, più si può gustare il gioco di parallelismi creato da King, in cui vengono posti a confronto razionalità e superstizione, vita cittadina e vita nomade, giustizia e vendetta. Il protagonista diventa il perno su cui ruotano queste contraddizioni, ed infatti si dimostra un personaggio dalla psiche davvero interessante da conoscere pian piano; Billy pensa di essere nel giusto, e perfino quando si trova materialmente colpito per le sue colpe è pronto a riversare i problemi sugli altri, senza particolare preoccupazione delle conseguenze a lungo termine.

Accanto ad un protagonista caratterialmente mastodontico, gli altri personaggi rischiano di sparire (perdonate il gioco di parole!), ma non in questo caso. L'autore ha saputo infatti dipingere un cast di comprimari detestabili ma non macchiettistici, che formano un contorno di certo non amabile però sicuramente adatto alle sventure di Billy.

A discapito del mio apprezzamento, per tutta la lettura ho avuto però l'impressione che qualcosa non andasse e alla fine ho capito: la trama è prevedibile. L'intera storia è priva di colpi di scena e guizzi narrativi che la rendano intrigante, e -a dispetto della sua componente thriller- non c'è un solo avvenimento che il lettore non riesca ad indovinare dopo aver letto qualche capitolo per avere un quadro di partenza sull'indole dei personaggi e la premessa di base. Un difetto che comunque non influenza più di tanto la lettura, anche perché a risollevarlo c'è comunque un finale piacevolmente angosciante.

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L'occhio del male 2018-02-21 17:28:11 Elisabetta.N
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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    21 Febbraio, 2018
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L'occhio del male

Si può credere alle maledizioni?
Billy Halleck non ci crede, crede nella legge, lui è un avvocato.
Un opulente avvocato.
Un avvocato che si trova dalla parte sbagliata, avendo investito per sbaglio una povera zingara, ma che viene assolto. Perchè è innocente o perchè la vittima è una zingara?
Non lo sa, fatto sta che da quel momento Billy comincia a dimagrire e a quelli che lo avevano aiutato, in un modo o nell'altro, cominciano a capitare cose strane..
Si può credere quindi alle maledizioni?
Non lo sa, fatto sta che bisogna credere ai fatti, ed è inequivocabile che Billy perde peso in modo allarmente senza seguire una dieta e senza fare sport.
Allora si può credere alle maledizioni? Billy ci crede.

In un crescendo King ci mostra il mondo dei gitani, e delle maledizioni, il mondo degli uomini e delle conoscenze, il mondo di una giustizia legislativa e di una giustizia privata. Una maledizione che una volta messa non può essere tolta o forse sì?

King come al solito non parla solo di questo, ma racconta sempre di più.
Attraverso il suo personaggi assistiamo ad una legge che uguale per tutti non è, assistiamo ai vizi della gente (per Billy il cibo, per la moglie il fumo, per il medico la droga..) e assistiamo alla vendetta, a quanto può spingersi una persona per l'odio..

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L'occhio del male 2015-09-02 14:34:36 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    02 Settembre, 2015
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Il sentimento della giustizia

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER

Stephen King ha scritto libri che hanno venduto milioni di copie, tradotti in tutte le lingue, dai suoi romanzi sono stati tratti film diretti dai grandi della regia, conta milioni di appassionati in tutto il mondo che ne hanno decretato, giustamente, il successo di pubblico e di critica; la sua firma, quindi, garantisce da sola ingenti profitti librari ed enorme richiamo cinematografico.
Eppure, per un certo periodo, essenzialmente per motivi contrattuali, King ha pubblicato alcuni suoi romanzi celandosi dietro uno pseudonimo, quello di Richard Bachman.
Tra questi “L'occhio del male”, che parecchi considerano forse il meno riuscito dei libri di King a firma Bachman.
Tuttavia, anche se fosse, “L'occhio del male” è in ogni caso un libro importante della bibliografia kinghiana, è un romanzo in ogni caso utile per approfondire la conoscenza dello scrittore del Maine.
Perché uno scrittore, qualunque scrittore, profonde sempre parte di sé nelle sue opere, ciascun romanzo parla, a saperlo leggere, anche del suo autore.
Ce ne indica il talento, certo, e l'attività più o meno abile di pensare storie, immaginarle, rimaneggiarle, e sopratutto riversarle sulla carta in maniera gradevole ed intelligibile ad un tempo. Se ne fa arte, quindi, e come tale indica un messaggio, un pensiero; ma contemporaneamente riflette anche l'essenza di chi scrive, e ne rivela perciò gusti e preferenze, simpatie ed idiosincrasie.
Lo diceva già Gustave Flaubert, allorché, riferendosi al suo romanzo "Madame Bovary", esclamava: "Madame Bovary sono io!", intendendo con ciò che quando si scrive ci si rivela, non è possibile altrimenti, perché ognuno scrive in maniera diversa, scrivere è un segno caratteristico, un po' come le impronte digitali, perciò s'inventa, si mente, si falsifica, ma lo si fa scrivendo ciascuno a suo modo, ed ogni modo è rivelatore di qualcosa che appartiene esclusivamente all'animo di chi scrive.
Ebbene, “L'occhio del male” ci rivela, in sintesi, come la pensa King a proposito, per esempio, della giustizia in America, del modo, assai parziale, di com'è amministrata la giustizia negli Stati Uniti.
Il libro rivela lo sdegno dello scrittore, giacché il suo animo e la sua sensibilità sono pervase da un sentimento sinceramente democratico, che lo spinge, a modo suo, con i mezzi e gli archetipi di tipo orrorifico che utilizza normalmente per la sua letteratura, a dar luogo, sulla guisa di un thriller alla John Grisham ante litteram, alla critica del sistema giudiziario statunitense, e in un respiro più ampio, alla critica di tutto un modo d'essere e di agire di gran parte dell'opulenta borghesia americana.
Come solito del costume yankee, il sentimento della giustizia americano è pesantemente di tipo classista, per questo la legge è uguale e garantista per tutti, in particolar modo per i bianchi, anglosassoni e protestanti, professionisti impegnati e ben forniti di dollari, e la stessa legge è un po' meno uguale e molto punitiva nei confronti dei neri, delle minoranze, dei poveri, ed è infine cinicamente indifferente nei confronti dei moderni paria della società, dei diversi, degli emarginati, crudelmente segnati a dito come possono essere, per esempio, gli zingari.
King indica in questo libro il suo pensiero politico, dunque, svela le sue scelte democratiche, si schiera apertamente contro un modo ingiusto di considerare le persone.
William Halleck, protagonista del romanzo, è il prototipo del benpensante ricco, professionista affermato, colonna della piccola comunità in cui vive, una persona rispettabile e cristallina, un paladino della giustizia con la maiuscola, si tratta, infatti, di un brillante avvocato.
Felicemente, almeno all'apparenza, coniugato con Heidi, padre esemplare della piccola Linda, insomma un uomo indicato come raro esempio di virtù e di affidabilità. Soffre della malattia tipica dei paesi opulenti, l'obesità: pesa, infatti, oltre 110 chilogrammi, mal portati, ma è un particolare trascurabile in confronto a tutte le sue doti, in fondo alla moglie piace così com'è.
Tanto che gli piace, che i due decidono per un rapporto sessuale un po' trasgressivo, in realtà più stupido ed incosciente che sopra le righe: viene, infatti, consumato nel momento che Halleck è alla guida della sua autovettura.
L’inevitabile distrazione che ne consegue trasforma la stupida leggerezza in una tragedia annunciata, giacché l'affermato avvocato tira sotto le ruote una donna uccidendola.
Giustizia vorrebbe che venisse, se non arrestato, senz'altro processato per omicidio colposo, data la sua lampante responsabilità.
Sennonché, l'avvocato William "Billy" Halleck è uno dei membri più importanti ed in vista della comunità; non solo, ma il particolare che fa pendere, concretamente ed altrettanto ingiustamente, il piatto della bilancia in suo favore, è che la vittima è una miserabile zingara.
Uno di quei diversi brutti, sporchi e cattivi; e la parte lesa è rappresentata dai parenti suoi simili, un gruppo di nomadi additati sempre con sospetto, nell'immaginario collettivo sempre dediti al furto, all'accattonaggio, al rapimento dei bambini, anziché essere considerati, per una volta almeno, esponenti d'etnia e cultura diversa.
E in ogni modo meritevoli di un trattamento equo e paritario da parte di una giustizia che dovrebbe garantire, a maggior ragione, i più deboli ed indifesi.
Ma tutta la comunità non desidera altro che vederli sloggiare al più presto, nel suo bagaglio termini come giustizia e tolleranza sono dedicati solo a chi conta; e l'omicidio commesso da Halleck diventa poco più che un incidente, spiacevole, forse, ma nulla che possa macchiare l'integrità morale dell'illustre concittadino, mandato completamente assolto dalle autorità del posto, giudice e polizia, buoni amici, tra l'altro, del presunto innocente.
Halleck è salvo, dunque, e tranquillo: mal gliene incoglie, poiché un vecchio zingaro gli lancia addosso un'antica maledizione: “…dimagra…”.
Comincia per Billy un vero incubo, dapprima avvertito solo come una sorta di disagio e poi come un'angoscia via via sempre più pressante, scandito nei tempi e nelle ansie dall'inarrestabile indietreggiare dell'ago di una bilancia, in un drammatico e particolare conto alla rovescia.
Billy, infatti, comincia a perdere peso, dapprima lentamente, e poi sempre più velocemente, in un'inarrestabile consunzione, scandita dai buchi supplementari, applicati lentamente ma inesorabilmente, alla sua cintura, e tale tragicomico progredire della fila di fori nel cuoio rappresenta la sua condanna e la sua punizione. In principio, egli crede di essersi buscato "solamente" il male del secolo; ma dopo visite mediche, e dopo una breve indagine che lo porta a scoprire come anche i corresponsabili dell'ingiusta assoluzione sono stati colpiti da analoghe orrende metamorfosi, il giudice, infatti, si sta ricoprendo gradualmente di squame ed il poliziotto sta letteralmente marcendo, egli si convince definitivamente di essere stato effettivamente colpito da un'irrazionale, ma non per questo meno efficace, maledizione gitana.
Sono queste le pagine meglio riuscite del libro; qui troviamo per esempio l'abilità descrittiva che ha reso famosa la prosa di King nell'accurato ritratto che egli fa del luminare della scienza medica il quale, dopo tutti gli esami e le analisi a cui ha sottoposto il suo paziente, non riuscendo in alcun modo a spiegare razionalmente il drammatico calo di peso, se n'esce con una dotta e fumosa dissertazione sui misteri del metabolismo o sugli ancora ignoti meccanismi d'azione di una banale medicina come l'aspirina, una logorrea e prosopopea tipica dell'arrogante classe medica quando vede minato il proprio carisma di demiurgo.
Ancora, particolarmente indicative sono le pagine in cui King descrive, e molto bene, tutti i rituali, le strategie, le pecche delle persone obese: per esempio, il fatto di pesarsi senza monetine nelle tasche, meglio ancora senza i vestiti, con intestino svuotato, nel disperato tentativo di rientrare in uno spettro di peso dignitoso; le giustificazioni alla guisa di "grasso è bello" che gli obesi s’inventano mentendo a se stessi, l'impaccio con il quale si è costretti a muoversi sentendo un peso che tira la cintura; sono pagine che ci danno precise indicazioni di come King senta perfettamente il problema, sa benissimo di cosa sta parlando, ed egli stesso ha o ha avuto problemi con il giro vita.
Per cui il "dimagra" del vecchio zingaro ha un sapore beffardo: da un lato crea angoscia ed un crescendo di tensione, dall'altro crea un'inconscia soddisfazione in chi, finalmente, rientra in uno jeans attillato. Ed è un modo di fare giustizia che non crea scandalo, dà quasi l'idea di una giustizia superiore, molto più equa e solidale di quella degli uomini, ed alla quale non è possibile sottrarsi.
Fa scandalo invece il modo con cui Billy reagisce a quella che egli, paradossalmente, ritiene un'ingiustizia; l'avvocato tutto di un pezzo, rispettoso delle regole, non esita a rivelarsi nella sua vera abietta ed egoistica essenza, non si fa scrupolo di usare i mezzi illegali, appannaggio dei clienti che era uso difendere in tribunale, pur di ripristinare il suo assai discutibile diritto, quello di continuare a vivere dopo aver privato di una vita un altro essere umano suo pari, che lo voglia o no, senza nemmeno rendersi conto che la sua miserabile esistenza non è, a questo punto, più degna e di valore di quella della sua sfortunata vittima.
E ricorre ai servizi del gangster Ginelli, e con i mezzi tipici delle intimidazioni mafiose, ottiene dal vecchio stregone magiaro non il ritiro della maledizione, cosa impossibile, poiché questo rito una volta avviato non può essere fermato, ma la sua deviazione su un bersaglio diverso.
E la maledizione è così rinchiusa in un dolce casalingo, ed il cinico Billy decide di destinarlo alla moglie, e già s'immagina una nuova vita, un nuovo futuro, con tanti ingombranti chili in meno, con una moglie altrettanto ingombrante fuori dei piedi, in compagnia dell'adorata figlia, l'unica persona per cui Billy nutra veramente amore, l'unica per cui ha sentimenti umani, gli unici che gli sono rimasti.
Il finale è uno dei migliori mai scritti da King, a cui la maggioranza dei critici rimprovera una certa piattezza nelle pagine finali dei suoi romanzi.
Ancora una volta, interviene un alto sentimento della giustizia, una giustizia vera, democratica, equa ed imparziale, che ha nome destino, caso, coincidenza, Dio o semplicemente Giustizia, con la maiuscola. Perché ad assaggiare il dolce fatale non è solo la moglie, ma anche l’adorata figlia; e Billy, di fronte all'irreparabile, affronta finalmente il proprio destino senza più fuggire, accetta di pagare il fio delle proprie colpe, con un ultimo gesto catartico e di redenzione, si assume scientemente la propria responsabilità e sceglie di restare fino all'ultimo accanto alla propria famiglia, servendosi l'ultima fetta di dolce.
“L’occhio del male” è quindi, per tanti versi, un libro che ci dice molto di Stephen King, non ultimo il suo amore per la famiglia, indirettamente enfatizzato nella scelta finale del protagonista.
Ma il mondo interiore di King è ricco d'altri aspetti, d'altre cose che desidera condividere tramite le pagine dei suoi libri, cose più magiche e spesso legate ai ricordi della propria giovinezza; e di lì a poco dopo la pubblicazione di questo romanzo, lo scrittore del Maine lo farà più compiutamente nelle opere della sua piena e raggiunta maturità.

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e conosce Stephen King.
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L'occhio del male 2015-08-26 15:39:06 sonia fascendini
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sonia fascendini Opinione inserita da sonia fascendini    26 Agosto, 2015
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Maledizione!

Ci troviamo in una ricca cittadina statunitense. Una di quelle dove i prati sono tosati con cura da giardinieri messicani, le case sono lucidate da domestiche di colore, i bambini sono accuditi da tate europee. Tutto all'apparenza è perfetto, e quando non lo è c'è qualcuno che solleva con solerzia il tappeto e ci butta soto lo sporco. Conta ciò che si vede non ciò che si fa.
In sostanza è quello che viene fatto in automatico, senza neppure accordarsi quando Billy Halleck travolge e uccide con la propria auto un'anziana zingara. Un capo della polizia compiacente, un giudice ancor più bendisposto fanno archiviare il caso. Per Billy neppure una bacchettata sulle mani. Gli arriva solo un bufetto sulle guance, accompagnato da un misterioso "dimagra" pronunciato da un inquietante zingaro parente della defunta.
Poco male, se non fosse che Billy inizia a perdere peso inesorabilmente. Nella sua mente qualche dubbio inizia a fare capolino. E se fosse una maledizione? Scopriremo che le cose stanno proprio in questi termini e anche che al mondo qualcuno deve sempre pagare anche se non è necessariamente chi ha torto.
Questo libro non è il classico thriller, con un omicidio insoluto. ci sono i morti e sappiamo da subito chi ne sono i resppnsabili. Non sappiamo però dove King voglia andare a parare. Un ritmo incalzante tiene il lettore incollato al libro, aspettandosi a ragione qualche colpo di scena dietro ogni nuova facciata. Il finale, poi è del tutto inatteso e in definitiva ci lascia aperta la possibilità di costruirci un seguito a nostro gusto.

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L'occhio del male 2014-08-09 11:38:44 Enrico
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Opinione inserita da Enrico    09 Agosto, 2014

Avvincente

In molti lbri di King viene sottolineata la vita agevolata delle persone ricche, che hanno sempre il coltello dalla parte del manico e non rispondono mai delle loro azioni sbagliate.
In questo caso subentra un tipo arcaico di giustizia, alla quale non è possibile sottrarsi dando fondo alle proprie ricchezze materiali.
La discesa è lenta ma costante, precipitando il protagonista in un’esistenza angosciosa.
Improvvisamente, grazie alla sua caparbia aggressività, appare all’orizzonte un’occasione da cogliere al volo.
Egli deve però domandarsi se può accettare ciò che viene chiesto in cambio.
In definitiva, consiglio la lettura di questo libro dalla trama solida e ingegnosa.

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