L'incubo di Hill House
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Non lo ritengo un vero horror, ma social-psico
Un libro strano, un libro davvero particolare. Bisogna chiarire questo: l'argutezza può essere o meno qualità di molti, ma la fantasia nello scrivere un horror non deve richiedere prerequisiti di tale natura.
L'incubo di Hill House è, a mio parere, un libro per nulla horror, ma psicologico e sociopatico, dove il mix delle depressioni personali dei protagonisti, danno origine a una storia di ricerca ossessiva verso l'ignoto e verso il paranormale.
Un professore che deve scrivere un saggio al riguardo, chiama a sè alcune persone scelte in base ad alcune caratteristiche, per soggiornare all'interno di questa dimora per registrarne le attività paranormali. Theodore una ragazza sfrontatella e disinibita nel linguaggio (e forse non solo in quello), Luke l'erede dell'edificio che in ogni parola ed atteggiamento spera in una riuscita con le ragazze; Eleonor la protagonista indiscussa che attira a sè spettri non spettri e catastrofi reali, disagiata sociale con una famiglia alle spalle totalmente disinteressata a lei e infine altri coprotagonisti che si aggiungeranno alla fine che sono la moglie del professore e un tale Arthur che sembra il suo lacchè (o amante).
I protagonisti sono assai irritanti, nei modi, nelle attese da una scena all'altra e di gran lunga nei dialoghi spesso quasi inutili nel contesto che si va a prefigurare.
La storia dobbiamo considerare che è stata scritta e pubblicata alla fine degli anni 50, quindi non credo fosse possibile essere esageratamente espliciti e, spacciare questo romanzo per un Horror, ha dato la possibilità alla scrittrice, come al suo editore, di esagerare in etica e forma e pubblicare qualcosa come "L'incubo di Hill House".
Ho acquistato questo romanzo perchè molto osannato da un King che è un maestro dell'horror (ma anche lui spesso si perde...) e speravo in qualcosa di più. A mio parere deludente.
SPOILER
Il finale è ad interpretazione. Il succo del romanzo si svolge TUTTO a venti pagine dalla fine: pessima strategia.
Se siete molto razionali, vi apparirà chiaro che Eleonor è impazzita di brutto (e prima era già sulla buona strada) e ha dato motivo alla sua vita creando Lei stessa uno spettro per quella casa. Se invece siete amanti e credenti ferventi del paranormale, ogni riga vi sembrerà un'attività paranormale che porta Eleonor ad essere posseduta dalla casa stessa che la guida tra le sue mura e la rende padrona di questo mondo simultaneo con la realtà e ne tesse la rete per un finale davvero "paranormal activity".
Credo che, ad ogni modo, vista l'età del romanzo, non c'è da aspettarsi nulla di spregiudicato e eccessivamente macabro.
Se siete in cerca di un reale horror, non credo questo sia calzante, ma come ho scritto all'inizio, bisogna scindere l'argutezza di cogliere i dettagli per avere un bell'horror sotto gli occhi, dall'avere questa qualità come prerequisito per leggerlo.
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Da leggere tassativamente in autunno
Dopo anni dalla lettura di "Abbiamo sempre vissuto nel castello" finalmente ho trovato il tempo per dedicarmi a "L'incubo di Hill House", forse l'opera più celebre di Jackson anche per merito della recente serie TV targata Netflix parzialmente ispirata a questo romanzo breve. Però non rimpiango di aver lasciato passare tanto tempo perché l'inquietudine che i suoi libri sanno instillare resta presente per parecchio, quindi non stupitevi se il mio prossimo approccio alla bibliografia della cara Shirley sarà nel 2030!
La trama di fondo è alquanto semplice e si basa su una delle colonne portanti del genere horror, ossia la casa infestata. Hill House è infatti una dimora isolata dalla triste fama, e proprio questa sua nomea attira le attenzioni del professor John Montague -appassionato di fenomeni paranormali- che la affitta per trascorrerci un'estate in compagnia di persone già affini al mondo del sovrannaturale. Al momento del ritrovo, lo studioso si rende conto ad avere solo tre coinquilini: il nipote della proprietaria Luke Sanderson, l'artista e telepate Theodora "Theo" e l'introversa Eleanor "Nell" Vance, ossia il punto di vista attraverso cui l'autrice filtra la maggior parte delle vicende. A completare il quadro (e ad aumentare l'angoscia della sottoscritta!) abbiamo i Dudley, la coppia di custodi nonché gli unici abitanti della vicina Hillsdale ad osare avvicinarsi alla casa.
E proprio la casa è la vera protagonista di questa storia dove personaggi e trama fanno un po' da contorno a questa dimora terrificante sia nell'aspetto che nella storia. Questi elementi vengono analizzati pian piano nella narrazione, perché i dettagli architettonici di Hill House colpiscono da subito ma solo in un secondo momento si arriva a capire come la struttura stessa dell'abitazione sia stata concepita per disorientare gli abitanti; allo stesso modo, nelle prime pagine si fa cenno alla fama sinistra di cui gode la casa, ed è dopo che il professor Montague arriva ad illustrare cosa sia effettivamente successo ai precedenti inquilini.
La potenza delle descrizioni di Hill House è data ovviamente dallo stile di Jackson, che riesce a comunicare genuino terrore sensoriale ed evocare immagini molto nitide, senza mai perdere la sua eleganza. Ho apprezzato come il senso di disagio aumenti con il proseguire della narrazione, man mano che i personaggi sembrano sempre più lontani dal resto del mondo. In tutto ciò, l'autrice è riuscita perfino ad inserire una parentesi comica, che incredibilmente funziona e contribuisce a rendere ancora più spaventosi i successivi attacchi della casa.
Come detto, i personaggi non sono il focus del libro, ma trovo che formino comunque un ben gruppo di caratteri subito distinguibili; mi ha anche stupito l'inclusione di un personaggio LGBT+ tra i protagonisti di un romanzo ormai classico. Eleanor invece non mi ha colpita particolarmente: il suo POV è particolare, ma risulta spesso una distrazione per il modo in cui si relaziona agli altri.
A parte questo aspetto, e ad una relativa lentezza nel ritmo, gli unici due nei nella lettura sono strettamente collegati alla prosa: il primo è la scelta di utilizzare quasi sempre il verbo dire nei dialoghi, con il risultato di rendere poco chiara l'idea del tono adottato dai personaggi, soprattutto se consideriamo quanto questi siano delle figure ambigue; l'altro riguarda l'assenza di segni grafici o di una particolare formattazione che distingua i pensieri di Eleanor nel testo narrato in terza persona. Capisco benissimo che si tratta di una minuzia, ma proprio per questo sarebbe stato tanto facile correggerla in fase di editing.
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Horror troppo raffinato
È proprio vero non si giudica un libro dalla copertina o in questo caso dal titolo
Il professore Montague antropologo, appassionato di fenomeni paranormali, decide di studiare più da vicino, una casa considerata infestata “Hill House” in apparenza “normale”. Al suo fianco tre giovani ragazzi, protagonisti di eventi paranormali, secondo il professore la loro presenza può favorire il manifestarsi delle presenze soprannaturali.
Shirley Jackson ci propone un romanzo gotico-horror. L’idea di una storia con protagonisti i fantasmi, l’ambientazione enigmatica, l’analisi psichica dei personaggi, la loro ambiguità potevano essere buoni elementi per un romanzo avvincente ma purtroppo a mio avviso con uno stile lento, noioso e facilmente prevedibile, non riesce a decollare. Quando mi imbattei in questo romanzo lessi la trama, catturandomi comincia a leggerlo, le storie horror hanno da sempre attirato la mia attenzione, suscitandomi un brivido di paura, l’ansia di qualcuno alle spalle, i colpi di scena che non potresti mai immaginare, e la capacità di tenermi in sospeso fino alla fine, d'altronde è ciò che cerco quando decido di leggere questo genere, ma purtroppo L’incubo di Hill House non è riuscito a trasmettermi. Forse mi feci condizionare dal maestro del brivido Stephen King, mi dissi “chi meglio di lui può giudicare un horror” nel suo saggio Danse Macabre dichiara che una delle sue maggiori influenze è proprio questo romanzo, (non ho ben capito come sia possibile, ma le sensazioni che un romanzo trasmette per fortuna di chi scrive sono estremamente soggettive). Horror? Direi proprio di no. Lo classificherei tra i romanzi psicologici, perché emergono lati oscuri dei personaggi, il quadro di vita che conducono e i loro rapporti sociali, e gli eventi che li hanno caratterizzati, mentre sono assenti passaggi davvero inquietanti, con un finale che lascia diverse interpretazioni.
Delusa
Avevo tanto sentito parlare di questo libro e mi aspettavo una storia che mi facesse rizzare i capelli dalla paura, invece sono morta di noia.
Forse all’epoca (il romanzo è stato pubblicato nel 1959) poteva terrorizzare qualcuno, ma letto oggi è una storiella blanda e con un finale prevedibile.
Il professor Montague vorrebbe pubblicare un libro sugli strani eventi paranormali capitati a Hill House, una dimora antica e isolata. Decide quindi di contattare delle persone con una sensibilità particolare verso questa tipologia di eventi e invitarle a passare l’estate in questa dimora. Alla fine, si ritrovano Il professore, Eleonor, Theodora, il nipote della proprietaria e poi si aggiungeranno la moglie del professore e un suo amico.
Inizialmente parte davvero bene, è scorrevole e si respira una bell’atmosfera di mistero ma con il procedere della lettura diventa lento e ti ritrovi a seguire dialoghi insulsi, personaggi infantili e pochi “eventi paranormali” (forse 3) che fanno ridere i polli.
L’unica cosa che ho apprezzato è la piacevole voce narrante dell’audiolibro.
Romanzo sopravvalutato.
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Esistono case infestate?
Hill House è un grande edificio, infossato tra cupe colline. Ha una sinistra fama: gli abitanti del paese vicino la evitano e la odiano, i pochi che hanno osato abitarla sono sempre stati sconvolti da esperienze traumatizzanti, se non addirittura tragiche. L’aspetto stesso della villa ha un che di distorto e malvagio, minaccioso. Pure i coniugi Dudley, i custodi, sono decisamente inquietanti.
Proprio per ciò l’edificio è stato scelto dal prof. Montague per condurvi i suoi esperimenti sulle emanazioni paranormali. Suoi compagni d’avventura, e cavie della situazione, sono Theodora, ragazza esuberante, ma fatua e molto piena di sé, Luke Sanderson, giovane superficiale e di scarsa onestà, imbarcato nell’avventura solo in quanto erede della famiglia proprietaria dell’immobile e Eleanor Vance, ragazza fragile, sensibile e iperrecettiva, che reca su di sé le ferite psicologiche causatele dalla dolorosa esperienza di undici anni spesi ad assistere la madre malata.
I quattro dovranno trascorrere alcune settimane nella casa e annotare tutte le manifestazioni “insolite”, in modo da fornire materiale di ricerca a Montague. Dopo la prima notte di quiete la casa non tarderà a farsi sentire, nel senso letterale del termine. Ben presto, poi, l’ambiente sinistro prenderà il sopravvento sulle loro coscienze, soprattutto su quelle dei più deboli e indifesi.
Può una casa essere cattiva? Può, in generale, un bene inanimato provare desideri, emozioni, pulsioni? E sulla base di questi desideri, emozioni, pulsioni, può influire sugli esseri senzienti al punto da condizionarne le scelte?
Queste domande in sé mi lasciano parecchio scettico e sconcertato, se non proprio sprezzantemente divertito. Quando non scelgo, scientemente, ambientazioni fantastiche, preferisco gli approcci razionali agli enigmi della vita. L’idea stessa del paranormale o di case infestate mi infastidisce, perché è priva di qualsiasi spiegazione logica. La ritengo idonea giusto ad animare una sera di Halloween. Non ho una grande esperienza in letture gotiche e horror e i pochi film sul genere che ho avuto l’occasione di vedere non mi hanno mai molto coinvolto. In particolare mi hanno irritato tutte le storie in cui c’erano edifici che plagiavano i loro abitanti conducendoli alla fine tragica a cui erano predestinati sino al momento in cui avevano varcato la loro soglia.
Tuttavia non posso non riconoscere a Shirley Jackson l’indubbia abilità di manipolare l’immaginazione dei suoi lettori. Quindi sapendola una scrittrice di gran classe mi sono avvicinato a questo libro con buone aspettative che non sono state deluse; non tutte, almeno. Ma una punta di insoddisfazione m’è rimasta.
La storia ha il pregio di non calcare troppo la mano sul paranormale. Non ci sono misteriose presenze, apparizioni spettrali o emanazioni ultraterrene. In fondo oltre a farci partecipi di un paio di notti “da tregenda”, durante le quali i muri riecheggiano per spaventosi colpi; del fatto che, in alcuni locali, aleggino dei “punti gelidi” che ghiacciano coloro che vi si soffermano; o che l’edificio emani una “personalità malvagia”, nulla di particolarmente ultraterreno ci viene offerto. Il racconto gioca principalmente sul piano psicologico dei protagonisti e sull’alterazione delle loro percezioni. Coloro che sono attaccati di più alla concretezza della vita terrena vengono solo parzialmente influenzati dall’atmosfera spettrale, anzi, terminate le manifestazioni, le irridono. Chi, invece, è di suo tendenzialmente più permeabile a questi influssi ne viene catturato e sconfitto.
Questo approccio che predilige i drammi e i conflitti interiori a quelli banalmente fisici alla ghostbuster è vincente. Tuttavia mi è sembrato che all’intreccio manchi di qualcosa, che lo sviluppo della tragedia sia solo in parte esplicitato. L’evoluzione della psiche di Eleanor scende troppo rapidamente i gradini che la condurranno al baratro finale. C’è carenza di introspezione della ragazza, ma pure dei suoi compagni. Il carattere di Eleanor appare esageratamente alterato, sin da subito, quindi poco credibile. L’iniziale, disperata ricerca di una realtà addolcita, che sostituisca il vuoto della sua vita passata, è troppo fanciullesca per una trentenne, troppo forzata. Il successivo cupio dissolvi che la spinge a ricercare l’annullamento nella compenetrazione assoluta con la realtà di Hill House giunge bruscamente, a tappe forzate e in modo abbastanza ingiustificato.
La Jackson è abilissima a inventarsi atmosfere agghiaccianti limitandosi ad accennarne i contesti, lasciando alla fantasia del lettore (con le sue costruzioni mentali) il compito di riempire gli spazi rimasti vuoti, magari in modo ancor più terrifico di quanto avrebbe potuto ipotizzare lei stessa.
Tuttavia in questo caso forse il non detto lascia troppe lacune difficili da colmare. Le pur abili descrizioni della Jackson pretendono troppo all’immaginazione. Insomma, non sono riuscito a trovare una effettiva risposta alle domande che ho posto più sopra e la storia mi è parsa un po’ irrisolta.
Ma forse la colpa è solo mia. Il malizioso Ambrose Bierce in uno dei racconti ci fa ammonire da un suo personaggio, dicendo che una storia dell’orrore può sortire il pieno effetto per la quale è stata concepita solo se il lettore acconsente a porsi nelle condizioni ideali per essere terrorizzato. Io, in questo caso, ho letto il romanzo in assolate giornate di luglio: Può essere che mi sia mancato l’animus adeguato.
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Hill House
«La paura» disse il professore «è la rinuncia alla logica, l’abbandono volontario di ogni schema razionale. O ci arrendiamo alla paura o la combattiamo; non possiamo andarle incontro a metà strada.»
“Hill House” inquieta con la sua vista sin dalla lontananza più remota. Ergendosi sola contro le colline essa appare chiusa intorno al buio e dal buio, quasi come se fosse risucchiata da questo e da questo incatenata. Tante le stranezze che la caratterizzano così come quel mito che attorno a essa si racchiude e che la vede protagonista di dicerie paesane e terrore condiviso. Quando la giovane Eleanor Vance, trentaduenne, giunge in quel della sua nuova dimora, non è pienamente consapevole del dove ella abbia accettato di andare. Dopo una giovinezza passata – ultimi undici anni – ad accudire la madre e a essere schiacciata dalla sorella che in lei non ripone fiducia decide di scappare, prendere la macchina sulla quale è stato imposto il veto all’utilizzo e accettare l’invito del professor Montague a risiedere in quel della casa maledetta. Lì giunta la sua presenza sarà accomiatata da Theodora, detta Theo, che al contrario di lei è emancipata, abituata a vivere nel lusso e a essere fortemente sicura di sé. Al duo si aggiunge Luke, un imbroglione erede di Mrs. Sanderson, proprietaria di Hill House perché almeno un membro della famiglia doveva essere presente all’esperimento. A concludere i volti umani i due governanti, Mr. e Mrs. Dudley, che si palesano esclusivamente durante il giorno, con orari ferri e per espletare le mansioni delle quali sono stati incaricati. Eh sì, perché il professor Montague, antropologo ha deciso di indagare sui fenomeni paranormali ed è proprio attorno a questi che ruota la vicenda ideata dalla Jackson e che si compone attorno al più grande dei cliché: la casa infestata. Un racconto dell’orrore? Un titolo con il quale tremare dalla prima all’ultima pagina? Assolutamente no. Pertanto, se deciderete di avvicinarvi a questo scritto non aspettatevi le ambientazioni spettrali da serie televisiva o chissà quale brivido da horror e/o splatter del genere. L’opera va contestualizzata ai giorni nostri e se un tempo poteva risultare inquietante, a mio modesto avviso, non lo è certo per porte che sbattono o per i misteri che ruotano attorno alle vicende che si articolano.
E se i candidati sono tutti stati scelti in funzione di uno specifico motivo e di una vicinanza al paranormale (vedi Eleanor che ha assistito a una manifestazione di poltergeist o Theo che ha facoltà di telepatia e premonizione), lo stesso fenomeno del paranormale non tarda a palesarsi e a colorare le pagine portando alla luce ogni più intima fragilità dei protagonisti.
E sono infatti queste paure più profonde e radicate a essere i veri fantasmi che abitano Hill House. Il passato tornerà ad affiorare, i conti in sospeso non mancheranno di mietere altro dolore, i ricordi a pulsare nella mente. Nessuna delle voci narranti resterà indifferente anche se, certamente, quella che più risentirà di questo dolore tornato alla luce sarà Eleanor che tra tutte ha un vissuto più doloroso e sacrificato.
Risentirà della mancanza di radici, di legami, di quella madre che ha accudito, di quella sorella che non la comprende e da qui, e per mezzo della sua voce, avrà inizio un vero e proprio viaggio nella psiche umana e nei suoi retroscena più intimi.
Il tutto per mezzo di una penna precisa, minuziosa, descrittiva ed evocativa, talvolta lenta, a cui si sommano dialoghi serrati e una forte introspezione. È un romanzo che suscita da un lato attrazione e che dall’altro respinge, un titolo che inizia con lentezza e che nella sua prima parte rappresenta il cliché dei cliché tanto che è soltanto nella sua seconda prende davvero forma e arriva nel suo contenuto che lascia un retrogusto amaro. Una lettura alla quale avvicinarsi con la consapevolezza di non essere di fronte a un horror quanto a un elaborato capace di guardare nell’io umano.
«Non sappiamo mai da dove ci venga il coraggio.»
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Meglio un fantasma della solitudine
Protagonista assoluto del racconto è la orribile casa di Hill House, un posto claustrofobico, da incubo, infestato, ma soprattutto un luogo che sembra progettato come una prigione da cui è impossibile fuggire. La casa ha una vita propria. Porte finestre piatti bicchieri qualunque cosa ha un suo ordine che non va scalfito e all'occorrenza la casa può comunicare con i suoi occupanti. Più della storia mi sono piaciuti i dialoghi brillanti e la sensazione di solitudine e di felicità della protagonista Eleanor che per la prima volta si sente parte di qualcosa. Questa sua sensazione è più terribile e angosciante di qualsiasi oscura presenza, essendo un tangibile dato di fatto e sua madre, morta da poco, anche se non ha nulla a che fare con le presenze del castello, sembra in qualche modo parlare a tratti attraverso di queste. Il libro è bello ma non così bello come Abbiamo sempre vissuto nel castello che è decisamente superiore per suspense e originalità.
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Inquietarsi con classe
Questo è il secondo romanzo della Shirley Jackson che leggo, dopo "Abbiamo sempre vissuto nel castello" e mi è piaciuto molto, per essere una lettrice che non legge il genere horror/thriller. Non è stato neanche un caso se ho scelto lei per avvicinarmici al genere perché sapevo già che il suo punto forte non sono i fantasmi esterni che mi annoiano, ma quelli interiori. Carica anche di elementi biografici, la sua prosa è soave, a tratti poetica, e molto attenta ai dettagli. Il senso di inquietudine che lei crea si insinua piano piano, ambiguo, misterioso e senza mai uscire dalla sfera della normalità, non porta mai l'azione ad un punto di non ritorno che garantisce al lettore l'effettiva esistenza di un effetto paranormale o fantastico, non appena sfiora questo limite si tira subito indietro con una osservazione da parte dei personaggi che lascia intuire che fossero loro stessi dietro agli strani avvenimenti. Uno scavo psicologico quindi che rovista tra le paure interiori dei vari personaggi, tutti strani a modo loro e con disavventure alle spalle, la suggestione e il sogno gioca un ruolo importante e il paranormale avviene appunto proprio lì. Il titolo stesso, "L'incubo di Hill House" fa pensare ad un sogno e l'autrice inizia il libro già con la premessa che tutti hanno bisogno di sognare e tutti sogniamo, persino le cavallette perché "nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta normalità". In entrambi romanzi che ho letto, seppur ambigui ad una prima impressione, l'autrice lascia sempre tracce qua e là, prove per un lettore attento, che collegate riescono ad alzare nel finale il sipario di nebbia e risolvere il mistero. Trovo sia una grande dote d'intelligenza questo gioco con il lettore, attraverso una meravigliosa prosa scorrevole ma raffinata nella sua semplicità. Ha un grande dono anche a dare personalità alle cose, Hill House è un personaggio a tutti gli effetti, maestosamente descritta sia fisicamente che "interiormente", prende sembianze fisiche e psichiche umane. Leggerò altro di lei, una bella scoperta.
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Hill House, che sana non era
“Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salviano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse. Il silenzio si stendeva uniforme contro legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola”.
Eleanor Vance ha trentadue anni, ma per quel che la riguarda potrebbe averne quindici. Ha passato gli ultimi undici segregata in casa a prendersi cura della mamma malata e, dopo la morte di quest’ultima, si scopre incapace di vivere, di amare e essere corrisposta. Theodora, non fosse che sono entrambe donne e giovani, non ha nulla in comune con Eleanor. È una donna emancipata, un’artista, impegnata in una relazione saffica, schietta e sicura di sé. Luke è un ladro e un imbroglione, erede di Mrs. Sanderson, proprietaria di Hill House. A segnare i destini dei tre personaggi è il professor Montague, un antropologo molto orgoglioso del suo percorso accademico che fa da contraltare alla sua vera passione: indagare sui fenomeni paranormali. È proprio l’ignoto uno dei cardini attorno a cui ruota l’intera vicenda raccontata da Shirley Jackson, che servendosi del cliché letterario della casa infestata, apre una analisi ben più profonda sulle insicurezze e le paure insite nell’animo umano. «A che servono gli altri?» chiederà un giorno Eleanor a Luke. Cosa vogliamo noi dal prossimo, se è dentro di noi che si svolge la vera battaglia, se è nel nostro intimo più profondo che risiedono le ragioni del nostro essere.
Su invito del professor Montague, intenzionato ad indagare e catalogare i fenomeni dentro la sinistra Hill House, la cui fama di luogo maledetto e impenetrabile la precede, i tre giovani si ritrovano a coesistere per una settimana nell’oscura dimora. La scelta dei candidati non è certo casuale: Eleanor, quando era molto piccola, è stata protagonista di una manifestazione di un poltergeist pochi giorni dopo la scomparsa del padre. Theo, invece, sembra in possesso di facoltà incredibili, che vanno dalla premonizione alla telepatia. Luke si ritrova coinvolto su ordine espresso della vecchia zia, favorevole ad affittare al professore solo a patto che anche un membro effettivo della famiglia Sanderson prenda parte all’esperimento. Come notato dal professore, però, in Luke si nota da subito un certo istinto all’autoconservazione, che lo rende un candidato ideale. A completare il quadro dei personaggi, fanno da sfondo i due governanti della casa, Mr. e Mrs. Dudley che, oltre ad accogliere gli avventori ed ammonirli sulla natura malsana della loro spedizione, si limitano a sorvegliare, di giorno, i quattro inquilini e a tenersi, di notte, a debita distanza da Hill House. Interverranno, quasi in chiusura della storia, miss Montague, moglie del professore, donna guidata da materialismo e rigidità mentale, convinta sostenitrice dell’esistenza dei fantasmi come entità ectoplasmiche, e il suo accompagnatore Arthur.
Gli eventi non tardano a prendere la piega attesa dal lettore, e già dopo la seconda notte i protagonisti cominciano ad avvertire i primi segnali e i primi campanelli d’allarme. Strani rumori alle porte delle camere da letto, passi non riconducibili a nessuno, scritte vergate col sangue e altri dettagli gotici riescono ad alimentare la tensione, che seppur non raggiunga mai picchi vertiginosi, aleggia tra le pagine del romanzo senza più abbandonarlo. Ben presto, proseguendo nella lettura, emerge sempre più nitido il fatto che è Hill House stessa la fonte di quel disagio crescente, che si insinua subdolo nei pensieri dei quattro ospiti. “L’incubo di Hill House” non è una storia di fantasmi, almeno non nel senso convenzionale del genere. I fantasmi con cui si ritroveranno faccia a faccia i quattro, in particolar modo la fragile e suscettibile Eleanor, sono quelli della mente, del passato che riaffiora e che non dà tregua. Già nelle primissime pagine la Jackson ci dice senza mezzi termini che, per quanto si ricordi, Eleanor non è mai stata felice. Non si è mai sentita a casa, amata o attesa da qualcuno. Questa sua assenza di legami, di radici (uniti al morboso rapporto con la madre inferma, di cui si sentirà sempre vittima e carnefice), sarà la causa della sua inesorabile discesa nella follia, nel richiamo ammaliatore della casa, che respira e, vigile, osserva e attende, sola. Hill House esercita sui suoi abitanti una forza attrattiva che li scardina dalla realtà, un effetto che si incrementa con il passare del tempo e che non lascia scampo alle fragilità di Eleanor, di cui l’autrice descrive, con pagine di grande effetto, la lenta e inesorabile trasformazione, tra monologhi interni, dialoghi serrati, visioni oniriche e percezioni paranormali. La casa le parla, la prende per mano e la fa volteggiare in un valzer di follia, fino ad avere la meglio.
Con questo romanzo, divenuto un culto per il genere, e che ha fatto scuola per altri celebri autori che hanno proseguito sul suo solco, Shirley Jackson offre un suo punto di vista sulla psiche umana, sul richiamo del passato che riaffiora. Un dramma insolubile e che va oltre la vita stessa del singolo individuo, per gravare eternamente sul genere umano. Se infatti la triste vicenda della povera Eleanor trova una sua inevitabile conclusione, nulla osta a Hill House di restare lì, immobile, in attesa della prossima vittima. Con uno stile elegante, efficace, fluido e mai banale, l’autrice seppellisce il luogo comune secondo cui non si possa fare grande letteratura affrontando generi letterari non convenzionali. “L’incubo di Hill House” non è un romanzo di paura, con una trama delineata e colpi di scena pronti a farvi rizzare i capelli, nascosti dietro gli angoli bui e i pannelli di quercia della malsana dimora. È un’opera ricca e particolareggiata, che intervalla alla prosa momenti di lirismo descrittivo, sapientemente dosati, e una buona dose di ironia che conferisce veridicità al tutto. Al termine della lettura resta una vaga sensazione di malessere, un’inquietudine che deve essere metabolizzata. Hill House non dà scampo, è ovunque e in nessun luogo, erta a simbolo di quanto di più angoscioso e corrotto vi sia nella vita. Non ammette complicità, non si piega ai sentimenti. “Qualsiasi cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola”.
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Zero coinvolgimento
Sono stata attratta sia dal titolo del libro,sia dalla copertina.LA trama poi ha fatto il resto.Uao!mi sono detta"un buon horror da leggere è ciò che mi ci vuole".purtroppo,già dalla prima pagina non l'ho trovato molto coinvolgente ma ho voluto lo stesso continuare a leggere,sperando in qualcosa in più nelle pagine successive.VErso la metà del libro sembra prendere finalmente forma ma è stata solo una finta.NIente coinvolgimento,noioso,ho fatto veramente fatica a finirlo..il finale poi lasciamo perdere.....i personaggi sono noioso,antipatici....Non si capisce molto di questo libro ......purtroppo non so che altro dire se non che è uno dei libri di horror più brutto che abbia mai letto.CRedo proprio di aver perso solo dal tempo nel leggerlo ma ormai era a metà e mi spiaceva non finirlo...la mia speranza che partisse non mi abbandonava.....la mia speranza non aveva ragione...ahimè.....