L'epidemia
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Da dimenticare.....
E' uno dei polizieschi più brutti che abbia mai letto. La vicenda, che si svolge in un paese immaginario, è l'occasione per tutta una serie di considerazioni, peraltro abbastanza scontate e banali, sul Potere e sulle sue degenerazioni. Nessuna attinenza con il genere poliziesco cui il racconto dovrebbe appartenere. Oltretutto le basi su cui si sviluppa la storia dell'epidemia ha dei connotati semplicemente assurdi e ridicoli. Il protagonista non riesce a guadagnare una sua dignità umana, rimane inesorabilmente una creatura di carta sen'anima. Non esiste un colpo di scena che scuota il lettore dal torpore che la lettura procura. L'autore sa solo inframmezzare qua e la frasi ad effetto che dovrebbero preludere a chissà quali sviluppi e invece nulla... Non accede nulla!! Il finale è in linea con le pretese di un libro mal concepito e mal scritto... Provare a leggere per credere....
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Demagogia, un concetto politico che fa solo danni
"Un'epidemia che trasforma le persone in belve rabbiose prima di ucciderle, un Paese abbandonato al caos e alla paura.
E un solo uomo che cerca di scoprirne il motivo - o il movente? - di quanto sta succedendo. Il Commissario Jensen."
È questa la breve introduzione che ci catapulta all'interno di un romanzo d'altri tempi.
Il protagonista è il già citato Commissario Jensen, costretto a lasciare la conduzione del Sedicesimo Distretto per un intervento chirurgico che lo tratterrà all'estero per tre mesi.
Peccato che, al termine del decorso post-operatorio, per lui sarà impossibile tornare nel suo paese, ufficialmente isolato dal resto del mondo per un'epidemia che sta mettendo in ginocchio ogni fascia della popolazione.
Su incarico del Primo Ministro, Jensen riuscirà clandestinamente a tornare nel paese e avrà tre giorni di tempo per fare luce su ciò che sta realmente accadendo.
Avrà modo di raccogliere informazioni più o meno vaghe dai (pochissimi) cittadini che incontrerà, mentre un terribile presagio inizierà a prendere forma pagina dopo pagina e che - purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista - sarà confermato nel capitolo conclusivo del romanzo, dove la scena la faranno da padrone il redivivo Primo Ministro e il sagace medico della Polizia.
Dobbiamo riconoscere innanzitutto i giusti meriti a Per Walhöö, capace di creare un mix davvero azzeccato fra i generi 'giallo', 'noir' e 'distopico'.
Può apparire come il classico 'romanzo-mistery' in cui troviamo un poliziotto-detective alle prese con un enigma da risolvere, ma lo scenario apocalittico che regna sin dalle prime pagine riesce a spiazzare anche una figura imperturbabile come quella di Jensen.
Collegamenti da e verso l'estero interrotti, coprifuoco serratissimo per ogni singolo individuo, strade e negozi deserti, un'aria carica di tensione e un silenzio assordante di fondo sono gli ingredienti dalle sfumature tipiche della narrativa distopica, come in ogni '1984' orwelliano che si rispetti.
È importante notare anche come il luogo geografico non possegga volutamente nome per evitare censure editoriali - anche se i riferimenti culturali e politici ci indirizzano verso una Svezia di fine anni '60 -, e come si riveli azzeccata la scelta di adottare un linguaggio abulico, asciutto, a tratti stilizzato e ridotto ai minimi termini per ironizzare sull'effettiva efficacia governativa del regime dittatoriale 'della Concordia', perennemente indirizzata ad aumentare i propri consensi e a creare il concetto più vuoto e aleatorio possibile di 'democrazia'.
Per quanto concerne le note meno positive, in primis denotiamo l'effettiva fluidità del romanzo, perché le poche pagine sono sì un punto a favore, ma alcuni snodi della trama sono tanto, troppo macchinosi e una 'fabula' un po' confusionaria richiede sempre quel 'quid' di attenzione extra per evitare di perdersi sul più bello.
Senza dimenticare un Commissario Jensen, nel quale risulta troppo difficile immedesimarsi perchè caratterialmente troppo freddo e distaccato; difficilmente vedremo il suo nome nella lista dei personaggi letterari preferiti dalla maggior parte dei lettori.
Si tratta comunque di un testo che invita a riflettere in modo coscienzioso sulla dicotomia, spesso insanabile, che nasce fra il singolo individuo e il potere centrale. Insanabile a tal punto che la conseguente frattura diventa sinonimo di 'rivoluzione', termine che, nel suo lato più violento, genera inevitabili e devastanti effetti collaterali.
Un romanzo dunque bello, che balla con qualche incertezza di troppo, ma che nel complesso merita di essere letto e apprezzato per il contenuto che propone.
Indicazioni utili
'Il Principe' di Niccolò Machiavelli.