L'enigma della camera 622
Editore
Recensione della Redazione QLibri
A tinte azzurre
“L’enigma della camera 622” segna il gran ritorno in libreria di Joel Dicker, giovane autore tra l’altro del fortunato “La verità sul caso Harry Quebert”.
Dati i precedenti, dovremmo indicare lo scrittore svizzero come un autore di gialli sui generis, un romanziere che a modo suo, in verità anche nuovo, e diverso dal consueto, si diletta a costruire comunque gradevoli enigmi e piacevoli misteri irrisolti, a uso dello svago librario del suo lettore. Con tutti i cliché possibili del genere: viene già nelle prime pagine perpetrato un delitto, quasi sempre il più abietto tra i reati, un omicidio; non si giunge a soluzione immediata data l’apparente inspiegabilità dell’evento occorso; qualcuno, non necessariamente un funzionario delle forze dell’ordine a tal scopo preposto, indaga accuratamente.
In un modo o nell’altro s’individuano possibili colpevoli, malgrado difficoltà e depistaggi, grazie all’acume dell’investigatore di turno: quindi, scoperta del movente, colpo di scena finale con spiegazione a sorpresa dell’esatto svolgimento del crimine, le sue motivazioni più o meno tanto occulte quanto banali, l’individuazione del sicuro colpevole che viene immancabilmente assicurato alla giustizia.
La fortuna di Joel Dicker, e il suo talento, consistono nel fatto che non fa niente di tutto questo.
I romanzi di Dicker non hanno nulla a che fare con i puzzle logici e appassionanti alla Agatha Christie, la Regina del romanzo giallo propriamente detto.
Differiscono anche dai pur valenti polizieschi nostrani, ciascuno a suo modo originali e gradevoli, che vedono protagonisti vicequestori che spinellano beatamente, squadre di poliziotti “bastardi” raccolti qua e là tra gli scarti dei commissariati cittadini, avvocati penalisti, investigatori privati vari, sostituti procuratori improbabili che scorrazzano in tacchi a spillo tra i sassi di Matera.
I libri di Dicker nemmeno richiamano i police procedural americani, o i mystery sensu strictu, o i delitti locali all’italiana, tanto di moda oggi nelle fiction televisive, dove ad indagare spesso e volentieri con esito felice sono personaggi che poco hanno a che fare, per professione nativa, con l’indagine e il delitto, come per esempio parroci di provincia, professoresse di liceo, specializzande di medicina legale, e chi ne ha più ne metta.
Joel Dicker sfugge a una qualsiasi superficiale etichettatura, sopra ogni altra cosa egli è semplicemente uno scrittore, un bravo romanziere, uno che scrive libri per il piacere stesso di scrivere, prima di ogni altra cosa.
Può piacere o no, ma scrive varie cose buone, e le sa scrivere bene.
Si tratta di un giovane encomiabile per un qualsiasi lettore, giacché egli scrive principalmente per se stesso, per un proprio bisogno esistenziale; perciò scrive bene e meglio, giunge facilmente al cuore del lettore, lo emoziona, come ogni lettore desidera essere deliziato tutte le volte che sfoglia le pagine di un libro, e come ogni bravo scrittore deve saper fare.
Dicker non fa fatica, si applica, lavora, scrive, cancella, riscrive, non si stacca dalla tastiera, trascura tutto per scrivere, proprio perché per lui non è una fatica, non è un lavoro, è amore per la scrittura.
Quando fai qualcosa che ti piace, non stai lavorando, stai seguendo la tua passione, e la passione non concede requie, è vero, ma provvede essa stessa a ricaricarti. Un circolo chiuso, un privilegio.
Joel Dicker è un bravo artigiano della scrittura, s’industria alacremente, ha talento, e il prodotto del suo talento ha un valore ancora maggiore perché costruito in giovane età.
Lo dichiara lui stesso, sic et simpliciter:
“…una storia prende le mosse innanzitutto da una voglia: quella di scrivere. Una voglia che si impadronisce di te e che niente può ostacolare, una voglia che ti allontana da tutto…la malattia degli scrittori…Puoi avere la trama migliore del mondo, ma se non hai voglia di scrivere, non concluderai niente.”
Joel Dicker ama scrivere, e allora scrive. Lo ripeto non piace a tutti, ma scrive piacevolmente.
Scrive di tutto: scrive di sé stesso, letteralmente, e manco a farlo apposta la sua partner nel romanzo non lo chiama mai con il suo nome, ma semplicemente: “Scrittore”, come volevasi dimostrare.
Scrive della sua vita, della sua arte, scrive di amori e di editori, d’inizi e di fiaschi, di città, dove è nato e dove è stato. Di persone cui è grato, di donne di cui si è innamorato, e da cui è stato piantato.
Parla di viaggi, di alberghi, di camere di albergo con numerazione insolita; descrive fatti passati del tempo e li attualizza con gli eventi correnti, inventa personaggi, e ne segue la sorte, gli intrecci, la crescita, gli sviluppi, le coincidenze.
Romanza su un delitto irrisolto, e allora il romanzo si tinge di giallo; s’incanta in una lunga e travagliata storia d’amore, e allora il libro assume tonalità rosa.
Descrive vite disastrate, corrose dal bisogno, dalla povertà, dalla miseria e che anelano condizioni di vita migliori, quasi una rivincita sulle ristrettezze, i disagi e le privazioni dell’esistenza; allora possiamo dire che questi suoi capitoli sono pervasi dal verde della speranza.
Enuncia fatti misteriosi, nascosti, celati agli occhi del pubblico: in questo suo “Enigma” ci sono Servizi segreti, insospettabili agenti sotto copertura, intrighi politici e diplomatici; il mondo della grande finanza e dell’egemonia mondiale delle banche svizzere, con i giochi di potere che sempre si scatenano attorno alle grandi fortune, delitti e segreti, persone di mondo e sordidi personaggi privi di ogni scrupolo, un noir vero e proprio quindi.
Direi che se una tonalità va scelta per questo tomo, in definitiva, è l’azzurro quello più appropriato, come rimanda la copertina del libro: azzurro come il cielo, perché quella di Dicker è una bella storia, lunga e avvincente, una storia grande come il cielo, e bella come quello.
Un grande palcoscenico dove si alternano mimi e saltimbanchi, valenti attori ed esperti capocomici, truccatori, trucchi e truccati, nobili russi, sapienti analisti di bilanci e medici analisti della psiche umana, vecchi ebrei, maschere greche, trucchi alla Diabolik e alla Fantomas, governanti innamorate del padrone di casa, banchieri disposti a folli baratti e baratti realizzati con un misto di magia e possessione diabolica, perché in fondo la vita è un’illusione, una maschera, un travestimento, un gioco di prestigio:
“Quando si vuole veramente credere a qualcosa, si vede solo quello che si vuole vedere”.
Ancora, si narra di avventure, di pistole, di passioni, di anelli scomparsi, di cime innevate di neve e acque turchine delle isole greche.
Su tutto, aleggia la colonna sonora delle musiche di Wagner, o di un vecchio carillon a molla.
Più che le storie che scorrono sul palcoscenico, Dicker eccelle nel dietro le quinte; si dilunga sugli antefatti, sui trascorsi, sul passato per comprendere il presente, perciò il romanzo si rinnova continuamente, i racconti si presentano con altra veste, gli intrecci si disfano e si riformano con trame nuove e si percorrono risvolti inesplorati, tutto si può dire della sua Storia, mai che annoia.
Soprattutto, c’è tutto l’originalità dello scrittore Dicker in questo suo libro, un giallo dove la vittima assassinata, si badi, la vittima, non l’assassino, si scopre chi è solo dopo due terzi del libro.
Quale giallo comincia così, identifica la vittima con tanto ritardo?
Questo non è un giallo di Joel Dicker, è un romanzo di Joel Dicker, che si tuffa a corpo morto nella scrittura:
“Quando mi concentro sulla storia, vengo completamente assorbito. È come se ci fossi anche io nel romanzo, all’interno dello scenario. E ci sono tutti quei personaggi attorno a me…”
Direi inoltre che l’”Enigma della camera 622” è anche una bella storia d’amore, il numero neanche è casuale, magari richiama una data o un orario con un significato affettivo per i protagonisti; è una bella, lunga e duratura storia sentimentale, di quelle rare, uniche, speciali, eppure contrastate e controverse, perché:
“…Facevamo fiorire, ognuno per conto proprio, il nostro piccolo giardino segreto, ma siamo stati incapaci di coltivare un orto insieme”.
Una storia d’amore grande in tutti i sensi, tra un uomo e una donna, ma anche tra padre e figlio, tra docente e discente, tra chi non ha figli e chi non ha identità, tra chiunque abbia un cuore e sappia amare:
“Cosa siamo capaci di fare per difendere le persone che amiamo? È da questo che si misura il senso della nostra vita.”
Siamo grati a Joel Dicker per questo suo libro: ci ha donato un bel romanzo, e non è poco.
“La cosa più importante, in fondo, non è come va a finire, ma in che modo ne riempiamo le pagine.”
Esattamente come diceva Daniel Pennac, la vita è: “Come un romanzo”.
Lo afferma, uguale, anche Joel Dicker.
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Segreti
Nessuno è chi sembra. Girandola di personaggi. Girandola di maschere. Si potrebbe riassumere così questo thriller, scritto in maniera (forse, quasi) impeccabile a livello di stile, costruito come un puzzle, un vero e proprio mosaico. Forse un po' (tanto, troppo) lento nel ritmo, con tanti flashback che rallentano lo scorrere dell’adrenalina e che fanno perdere il mordente nel corso della lettura. L’autore è uno specialista nel costruire trame articolate e nel sorprendere, però il ritmo non è paragonabile a quello che altri scrittori sanno trasmettere ed è un elemento importante in questo genere di storie. L’intreccio di segreti, bugie e tradimenti lascia aperte diverse strade da percorrere per il lettore, che cerca di scoprire il colpevole ben prima del tempo, quasi sfidando lo scrittore. Lo scrittore ha posizionato tanti specchietti, che confondono e che un pochino stancano, perché sono fini a se stessi, solo per distrarre, appesantendo, un po' inutilmente, lo storytelling.
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Partenza lenta e viaggio senza scossoni
I romanzi di Dicker non sono fatti per lettori impazienti. Lo si vede subito dal peso di ogni volume, ma lo si impara poco alla volta mentre si leggono i libri. La storia c'è, ci sono anche tutti gli elementi di un buon giallo, ma ci sono raccontati senza fretta. E non lasciamoci tentare e sbirciamo nell'ultimo capitolo, perché ci toglieremmo tutto il piacere della lettura. Sì perché quelli di questo autore non sono probabilmente dei grandi gialli, ma sono delle belle storie raccontare con abilità, piene di sfaccettature, con storie dentro le storie che non sono solo funzionali alla soluzione di un delitto, ma che hanno anche una vita propria. In questo volume lo scrittore Joel decide di rintanarsi per un po' di tempo in un hotel di lusso sulle alpi svizzere. Qui completerà il suo nuovo romanzo e si leccherà le ferite per la fine di una storia d'amore e cercherà di elaborare il lutto per il suo editore nonché mentore e grande amico. Il caso lo fa alloggiare nella camera in cui anni prima c'è stato un omicidio rimasto irrisolto. Da quella scoperta e dalle insistenza della sua enigmatica vicina di camera partono le indagini. Così poco alla volta consociamo i protagonisti di una vicenda ambientata nel ricco mondo dei banchieri svizzeri. Con Joel rispolveriamo vecchi rancori, assistiamo al nascere di amori contrastati, partecipiamo a incontri dove si tessono intrighi. Solo alla fine scopriamo finalmente chi è l'assassino. A quel punto dopo esserci saziati con con tutte queste storie la soluzione dell'enigma ci sta bene quanto un bel caffè a fine pasto.
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Quando si vuole veramente credere a qualcosa, si v
Lo Scrittore Joel decide di prendersi una piccola vacanza dopo una delusione d'amore e soggiornando al Palace De Verbier, un lussuoso albergo situato sulle Alpi svizzere. Qui incontra una bellissima donna, Scarlett, con cui decide di indagare sul misterioso omicidio, mai risolto, avvenuto quindici anni prima nella camera 622 dello stesso hotel.
Inizia così un'indagine che si muove tra alta finanza, l'antica Banca svizzera Ebezner, passioni amorose, intrecci, alleanze strategiche e strani "personaggi" che sono stati sia clienti dell'hotel che della Banca stessa.....
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Un giallo corposo ed intrigante, oltre 600 pagine fitte di descrizioni e avvenimenti capaci di rivelare continui colpi di scena e svolte narrative.
I personaggi sono incredibili, vari e ben descritti. Le loro storie, l'indole e la loro psicologia vengono portate a galla a poco a poco man mano che la narrazione avanza in maniera davvero geniale! Infatti, suspense, genialità e colpi da maestro non mancano fino all'ultimo.
Consiglio vivamente la lettura di questo romanzo nonostante tante fossero state le critiche negative rispetto al capolavoro #laveritasulcasoharryquebert ; io l'ho davvero trovato interessante, magico e geniale per tanti aspetti.
E dolce, molto dolce per il continuo accenno all'editore #bernarddefallois scomparso poco prima della stesura di questo romanzo a cui l'autore stesso era particolarmente legato e a cui, ha dedicato #lenigmadellacamera622 .
Anche stavolta, @joeldicker un colpo da maestro, chapeau!!
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Dicker sa fare di meglio!
Sicuramente questo libro un pregio ce l'ha: 600 e passa pagine che scorrono davvero bene, non ci si annoia mai, la scrittura è davvero fluida e non è poco in questi casi. Tuttavia la trama non è sempre molto credibile, i personaggi sono un bel po' sopra alle righe, nell'insieme la storia non mi ha convinto troppo inverosimile, non so neanche se si possa considerare un giallo oppure no. Non mi ha fatto impazzire neanche la scelta stessa di mettere se stesso nel racconto per poter omaggiare il suo vecchio editore. Sicuramente sa e può fare di meglio.
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Un enigma che tiene incollati alle pagine!
Quand’è che un libro si definisce bello? Quand’è che riesci a dire serenamente che un romanzo rientra nella tua classifica dei migliori mai letti? Non credo ci sia una risposta universale. O meglio, forse la risposta è vera per tutti, ma poi ognuno la associa a libri diversi. Il bello è proprio questo.
Per quanto mi riguarda, “L’enigma della camera 622” è ufficialmente nella mia top of the books. Perché? Adesso ve lo dico.
Se avete già letto altro di Dicker, non serve dirvi quanto sia scorrevole la lettura. Stile impeccabile, poco descrittivo (impossibile dire che aspetto abbiano i suoi personaggi, in questo caso. Onestamente, la cosa non mi piace particolarmente, ma okay, sono scelte), le scene magistralmente alternate tra presente e passato, con flashback e flashback nei flashback. Intrecciato? Sì. Ma alla fine tutti i nodi vengono al pettine e la matassa della trama si sbroglia man mano davanti ai vostri occhi lasciandovi basiti e piacevolmente sorpresi. TUTTO ha senso di esistere, in questo romanzo. Ogni minimo particolare ha il suo perché, la regola della “pistola di Checov” è applicata in tutto e tutti. NESSUNO è da sottovalutare, in questo romanzo.
Ho letto una pagina dietro l’altra, la fine di ogni capitolo invogliava a saperne di più, a scoprire cosa fosse successo non solo in quella maledetta stanza d’albergo, ma anche tutto ciò che gravita attorno alla notte dell’omicidio: tanto per cominciare, chi è stato ucciso? Dicker non ce lo dice, lasciandoci continuare a leggere voracemente per scoprire l’identità sua, oltre che dell’assassino (cosa impossibile se, per l’appunto, non si sa nemmeno chi è morto). Ma fosse solo questo! Il libro è molto molto molto di più. È un enigma! Come lo sono i personaggi e le loro storie. Perché hanno fatto le loro scelte? Come si è finiti in questo groviglio di segreti, tradimenti e giochi di potere?
Super consigliato!
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La presidenza contesa di una banca svizzera.
Joel Dicker è lo “Scrittore”, il personaggio che, durante un periodo di vacanza in un prestigioso hotel sulle Alpi svizzere, il Palace de Verbier, viene a sapere che, tempo prima, nella camera 622 era stato trovato il cadavere di un banchiere, ammazzato a colpi di pistola. Qui inizia la lunga storia, qui hanno anche inizio le indagini dello Scrittore, aiutato da una ragazza, Scarlett, conosciuta occasionalmente. Per il buon nome del Palace, l’omicidio era stato poco reclamizzato, tutto era stato messo a tacere ( il numero della camera era stato addirittura cambiato in 621 bis), ma la curiosità dello Scrittore, che è poi l’io narrante, fa riaffiorare a poco a poco verità nascoste o mai interamente chiarite.
Il volume è ponderoso, più di 600 pagine, la narrazione mette in gioco un’intricata ragnatela di persone e di fatti, un puzzle complicato ed apparentemente inestricabile di eventi, risalenti anche a molti anni prima : numerosi sono infatti i flash back, che mettono a dura prova la memoria del lettore ed interrompono bruscamente la linearità della narrazione. Nella lettura, infatti, bisogna prestare molta attenzione e, come detto, possedere una buona memoria per collegare il succedersi dei fatti al presente ed al passato. Minuzioso deve essere stato il lavoro di preparazione di Dicker nell’elaborare la trama e riuscire ad incastrare personaggi ed azioni in vari stadi temporali, onde evitare errori o ripetizioni.
In succinto, al centro di tutto c’è una grande banca ginevrina, la Ebezner, dal cognome del fondatore Abel, la cui presidenza per consuetudine usa essere tramandata da padre in figlio: l’ultimo discendente, Macaire, non sembra essere ritenuto adatto alla successione, e proprio la lotta per l’ambita poltrona tra lo stesso Macaire, il cugino Jean-Bénedit Hansen , un ambizioso outsider, Lev Levovitch, figlio di un famoso attore trasformista e un misterioso oligarca russo, Tarnogol, costituisce il tema principale del romanzo. I principali personaggi sono questi, ma attorno a loro quante storie nella storia! L’amore appassionato di Anastasia, con presunte ascendenze nobiliari, per Lev, presunto discendente dal ceppo zarista dei Romanov, che la contende con alterne fortune a Macaire, l’intervento di presunti servizi segreti svizzeri sui conti bancari, le misteriose attività di un presunto (attenzione a tutti questi “presunti”!) miliardario russo, le vicende di Arma, una vivace cameriera tuttofare promossa a dama dell’alta società, e di una certa Cristina, finta impiegata bancaria ma in realtà infiltrata con ben altri compiti.. Insomma, non manca nulla: incontri clandestini in alberghi lussuosi, intrighi complicati per eliminare rivali pericolosi, tentativi di avvelenamento e, dulcis in fundo, personaggi che in realtà non esistono . Già, sembra incredibile ma c’è un protagonista di spicco che, utilizzando maschere di silicone di rara perfezione (ingannano infatti tutti!), impersona addirittura via via con tempistiche perfette altri tre personaggi della storia. E’ lecito allora chiedersi come si può classificare questo lunghissimo e mirabolante romanzo. Non è un romanzo giallo in senso stretto, mancano atmosfere, sangue, thrilling, caccia spietata a possibili colpevoli. Non sembra neppure un romanzo rosa, nonostante le storie d’amore che si intrecciano in posti da sogno, i tradimenti, i rimorsi e tutta la melassa di accompagnamento. Sembra anche fuori luogo parlare di indagine sociologica su segreti bancari, lotte di potere, indagini vere o fasulle su evasioni fiscali o trasferimento di capitali in posti più sicuri. Che sia solo una lunga favola, con situazioni da favola e personaggi stilizzati da favola, il buono, l’ingenuo, lo straniero nelle vesti del lupo cattivo, lo Scrittore nelle vesti di una sorta di deus ex machina moraleggiante che cerca appunto disperatamente una morale per far capire la favola e concluderla nel migliore dei modi ?
Bisogna forse rendersi conto che si tratta allora solo di una lunga storia, narrata bene, con tutti i particolari al posto giusto, come per completare un gigantesco puzzle. Una lunga storia con personaggi forse un po’ banali, colloqui talora in stile fumetto (mancano solo le nuvolette che escono dalla bocca), situazioni al limite dell’inverosimile ma con i classici tre elementi di una “storia” secondo il famoso fumettista (guarda caso !) Will Eisner morto non molti anni fa (2005), e cioè un incipit o prologo attraente (e questo c’è), dei contenuti interessanti (e ce ne sono forse troppi) e una serie imprevedibile di colpi di scena (anche questi presenti, basti per tutti la rivelazione finale del colpevole, assolutamente inaspettata).
Anche se la lettura comporta non poca fatica e molta attenzione, a favore dell’autore concedo, come già accennato, la minuziosa cura nell’incastrare storie e personaggi in tempi diversi e senza sbavature. Encomiabili anche l’affetto e la riconoscenza per il suo vecchio editore e amico Bernard de Fallois, al quale dedica pagine toccanti e piene di ricordi nostalgici. E poi, qua e là, Dicker impreziosisce il racconto con riflessioni illuminanti, come, ad esempio, questo pensiero dello Scrittore proprio a conclusione del romanzo: “…la vita è un romanzo di cui già si conosce la fine: il protagonista muore. La cosa più importante, in fondo, non è come va a finire, ma in che modo riempiamo le pagine”.
Le pagine del suo romanzo Joel Dicker le ha riempite comunque bene, con tanti personaggi, tanti accadimenti e un bel pò di colpi di scena: al contenuto mi sono infatti sentito di assegnare un bel 5. Allo stile ho dato 3 perché scivola via talora in modo piatto e banale, soprattutto nei colloqui, alcuni sciatti e prevedibili, come in uno schema prefissato e non spontaneo. Anche alla piacevolezza ho dato 3, perché si fatica a leggere il presente legato al passato e viceversa, con un esercizio mnemonico a volte pesante: si perde un po’ l’unicità della narrazione, pur riconoscendo all’autore il grande sforzo nel cercare di dare compattezza ad un grande disegno narrativo, preparato con cura minuziosa.
Si consiglia comunque la lettura, soprattutto per chi ha già letto ed apprezzato, dello stesso autore, “La verità sul caso Harry Quebert” e “Il libro dei Baltimore”.
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Intricato? Sì. Giallo? Sì.
Eccomi arrivata, dopo lunga e penosa malattia, a scrivere anche io dell’ultimo romanzo di Joël Dicker “L’enigma della camera 622” edito da La Nave di Teseo.
Il libro è un giallo intricato, che più intricato non si può e parte raccontando un episodio della vera vita dello scrittore, cioè la morte del suo editore francese che anni fa credette in lui e pubblicò il suo, ormai famosissimo, romanzo “La verità sul caso Harry Quebert”. Da qui, si dipana quello che io definirei un romanzo dentro un romanzo, che sta dentro ad un altro romanzo. Succede che per dimenticare la ex fidanzata, joël parta per qualche giorno per la montagna, a Verbier, sulle Alpi svizzere e lì conosca una giornalista inglese che soggiorna nella suite accanto alla sua. Tutti e due notano che il numero della camera non è 622, ma 621bis e trovandolo oltremodo strano, iniziano a chiedere in giro e ben presto, Joël si rende conto che la storia macabra e misteriosa che si cela dietro questo cambio di numero, può diventare un bellissimo libro. Con l’aiuto della bella giornalista si muoveranno e da veri investigatori, riusciranno a scoprire l’assassino.
Naturalmente non spiego di più della trama perché andrei a fare sicuramente degli odiosi spoiler essendo, praticamente tutto il libro uno spoiler unico. In certi punti del libro, verso i tre quarti poi si raggiunge l’apoteosi con continui colpi di scena che lasciano il lettore a bocca aperta con tanto di mascella cascante. Ci troviamo continuamente sballottati da una parte all’altra della Svizzera (per fortuna che è piccola!), da un anno all’altro, da una situazione ad un’altra nel giro di pochissime pagine.
La scrittura di Joël è, come già potuto notare per “Harry Quebert”, leggera e coinvolgente, cosa che le quasi seicento pagine del romanzo volano via in un batter di ciglia. Reputo infatti il giovane scrittore uno dei più quotati al mondo al momento e, affermo con assoluta certezza che tutti dovrebbero leggere un suo libro prima o poi e innamorarsi del suo metodo di scrittura che mette in risalto tutte le qualità che dovrebbe avere un libro giallo che si rispetti.
La trama è intrigante, i continui colpi di scena – tra cui l’ultimo davvero un colpo di teatro degno del miglior sceneggiatore, sono un plus da non sottovalutare, ma… C’è un “ma”, tanto di cappello per non fare capire fino in fondo su che piano giochino i vari personaggi, celati dietro una cortina di spesso fumo, ma ho trovato un po’ difficile stare al passo con i cambi di situazione tra il “privato” e il “fantasia”. E il finale a dir poco “strano” non ha aiutato in questo senso. Un’altra cosa che non è un difetto badate bene sono l’uso dei nomi dei protagonisti che ho trovato molto esilaranti (volutamente?).
Comunque, ho trovato il libro molto godibile e leggibile ma reputo anche che “Harry Quebert” viva e vegeti su un piano astrale differente: quello del capolavoro. Detto questo non posso fare altro che ribadire che dovete leggere assolutamente qualcosa di Joël perché non sapete cosa perdete sennò.
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Un buon Dicker ma non il migliore
Torna in libreria Joël Dicker, autore ormai noto al grande pubblico per i suoi romanzi dalle tinte gialle e misteri da scoprire, un autore che basa e sostanzia la sua linea narrativa su fatti del presente e del passato tra loro collegati, susseguenti e intervallati.
Anche questa volta lo svizzero ci fa destinatari di un intrigo che muove i suoi passi da questa costante, pertanto, se già avete avuto modo di leggere opere dello stesso, vi sentirete a casa e riconoscere quell’impostazione ormai cara e consona. Se al contrario non avete ancora avuto modo di avvicinarvi ai suoi titoli ecco che questo potrebbe essere un ottimo spunto per cominciare.
È un fine settimana di dicembre quando presso il Palace de Verbier, un lussuoso albergo sulle Alpi svizzere, viene rinvenuto, in attesa dell’annuale ricorrenza della festa di una delle più prestigiose banche d’affari di Ginevra, un corpo privo di vita all’interno della camera 622. Del colpevole vengono perse le tracce e per quanto l’indagine di polizia sia condotta con meticolosità e scrupolo, mai si verrà a conoscenza della sua identità. Adesso, pertanto, unico obiettivo della struttura è quello di tornare alla normalità e di ripristinare lo status quo ante al delitto così da non danneggiare ulteriormente gli affari.
Sono trascorsi quindici anni quando lo stesso hotel viene scelto da uno scrittore quale rifugio dalla quotidianità. Il fascino del mistero irrisolto è tale da solleticare la sua curiosità così da spingerlo a rivangare quei fatti del passato per venire a capo della verità.
Sin dalle prime battute si evince dunque che il lavoro proposto da Dicker ha tutti quegli elementi propri del genere per riuscire (dal delitto efferato alla ricerca di un colpevole e del suo movente), elementi dai quali allo stesso tempo si distanzia per di fatto intessere una trama che gioca con il lettore, che ne solletica la curiosità, che lo invita a interrogarsi e a cercare di ricomporre quei tasselli. Nel concreto è questa la sua grande maestria; intessere un romanzo lineare ma al contempo corposo e basato su una trama solida ma non troppo impegnativa e per questo appetibile al pubblico più eterogeneo di lettori.
A ciò si somma anche la contestualizzazione nella realtà di quanto accade poiché egli riesce a coinvolgere il conoscitore anche in fatti del quotidiano, relazioni umane, legami che rendono vividi di personaggi nella mente.
Alcune note negative che ho ravvisato sono insite nei dialoghi talvolta eccessivi, ridondanti e troppo concentrati sul “voler lasciare per forza qualcosa” tanto da rallentare un poco la lettura e renderla più faticosa, alla tendenza a stereotipare fatti e personaggi – ma questa mia personale valutazione dipende certamente dal fatto di aver letto precedenti suoi elaborati che dunque levano il gusto della freschezza di un narratore seriale seppur con voci anche diverse –, al tendere a dilatare un po’ troppo le vicende tanto da far perdere un po’ di pathos e dunque giungere a un epilogo sfiancato che offre delle soluzioni che pienamente non convincono e che lasciano delle perplessità.
Resta un buon libro, godibile, piacevole, curioso ma non da annoverare quale miglior Dicker. Adatto a chi cerca un romanzo dello scrittore con il quale avvicinarsi alle sue opere e a chi cerca un romanzo estivo da leggere senza troppe pretese.
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CONTRO IL LOGORIO DELLA VITA MODERNA
“L’enigma della camera 622” è l’ultimo libro di Joel Dicker. Come i precedenti, è scritto molto bene, con una trama accurata che non lascia spazio al caso e i colpi di scena non mancano; del resto, è impostato come un serial tv, con il finale di puntata che ti lascia lì voglioso di capire cosa succederà alla prossima. Perciò si legge tutto d’un fiato, 630 pagine divorate in un fine settimana in cui si è messo da parte tutto il resto per immergersi in una realtà parallela. Anzi, due realtà parallele, perché si ricorre a un espediente già utilizzato ne “La verità sul caso Harry Quebert”: ossia, lo scrittore che scrive il libro che il lettore sta leggendo. Con la differenza che nella precedente opera c’era un alter ego di fantasia, mentre qui è il vero Dicker che racconta del suo rapporto con il suo vero editore morto da poco tempo (e non importa se la storia d’amore che dà il via a tutta la vicenda è reale o inventata). Nel raccontare questo rapporto, ci spiega il motivo per cui scrive e scrive bene.
Dicker estremizza alcuni aspetti che già mi avevano colpito nei suoi precedenti lavori.
Il primo: nel “giallo” tradizionale autore e lettore giocano ad armi pari, gli indizi sono ben nascosti, ma se il lettore è attento e perspicace può arrivarci anche da solo alla soluzione. In Dicker questo non può accadere, perché le carte si mischiano così tante volte, in maniera così imprevedibile e, talvolta, repentina da rendere impari il gioco. Poi magari uno ci arriva lo stesso (e qui ci si arriva una trentina di pagina prima del vero svelamento), ma non è il solito che arrivarci leggendo i maestri del genere. Non che ciò sia un bene o un male in sé, semplicemente è quanto accade nei libri di Dicker e soprattutto in quest’ultimo. Il morto non manca, sappiamo che c’è fin dall’inizio, ma soltanto dopo più di 400 pagine scopriamo chi è. Quindi, per due terzi di libro il gioco non è indovinare il colpevole, ma la vittima. Dopo la rivelazione si prosegue con i colpi di scena, in particolare uno che ti farebbe venire la voglia di chiuderla lì, anche se mancano ancora 150 pagine alla fine. Anzi, se devo dirla tutta è proprio questo colpo di scena ad avermi infastidito perché ha un elemento di scorrettezza (una trovata del genere può funzionare solamente in un libro o in un fumetto, già al cinema sfiorerebbe il ridicolo) che falsa il gioco tra scrittore e lettore. Non posso dire di più per evitare di anticipare il finale.
Secondo aspetto: la caratterizzazione dei personaggi. Dicker ha un po’ il vizio di stereotiparli e se nei precedenti, ambientati in America, i protagonisti sembravano presi da qualche fiction Netflix, stavolta –trasportati in Svizzera – appaiono come delle macchiette e oltretutto nemmeno originali: l’autista di Lev Levovitch ricorda fin troppo Grognard, l’autista dell’Arsenio Lupin televisivo anni Settanta (e taccio sullo stesso Lev, per non incappare in rivelazioni fuori luogo), la madre di Anastasia sembra uscita da una soap opera, Abel e Auguste Ebezner, anche se non fratelli, ma figlio e padre, sono Randolph e Mortimer Duke di “Una poltrona per due”, Scarlett riassume le protagoniste di tanti telefilm giallorosa. E taccio sulla evoluzione di Macaire Ebezner, che nell’arco di poche pagine e di pochi mesi passa dalla condizione di impacciato e credulone banchiere autore di piani tanto cervellotici quanto ridicoli a quella di lucido finanziere d’affari in grado di padroneggiare situazioni avverse.
Terzo aspetto: i dialoghi. Che uno scrittore voglia lasciare, tra le righe del suo libro, delle frasi che rimarranno, lo trovo giusto. C’è il rischio a volte di cadere nella frase da Bacio Perugina e, diciamolo, talvolta Dicker ci cade. Tuttavia, se lo scrittore vuole scrivere aforismi dovrebbe pensarci bene prima di metterli in bocca ai suoi personaggi. Già in Harry Quebert c’erano alcuni dialoghi un po’ forzati, ma alla fine si trattava di intellettuali e la cosa ci poteva stare. Meno credibile è che un imbranato banchiere che non riesce a parlare a una cena di banchieri senza dover guardare il foglietto degli appunti tiri fuori frasi memorabili sull’amore e la vita di coppia quando è dallo psicanalista. In linea di massima, comunque,un po' tutti i dialoghi, anche quelli che non hanno la pretesa di lasciarci frasi memorabili, sono in Dicker lievemente artificiosi.
Al netto di questi difetti, resta comunque una lettura piacevole: specialmente d’estate, sotto l’ombrellone o in giardino, Dicker è come il Cynar, agisce contro il logorio della vita moderna e aiuta a non pensare ai problemi.
Indicazioni utili
INVITO IN BANCA CON DELITTO
Nella recensione di un libro distinguerei due aspetti: da una parte la trama e dall'altra lo stile narrativo. A volte i due elementi sono sinergici e si integrano positivamente, in altri casi uno prevale sull'altro e nei risultati più sfortunati l'uno è scadente e l'altro è ancor peggio. Questo nuovo romanzo di Dicker propone come al solito una storia lunga e articolata che si sviluppa lungo un tomo enciclopedico. Originale e intrigante dirà qualcuno, bizzarra e inverosimile sentenzieranno altri ma bisogna ammettere che all'Autore è consentito comunque proporre il frutto delle fantasie che gli affiorano alla mente - la cosiddetta ispirazione - fino a quando però il quadro non venga ad assumere tinte troppo grossolane e grottesche. Il fatto che, ad esempio, Dicker vada addirittura a pescare nel repertorio di Diabolik per far tornare i suoi conti suscita una certa perplessità e poi strappa addirittura una risata proprio nel culmine di un disvelamento di un mistero. Se al "Re del crimine" dei fumetti era volentieri concesso qualsiasi trucco per cavarsela sempre, sarebbe meglio che in un romanzo con pretese di successo questi espedienti non venissero propinati al lettore. Quanto all'altro tema dello stile narrativo si conferma quanto già osservato in precedenti recensioni. l'Autore disegna personaggi senza spessore, che comunicano tra loro con dialoghi spesso stucchevoli e che non creano particolari suggestioni nel lettore il quale percepisce solo l'iperbole ovunque: il banchiere più ricco, la donne più affascinante e più contesa, la villa più incantevole, l'hotel più lussuoso con la suite più costosa. Quindi se la trama non troverebbe purtroppo unanimi consensi e plausi, anche l'aspetto stilistico lascia spesso a desiderare soprattutto nei dialoghi dei personaggi (si pensi alla nobildonna decaduta e al suo rapporto con le figlie) e al loro disegno interiore che si presta a repentini capovolgimenti di sentimenti ed emozioni come quando un ricco banchiere appena lasciato dalla moglie scopre all'improvviso il suo grande amore per la cameriera e i due diventano subito una meravigliosa coppia come se ci fosse una rivisitazione di Cenerentola. Per mitigare comunque la benevola severità della recensione è doveroso riconoscere che, nonostante i limiti, la lettura del libro è scorrevole e fluida per cui anche i frequenti salti temporali non procurano fastidiosi disorientamenti.