L'enigma dell'alfiere L'enigma dell'alfiere

L'enigma dell'alfiere

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J.C. Robin, campione di tiro con l’arco, viene assassinato con una freccia nel campo di tiro situato nella villa di Bertrand Dillard, celebre fisico. Poco dopo viene rinvenuta una seconda vittima, lo studente John E. Sprigg, che portava con sé una misteriosa formula. Il procuratore distrettuale John F.X. Markham è incaricato di risolvere l’intricato caso, ma sarà solo grazie all'aiuto del suo amico Philo Vance, il brillante e acuto investigatore, che verrà scoperto l’assassino seriale.



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L'enigma dell'alfiere 2017-11-06 09:04:00 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    06 Novembre, 2017
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Vance rischia lo scacco matto

Quarto enigma poliziesco per Philo Vance, ambientato entro una elitaria cerchia di matematici, fisici e scacchisti. Questa volta il filo conduttore dei delitti da investigare per l’ozioso, ma acuto dandy newyorkese è fornito dalle filastrocche infantili di Mother Goose (Mamma Oca). La prima vittima è John Cochraine Robin, esperto arciere, amico della figlia adottiva dell’eminente matematico prof. Dillon, Costui muore trafitto da una freccia, esattamente come il pettirosso (in inglese Cock Robin) dell’omonima tiritera. Poi è la volta di John Sprigg, talentuoso studente di matematica, colpito da una pistola di piccolo calibro. Anche in questo caso c’è una canzoncina che sembra descrivere perfettamente vittima ed accaduto. A rendere ancor più tenebrosa questa serie di delitti, che non si arresta ai primi due, accade che siano recapitati ai giornali fogli dattiloscritti a firma di un fantomatico “Alfiere” che, riportando le filastrocche in questione, ingenerano panico in città. Così, di morte in morte, il mistero si infittisce, sinché la capacità deduttiva dell’investigatore per hobby non giungerà alla soluzione.
Arrivato al mio quarto appuntamento con Philo Vance, sono giunto alla conclusione che le sorprese nella prosa di Van Dine sono assai rare, nel bene e nel male. Anche questa storia procede in modo fluido come un congegno ben oliato. Anzi, a ben vedere, il tutto appare sin troppo simile ad un sincronizzato meccanismo ad orologeria, pur essendoci alcuni passaggi che lasciano qualche dubbio e appaiano un po' artefatti e forzati.
Lo stile, comunque, sostiene egregiamente la narrazione. I battibecchi tra Vance e Markam, sul filo delle citazioni dotte, sono ai livelli migliori. In questo romanzo, poi, l’idea di collegare gli omicidi seriali alle canzoncine di Mamma Oca è intrigante e vincente, al punto che, mentre leggevo, ho sentito il desiderio di cercare i vari testi originali per studiarli attentamente e scoprire, poi, quanto una canzoncina infantile possa risultare, in effetti, sinistra e truculenta.
Trovo abbastanza deprimente il fatto di riuscire ad intuire, sino dai primi capitoli, quale possa essere l’unico colpevole possibile. Non mi sono mai reputato un esperto giallista e se i potenziali colpevoli li individuo io, vuol dire proprio che la trama è piuttosto scoperta e lineare. Nella specie il modo in cui si evolve il dramma, poi, ripercorre troppo fedelmente schemi già noti. In questo libro, però, ho trovato apprezzabili i colpi di scena finali che ravvivano l’interesse anche se aprono la strada ad una conclusione non pienamente soddisfacente.
Come ho già notato per i precedenti romanzi, viene da sorridere pensando ai sistemi di indagine adottati da Vance & Co: davvero naif ai nostri occhi abituati al rigore scientifico delle investigazioni ed al segreto istruttorio per non mettere sull'avviso i responsabili. Ma novantanni fa il mondo girava molto più lentamente, a ritmi più umani e meno maliziosi; né si era avvezzi come oggi alla ferocia, spiattellata in faccia con gusto sadico.
Ho trovato abbastanza fastidioso, infine, che l’A. abbia sentito la necessità di ripetere così spesso quanto quei delitti generassero orrore, sgomento, terrore ed allarme a New York. A parte che le affermazioni in sé risultano poco credibili (mi risulta incomprensibile come possa un’intera città di sei milioni di abitanti restare sconvolta da crimini che si sono svolti entro un unico isolato cittadino ai danni di una ristrettissima cerchia di persone) questo insistere ed enfatizzare il concetto della paura collettiva sembra quasi una ammissione del fatto che, con la narrazione, non si sia in grado di ingenerare la voluta tensione nel lettore e si sia, perciò, ritenuto necessario intensificare il concetto con continue aggettivazioni rafforzative. Insomma una pericolosa confessione dell’A. su una temuta debolezza del suo testo.
Comunque, a parte questi nei, “L’enigma dell’Alfiere”, preso come romanzo di evasione e come un esercizio enigmistico, regge benissimo il trascorrere del tempo, anzi, forse, è il migliore dei primi quattro della serie, quello più equilibrato e stimolante.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
... i primi romanzi di Van Dine, che, tra l'altro, dovrebbero essere letti in ordine d'uscita, poiché non sono rari i rimandi ai casi già risolti. In generale, poi, è da consigliare a chi ama i gialli classici, tutti concentrati sulla soluzione del solo caso poliziesco considerato quasi come un quiz enigmistico e sulla sola abilità deduttiva del protagonista.
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