L'attentatrice
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Profetico
Una storia mozzafiato sullo sfondo del conflitto mediorientale
“A che serve la felicità quando non è condivisa, Amin amore mio? La mia gioia si spegneva ogni volta che tu non la condividevi. Tu volevi dei figli. Io volevo meritarli. Nessun bambino è al sicuro senza patria… Non odiarmi. – Sihem”.
Molto bello e avvincente questo romanzo di Yasmina Khadra, pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, ex ufficiale dell’esercito di origine algerina. Chiede di essere letto tutto in fiato tanto la storia sa trascinare con sé.
Amin Jaafari è un affermato chirurgo di origine araba ma naturalizzato israeliano che vive e lavora a Tel Aviv. Si trova a soccorrere i feriti di un attentato provocato da un kamikaze terrorista imbottito di esplosivo. Scopre poi che non solo la moglie tanto amata, Sihem, non era andata a trovare la nonna come aveva raccontato a lui ma è morta nell’attentato. Non solo, dai rilievi effettuati risulta essere proprio lei l’attentatrice.
Come è possibile che una donna così adorata, felice almeno in apparenza, piena di sentimento nei confronti del marito e che lui stesso pensava di conoscere così bene, che mai aveva lasciato capire di aver preso la strada dell’estremismo integralista potesse aver ucciso ed essersi uccisa? Come ha potuto commettere un gesto così atroce?
Inizialmente Amin rifiuta l’idea ma poi, dopo aver ricevuto una lettera scritta dalla moglie prima dell’attentato si deve rassegnare ai fatti. Gli rimane però il terribile senso di colpa per non aver capito, per non aver colto quei segnali che sicuramente, a suo parere, la moglie deve per forza avergli lanciato, perché un dubbio, almeno uno, deve averla attraversata prima di arrivare ad una scelta così radicale e terribile.
Aiutato quindi da Kim, amica di vecchia data per quanto il racconto mostra innamorata di lui, e con l’amicizia di un poliziotto al quale però non rivela nulla, parte alla volta di Betlemme, città dalla quale è partita la lettera. Vuole ripercorrere gli ultimi passi percorsi da sua moglie, vuole capire perché abbia compiuto un atto così estremo ma, soprattutto, conoscere chi l’ha vigliaccamente spinta a quel gesto rimanendo ipocritamente vivo. A Betlemme ha parenti, quindi parte da lì.
Non otterrà granché in apparenza, ma il dubbio continua a tormentarlo. Proprio lui, che sempre si è rifiutato di prendere posizione sul conflitto, si trova ora a doverci fare i conti.
Ho trovato la narrazione molto capace di tenere avvinto il lettore in qualsiasi situazione: anche quando Amin discute della differenza tra l’approccio di chi uccide e di chi cura, di come cercare di mantenere in vita sia meglio di dare la morte, il dialogo, profondo, mantiene avvinti. E le riflessioni che l’autore offre, attraverso le parole di Amin, così vere e così sentite, rimangono impresse.
La scrittura e veloce, cruda, il ritmo molto elevato e mozzafiato.
Chi legge è totalmente trasportato dalla figura di Amin, dai suoi stati d’animo, dal suo percorso interiore e dal suo smarrimento per non aver capito ciò che chissà, forse avrebbe potuto sospettare se il suo amore fosse stato amore e non adorazione, idealizzazione. Se solo si fosse reso conto di quanto stava avvenendo, la storia sarebbe stata ben diversa. Ma cosa stava realmente avvenendo?
E quanta sofferenza anche in Kim, l’amica, che vorrebbe allontanarlo dalla sua folle ricerca, che lo spinge a riprendere a vivere, ad elaborare il lutto, senza però ottenere risultato.
E anche l’amico poliziotto soffre con lui.
La storia apre a riflessioni profonde su un problema ben noto, il conflitto arabo israeliano, per il quale non si riesce a costruire la via per una pace giusta ma si continuano a condannare a morte innocenti da parte di entrambi gli schieramenti. Amin poi, si è sempre posto come ideale modello pacificatore tra le due parti del conflitto mediorientale: forse è proprio questo a rendergli ancora più intollerabile l’evento. E l’idea era che sua moglie fosse con lui in questo modello. Quanto lontano era dalla verità!
Una lettura molto consigliata, un libro da leggere.
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Il Singolo e la sua (idea di) Società
RECENSIONE ORIGINARIAMENTE PUBBLICATA, IL 14/03/2016, SUL SITO DELLA MIA (ex) SCUOLA SUPERIORE (Liceo Majorana Desio), IN OCCASIONE DI UN'ATTIVITA' CHIAMATA "Caffè Letterario".
OGNI RIFERIMENTO ALLA SUDDETTA ATTIVITA' PUO' TRANQUILLAMENTE ESSERE IGNORATO.
HO DECISO DI NON MODIFICARE LA RECENSIONE ORIGINALE PER RISPETTO NEI CONFRONTI DEL "ME DEL PASSATO".
E A QUESTO PROPOSITO: TUTTO QUELLO CHE LEGGERETE DALLA FINE DI QUESTA PREMESSA IN POI, E' STATO SCRITTO INTERAMENTE DA ME.
NON HO IN ALCUN MODO COPIATO E/O RICICLATO MATERIALE ALTRUI SPACCIANDOLO PER MIO.
Detto questo: buona lettura!
Il titolo parla da sé. Siamo infatti giunti al secondo appuntamento del Caffè Letterario della scuola, che, ricordiamo, si propone di rendere l’attività della lettura un’occasione di incontro tra studenti, ed è per questo motivo aperto a tutti. Il libro preso in esame, se la volta precedente era stato “Ciò che inferno non è” di A. D’Avenia, di cui ci ha già parlato Marco Capurso due mesetti fa, questa è “L’Attentatrice” di Y. Khadra.
Analizzeremo il libro in parallelo, più o meno, a quelli che sono stati nel corso dell’incontro gli interventi e le riflessioni più salienti, portate avanti non solo magari da una persona, ma dalla collettività, professoresse comprese. Dal mio personale punto di vista, queste riflessioni hanno messo in luce due sostanziali domande: “Il libro dà dalle risposte sulla situazione socio-politica fra Israele e Palestina?”; “Che ruolo hanno, nel libro come in campo reale, la singola persona e i suoi ideali?”
Prima di spiegare, diamo un riassunto veloce del libro, che io per puro rigore formale riporto pari pari tratto dal sito di critica letteraria Qlibri:
“In un ristorante affollato di Tel-Aviv una donna che si finge incinta fa esplodere la bomba che teneva nascosta sotto il suo vestito. Per tutta la giornata il Dottor Amin, israeliano di origini arabe, opera a ritmo da catena di montaggio le innumerevoli vittime di questo ennesimo atroce attentato. Amin si è sempre rifiutato di prendere posizione sul conflitto che oppone il suo popolo d’origine e quello d’adozione, dedicandosi interamente al suo mestiere e a sua moglie Sihem. Nel cuore della notte viene richiamato d’urgenza in ospedale dal suo amico poliziotto Naveed che gli annuncia che Sihem è morta e per giunta era lei la donna kamikaze. Amin comincia la sua particolare investigazione sulla donna misteriosa che ha vissuto per anni assieme a lui.”
Il gigantesco problema degli attentati, da qualche anno a questa parte, ma forse potrei dire anche da qualche mese, sta assumendo sempre maggiore spessore a livello globale e d’opinione pubblica. Le stragi di Parigi hanno scosso letteralmente tutta Europa, e solo qualche giorno fa, il 14 Aprile, il Bataclan ha annunciato la riapertura, con il concerto previsto per il 16 novembre di Pete Doherty. Chi attenta, non lo fa solo per questioni religiose, ma anche politiche, storiche e ovviamente sociali, e molto spesso viene manovrato da forze superiori che lo istigano fare tutto ciò con un lento e calcolato lavaggio del cervello. Appare chiaro come tutto il sistema qui sommariamente descritto sia complicato e difficile da districare. Non vi sono più soluzioni, non vi è una soluzione, non vi è LA soluzione.
Questo dubbio, per usare un ossimoro, è chiarissimo nel libro di Khadra. Non sono date risposte definitive, il lettore si trova sempre in balia di opinioni differenti a causa dei differenti personaggi, e tutte queste opinioni possono essere considerate valide, perché fondate su valori e ragionamenti. Ci si arriva a chiedere quasi addirittura se sulla base di determinati ideali, o determinate “Cause” (termine chiave di tutto il romanzo), possa essere considerato giusto morire da kamikaze.
Si è cercato in questi termini di dare una risposta alla prima domanda sopracitata. Riporto le questioni e non le soluzioni emerse durante il colloquio in biblioteca, perché vorrei che chi consultasse questa recensione trovasse da sé le risposte, dopo ovviamente aver letto il libro.
Alla questione sollevata dal primo interrogativo si ricollega direttamente la questione del secondo. Cioè, una volta trovata una soluzione PERSONALE su come comportarsi nei confronti del proprio paese, del proprio popolo e della propria storia, quanto contano le decisioni prese da noi singoli sulle nostre vite e sulle nostre convinzioni? Siamo sempre certi di essere dalla parte giusta e di conoscere veramente chi ci sta intorno?
Per il chirurgo Amin, protagonista del libro, salvare una vita vuol dire, molto semplicemente, impedire a tutti i costi che una persona muoia, e avere la speranza fino all’ultimo in sala operatoria di poterlo fare. La storia e le origini del singolo non contano, conta solo il singolo stesso. Per altri, salvare una vita, o meglio la propria vita, è possibile soltanto aiutando il proprio paese, non stando impassibili a guardare le mille ingiustizie politiche e sociali cause di guerra e sofferenza. Questo è, per esempio, il punto di vista di Sihem, che si fa esplodere in nome della causa legata alla Palestina.
L’autore non esprime un giudizio personale riguardo le due differenti posizioni. Si limita a sviscerarle, facendole quasi toccare con mano al lettore, e in lui sorge spontanea la seconda domanda sopracitata. Questa, alla fin fine, può essere riassunta in un quesito più semplice: “L’uomo è in balia del corso della Storia o può opporvisi?”
Come prima, non fornisco il mio personale punto di vista. Starà al lettore schierarsi più dalla parte delle proprie radici, oppure più dalla parte delle proprie origini. Il libro OBBLIGA a fare ciò, e proprio qui sta la sua forza. D’altronde, i libri che fanno rimanere indifferenti, forse non sono neanche da considerare tali.
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“Nessun bambino è al sicuro senza una patria...”
Secondo più che positivo incontro, per me, con la narrativa dello scrittore algerino Yasmina Khadra, che lo scorso anno mi aveva molto colpito con “Khalil”, romanzo che esplora la scottante tematica del terrorismo covato nelle periferie d'Europa tra le nuove generazioni di musulmani.
“L'attentatrice”, opera di quasi quindici anni fa, ci conduce invece nel vivo della questione palestinese, nel cuore di una terra santa e dannata al tempo stesso. Il protagonista, il dottor Amin Jaafari, è un arabo-israeliano che, agli occhi della società ebraica, incarna il modello più riuscito d'integrazione all'interno dello Stato d'Israele. Cittadino israeliano dunque a pieno titolo ed eminente chirurgo presso un ospedale di Tel Aviv, Jaafari non ha dimenticato le proprie origini che affondano nella polvere delle antiche piste seguite un tempo dalla sua tribù beduina, ma è come se, dinanzi al dramma senza fine del popolo palestinese cui anzitutto lui appartiene, il suo cuore si fosse in parte anestetizzato; come se i suoi occhi si volgessero altrove, distratti dagli agi e dai privilegi che la propria posizione sociale generosamente gli accorda, come se le sue orecchie siano divenute sorde ai venti di guerra perenne che sferzano i Territori occupati. Fino al giorno in cui quella stessa guerra non si presenterà con raccapricciante violenza direttamente alle porte del suo rifugio ovattato, mostrando per di più il volto della persona a lui più cara: sua moglie Sihem.
Attraverso una scrittura fluida e magnetica che coinvolge fin dall'inizio il lettore, Yasmina Khadra racconta la discesa all'inferno, senza possibilità di redenzione, di un uomo al quale, all'improvviso, viene strappata ogni cosa, dalla donna amata alla fiducia nella vita, dall'illusione della felicità ai sogni...
Sullo sfondo, una Palestina disillusa e il suo popolo, piccolo Davide a cui sembra non restare altra arma, per combattere il grande Golia del sionismo, se non la propria carne da immolare sull'altare dell'odio che ormai, sia da una parte sia dall'altra, travolge tutto e tutti. In mezzo ai massacri e alla follia generale, queste pagine cercano di comprendere le ragioni degli uni e degli altri, lasciando intendere che tra i due pericolosi estremi (ed estremismi) esiste forse una via di mezzo in virtù della quale nessuno dovrebbe essere più privato della dignità. Perché è proprio nel momento in cui questa viene calpestata che esplode la rabbia più cieca e distruttiva.
“Ho voluto che capissi perché abbiamo preso le armi, dottor Jaafari, perché dei bambini si gettano sui carri armati quasi fossero bomboniere, perché i nostri cimiteri traboccano, perché voglio morire con le armi in pugno... perché tua moglie è andata a farsi esplodere dentro un ristorante. Non c'è cataclisma peggiore dell'umiliazione. […] Il problema è che impediscono loro di sognare, dottore. Cercano di rinchiuderli in ghetti finché vi si annullano. Per questo preferiscono morire. Quando i sogni sono conculcati, la morte diventa l'unica salvezza... ”
Perfettamente caratterizzato il personaggio di Amin, la cui angoscia non avrebbe potuto trovare descrizione migliore; non da meno quello di Sihem, il cui fantasma aleggia inquietante nel corso di tutta la narrazione insieme a innumerevoli interrogativi destinati a restare in parte senza risposta.
Un romanzo coraggioso di un'intensità sconcertante, alla cui lettura si rimane avvinghiati dalla prima all'ultima pagina dove infine riecheggeranno, nonostante tutto, parole di speranza sulla possibilità di “reinventare il mondo che ti hanno negato.” Cinque stelle e lode!
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Il cataclisma dell’umiliazione
“A cosa serve la felicità quando non è condivisa, Amin, amore mio? La mia gioia si spegneva ogni volta che tu non la condividevi. Tu volevi dei figli. Io volevo meritarli. Nessun bambino è al sicuro senza una patria… Non odiarmi. Sihem. ”Amin e Sihem sono una coppia di palestinesi che hanno ottenuto la cittadinanza israeliana. Lui è un affermato chirurgo, lei una donna stimata, bella, intelligente, moderna. Sono un riuscitissimo esempio di integrazione, la prova che la convivenza tra culture e religioni differenti è possibile. Niente può far pensare che un giorno la donna possa imbottirsi di esplosivo e farsi saltare in aria in un ristorante affollato. Eppure è così, è proprio lei l’attentatrice che ha seminato morte e terrore tra civili indifesi. Ma come ha fatto Sihem a nascondere le sue intenzioni al marito? A preferire la morte ad una vita invidiabile? A rivoltarsi contro chi l’aveva accolta in seno alla propria società? Amin è sconvolto, non riesce a capire, stenta a credere che ciò sia veramente accaduto. Deve fare i conti con il dolore, la rabbia, i sensi di colpa. Deve affrontare i propri fantasmi e difendersi dalle subdole rappresaglie degli israeliani offesi. Superate le difficoltà iniziali, decide di intraprendere un’indagine privata per scoprire la verità sulla vita di una persona che pensava di conoscere meglio di se stesso e che invece si rende conto di non aver conosciuto affatto. La ricerca di Amin è dettata esclusivamente da motivi personali, ma lo porterà invece a conoscere le ragioni collettive di un popolo che ogni giorno è costretto a vedere la sua terra usurpata, la sua dignità umiliata, i suoi diritti calpestati, che combatte a mani nude, a colpi di fionda, con armi di fortuna contro un nemico protetto da scudi antimissile che non esita ad usare i carri armati, i razzi, gli elicotteri. Un popolo che è il suo stesso popolo, cui lui aveva voltato le spalle, preferendo chiudersi nella sua gabbia dorata piuttosto che volgere lo sguardo sull’inferno che dilania la sua gente, che violenta la sua patria, che impedisce ai suoi figli di studiare, di sognare, di sperare nel futuro. Sullo sfondo una Gerusalemme “divisa fra un orgasmo da odalisca e un ritegno da santa” che “ha sete di ebbrezza e spasimanti, e vive malissimo la cagnara dei suoi figli, sperando contro venti e maree che una schiarita liberi le menti dal loro oscuro tormento. Di volta in volta Olimpo e ghetto, ninfa Egeria e concubina, tempio e arena, soffre di non poter ispirare i poeti senza che le passioni degenerino e, con la morte nel cuore, si sfalda a seconda degli umori come si frangono le sue preghiere nella bestemmia dei cannoni.” Il libro cerca di comprendere le ragioni di un gesto orribile senza minimamente legittimarlo, perché non esistono scusanti quando si parla di violenza. Ma, se non esiste giustificazione all’atto compiuto da Sihem, può esisterne per i droni israeliani che lanciano missili sui civili palestinesi? Per i bulldozer che radono al suolo le case arabe senza pietà, con tutto ciò che c’è dentro? Per la violenza di giovani militari imberbi su profughi che hanno soltanto le mani per difendersi dai colpi inferti loro con i calci dei fucili? Si può accettare l’innalzamento di un muro talmente osceno “che i cani preferiscono alzare la zampa sui rovi piuttosto che ai suoi piedi”? Si può ancora chiudere gli occhi davanti alla violenza, all’irragionevolezza, all’arroganza di politiche sioniste giustificate da un’inaccettabile legge di compensazione? “Ho voluto che capissi perché abbiamo preso le armi, dottor Jaafari, perché dei bambini si gettano sui carri armati quasi fossero bomboniere, perché i nostri cimiteri traboccano, perché voglio morire con le armi in pugno…perché tua moglie è andata a farsi esplodere dentro un ristorante. Non c’è cataclisma peggiore dell’umiliazione. È una disgrazia incommensurabile, dottore. Ti toglie la voglia di vivere. Finché non hai reso l’anima a Dio, hai una sola idea per la testa: come morire degnamente dopo aver vissuto disperato, cieco e nudo? … Nessuno si unisce alle nostre brigate per il proprio piacere, dottore. Tutti i ragazzi che hai visto, alcuni con le fionde, altri con i bazooka detestano la guerra più di chiunque altro. Perché ogni giorno uno di loro muore nel fiore degli anni per un proiettile nemico. Anche loro vorrebbero godere di uno status onorevole, diventare chirurghi, star della canzone, attori del cinema, correre in fuoriserie e toccare il cielo con un dito tutte le sere. Il problema è che impediscono loro di sognare.”
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un romanzo coraggioso e forte
Libro intenso che cerca di esplorare le emozioni e i vissuti di popoli tormentati dalla guerra. Il lettore si ritrova in una terra devastata e si sente raccontare la sofferenza di vittime e carnefici. Partendo dalla storia di Amin, medico chirurgo a Tel Aviv e di sua moglie Sihem che si fa esplodere un un ristorante, di fianco ad un tavolo in cui un gruppo di ragazzi festeggia un compleanno. Da quel momento Amin è obbligato a interrogarsi e - devastato dal dolore e dalle domande - ripercorre i luoghi che Sihem ha calpestato prima della fine. Quale segnale Amin non ha saputo cogliere in sua moglie per scongiurare una fine così orrenda?
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Vis-à-vis con il vento di Dio o meglio conosciuto
Kamikaze....La libertà, la felicità, la fede, l'identità, la vita, la morte, hanno un significato universale e condivisibile o forse no? C'è una parte dell'umanità che per una serie di erudizioni e di interpretazioni estreme si impone al di sopra di ogni razionalità. L'integralismo islamico di Yasmina Khadra visto da vicino attraverso una storia intima con un ritmo serrato, doloroso, commovente e ben delineato senza entrare nel vivo ideologico dei temi caldi della questione Palestina-Israele ben radicata da secoli di guerre inesauribili.
Tel Aviv si sveglia, come al solito, più caparbia che mai. Quale che sia l'ammontare dei danni, nessun cataclisma impedirà alla terra di girare.
Ci sono due estremi nella follia degli uomini. L’istante in cui si prende coscienza della propria impotenza e quello in cui si prende coscienza della vulnerabilità degli altri. Si tratta di accettare la propria follia o di subirla.