L'arte di morire
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il milieu artistico e letterario danese.
E’ tornata in libreria Anna Grue. Dopo Il bacio del traditore, e Nessuno conosce il tuo nome, per garantire agli amanti del thriller a tinte nordiche esce con L’arte di morire, dove ritroviamo il suo detective “calvo” di nome e di fatto.
I protagonisti sono una nota scultrice, un organizzatore di grandi eventi culturali, una anziana critica letteraria, un celebrato poeta, una scrittrice di gialli, la più famosa stella della fiction televisiva. Tramite ad essi c’è una perfetta ricostruzione d’ambiente, della società, del milieu artistico e letterario danese. Oltre, ovviamente, ai poliziotti, che riaprono un caso a distanza di un anno dall’avvenimento. Ritroviamo l’ispettore Flemming Torp, coadiuvato dall’amico Dan Sommerdhal, calvo di nome e di fatto.
La vicenda, ambientata nella città danese di Christianssund, inizia nel 2007, con un delitto irrisolto: l’ottantenne Ingegerd Clausen, critica letteraria feroce in pensione, viene trovata uccisa nella sua casa dalla figlia, la scultrice Kamille Schwerin. Inoltre tutte le sue sculture sono state ridotte in poltiglia con un pensante martello. Tutti sono sospettati: dalla stessa Kamille, suo marito, il ricco e potente Lorenz Birch, altri potenziali nemici della scultrice, non molto amata perché considerata arrivista e troppo egocentrica. Le indagini ristagnano.
L’anno successivo al fatto la tv pubblica danese propone un gioco televisivo, Caccia all’assassino, a cui parteciperanno personaggi noti della stampa danese, uno stilista emergente, una cantante estromessa da X Factor, un politico, un giornalista coinvolto in un grande scandalo, l’attrice più amata di una popolare serie tv, un’anziana esperta di bon ton e la scultrice Kamille, appunto. Tra loro primeggia Dam, pubblicitario e detective, che terrà viva la suspence nei telespettatori. Tutti i partecipanti sono stati portati nell’Isola dei Sospiri, privati di cellulari e ripresi ossessivamente dalle telecamere. Una sorta di Grande Fratello all’interno di un remake di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
Il libro è molto televisivo, molto contemporaneo ed interessante analisi sociologica del mondo culturale della Danimarca, delle ambizioni frustrate dei singoli personaggi, ben delineati, in preda alle loro ossessioni e nevrosi, insicurezze esistenziali. Un mondo di privilegi, una precarietà degli affetti e relazioni che raccontano di un benessere solo apparente e formale. Come qualsiasi giallo ci sono intrecci, delitti ed indagine. Con uno sguardo curioso alle miserie di una società nevrotica, colma di solitudini che psicofarmaci e superalcolici non riescono, comunque, a sconfiggere. Un ritratto non troppo incoraggiante per la parte più ricca e civile dell’Europa.