Irène
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 1
Un “Renato Brunetta” alla Sûreté
Il Comandante Verhœven è uno dei più abili investigatori della Polizia Criminale, a dispetto del suo indubitabile handicap fisico. Infatti, a causa del gravissimo tabagismo della madre pittrice, Verhœven soffre di ipotrofismo: è alto solo un metro e quarantacinque centimetri. Nonostante ciò è riuscito, grazie alla sua abilità e tenacia, a divenire uno dei poliziotti più stimati e efficienti della Squadra. Questa volta, però, sembra che sia stato chiamato ad affrontare una questione decisamente troppo grossa per lui. Un serial killer sta trucidando giovani prostitute tra inenarrabili torture e, poi, le squarta con una efferatezza che non sembra avere limiti, il tutto ad imitazione dei più truci delitti descritti dalla letteratura gialla (da Ellroy, da Ellis, da McIlvanney, etc.). A complicare le cose, il Comandante si trova a dover affrontare una situazione familiare delicata: l’adorata, bellissima moglie Iréne sta per avere il loro primo figlio. Lei, quindi, giustamente, spererebbe in maggiori attenzioni da parte del marito che, invece, passa più tempo in ufficio, per le indagini, che assieme a lei ad aiutarla in questo complicato frangente. Dibattuto tra queste due contrastanti esigenze Verhœven sarà chiamato affrontare una spaventosa accelerazione nella “dialettica” a distanza con il “Romanziere”, come la stampa ha soprannominato il killer, e gli sviluppi saranno davvero terrificanti.
Iréne è il volume d’esordio nella trilogia che Lemaitre dedica al comandante Verhœven. Il libro si presenta, fino dalle prime pagine, come un duro, violento pugno allo stomaco del lettore e, proseguendo, il climax cresce ad un ritmo esponenziale.
Io conoscevo Lemaitre, ed il personaggio del comandante Verhœven, per aver già letto il secondo volume della serie: “Alex”, il primo edito in Italia. Tuttavia, mentre in quel libro l’investigatore era posto in un ruolo meno alla ribalta dell’azione, in questo ne è il protagonista assoluto, contrapposto al demoniaco assassino senza volto.
La crudezza delle situazioni, descritte in modo diretto e senza alcuna edulcorazione, era una delle caratteristiche anche di “Alex”, ma in “Iréne”, se possibile, tutto è portato all'eccesso, tutto è ancora più brutale e crudo e non si lesinano emozioni forti al lettore.
La tecnica narrativa dell’A. è impeccabile, ma, a mio parere, indulge con troppa minuziosità nelle descrizioni dei vari fatti di sangue che “infestano” il romanzo. Si percepisce quasi un gusto sadico e perverso nella meticolosità dell’esposizione e il povero lettore in alcuni casi deve sforzarsi per frenare il proprio disgusto causato dalla efferata crudeltà che gli viene sbattuta in faccia senza pudori. In definitiva, credo che Lemaitre abbia superato quei limiti di tollerabilità che lui, invece, nella postfazione, assume essere inesistenti.
Se il libro si limitasse a concentrarsi solo sulla narrazione di questi raccapriccianti fatti di sangue si ridurrebbe a ben poca cosa: andrebbe inserito nella lista dei tantissimi volumetti splatter che solleticano solo gli istinti più animaleschi dei lettori.
Tuttavia a far da contrappeso alla durezza, alla inumanità delle situazioni descritte c’è la travolgente, irresistibile umanità di Verhœven. Nonostante i suoi modi bruschi, nonostante la ruvidezza del carattere e l’aggressività che innalza come difesa nei confronti del mondo che, inevitabilmente, lo osserva (ahilui!) dall'alto in basso, egli dà prova di una sensibilità, di una dolcezza d’animo tale da conquistare immediatamente le simpatie del lettore. Al poliziotto “tascabile”, duro come il diamante sul lavoro, si contrappone, così, il trepidante padre in attesa, il marito che continuamente si dibatte nei sensi di colpa per non riuscire a dare tutte le dovute attenzioni all'amatissima compagna, l’uomo che inorridisce per la sorte delle giovani vittime. Questa dicotomia innalza i toni della tragedia e la rende ancor più toccante per chi legge.
Un vero colpo di genio, poi, è la divisione del racconto in due parti. Nella seconda di queste il lettore viene catapultato in una diversa realtà dove, per quanto le vicende restino le medesime, tutti i punti di riferimento, pazientemente individuati in precedenza, sono spazzati via in un colpo solo, per mostrare le stesse scene, ma da una diversa, insospettata angolazione che disorienta e rende ancor più cruda la narrazione.
In definitiva si tratta di un libro sicuramente degno di un’ottima valutazione, ma difficile, sia per i temi trattati (non ultimo la perversa violenza sulle donne), sia per lo stile incalzante adottato, cosicché la piacevolezza ne risulta parzialmente sminuita. Proprio per questo motivo debbo confessare che, prima di affrontare la lettura del terzo capitolo della serie (“Camille”), sicuramente preferirò aspettare che alcune delle più orripilanti scene smettano di danzarmi continuamente davanti agli occhi.
[SPOILER] Sono costretto a chiudere la recensione con una nota di profondo biasimo nei confronti dell’editore. Il titolo originario francese “Travail soigné” era sostanzialmente asettico e non dava alcuna indicazione specifica al lettore, anzi lo lasciava in un limbo di ipotesi. Quello scelto per l’edizione italiana, invece, brutalmente suggerisce da subito l’unico epilogo possibile della vicenda. Se si tiene conto, poi, che questo volume, in Italia, è stato pubblicato dopo “Alex” e che in questo secondo libro, inevitabilmente si fanno alcuni cenni ai precedenti accadimenti, la scelta effettuata equivale ad un evidente spoiler sulla vicenda. E per un libro poliziesco, ove la suspense è parte integrante della narrazione, questo è il peggior crimine che si possa commettere ai danni del lettore.