Il testamento Donadieu Il testamento Donadieu

Il testamento Donadieu

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I Donadieu sono un possente clan della Rochelle. Vivono trincerati tra i ninnoli della loro vasta magione e fra i vani oscuri dei loro uffici. Con la stessa sicurezza con cui si manteneva, «l’ordine Donadieu» crolla. E trascina nel crollo non soltanto il clan, ma colui che era stato il freddo agente della rovina: l’arrivista Philippe, il cuneo che si era insinuato fra le giunture del clan. Simenon pubblicò questo romanzo nel 1937, quando i suoi libri incontravano già un immenso successo. Era quello il periodo in cui, come scrisse André Gide, «scoprire Simenon era un piacere»



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Il testamento Donadieu 2020-01-29 09:55:11 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    29 Gennaio, 2020
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la caduta

La ricca famiglia dei Donadieu pareva inattaccabile, trincerata nella roccaforte costruita in decenni di imprese economiche e potere accumulato. Ma quando il capostipite Oscar Donadieu muore in maniera improvvisa e a tratti oscura, la struttura inizia a cedere. Fino al tracollo.

Tra i piu’ corposi romanzi del prolifico Simenon, esso tratta una vera e propria saga famigliare, attingendo ad una fittissima rete di relazioni. Ai membri del clan Donadieu si aggiungono anche i parenti acquisiti, che apportano il loro succoso contributo alla tragedia.
Immenso il numero di personalità negative scelte ad interpretare la vicenda, non c’e’ redenzione per chi ha peccato e cio’ che la vita ha dato, la vita toglie. Dall’arrivista cronico all’ aggressore seriale di donne, sono poi ragazzine fragili e passive, uomini flaccidi, imprenditori pasticcioni, matrone dissipatrici, coniugi adulteri, milionari ingenui e manipolabili, il cancro portato in grembo sotto il peso di una croce in processione.
Sono uomini e donne privati del buon senso, della capacità e della volontà di calibrare i propri atti, tutto si fa così sfrontatamente tragico da sfiorare il confine che lo isola dalla parodia.
Crollato il capofamiglia, le personalita’ dei suoi sottomessi vengono private di ogni argine e l’effetto domino e’ garantito.

Il ritmo e’ sostenuto e la lettura piacevole, l’intensita’ della narrazione è notevole ed il realismo cristallino. La sensazione non e’ di leggere un romanzo, ma di osservare tra le mura domestiche o lavorative lo svolgersi della vita dei molti personaggi. Tra mille disgrazie, i cupi Donadieu di un Simenon infervorato.

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Il testamento Donadieu 2019-10-30 15:49:04 Scavadentro
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Scavadentro Opinione inserita da Scavadentro    30 Ottobre, 2019
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decadenza di una famiglia

Questo romanzo di Simenon è particolare nella produzione del medesimo. E' infatti un affresco corale che ritrae la famiglia degli imprenditori Donadieu. Questi sono un clan de La Rochelle che abitano nel loro palazzo a più piani, rigidamente legati a regole e gerarchie familiari a piramide. Al vertice è l'armatore Oscar Donadieu, che regna sui quattro figli e sulla moglie. A dimostrazione di questo stato di fatto è emblematica una frase in apertura del libro: quando vanno a messa la domenica, formano «una processione dove l’unico assente era il buon Dio». E ad osservarli, i loro movimenti apparivano «predisposti in modo così rigido che avrebbero potuto scandire la vita della Rochelle con la stessa precisione delle lancette del grande orologio della Torre». A incrinare irrimediabilmente la situazione è la tragica quanto misteriosa morte del capostipite, annegato a tarda sera nei pressi del canale che costeggia le sue aziende, mentre sta rientrando a casa. Questo evento apre una cronaca asciutta e oggettiva della disgregazione progressiva della famiglia, formata da personalità assolutamente inadatte e capaci. C'è il figlio maggiore che di carattere debole ha messo incinta la segretaria ed ha una moglie insoddisfatta ed “esoterica”; la sorella maggiore che ha sposato un buon ragioniere (ma nulla di più) la figlia minore diciassettenne invaghita dell'arrivista Philippe ed il figlio minore cagionevole di salute, mistico, immaturo. Ed in ultimo la vedova che “liberata” da un marito tirannico eccede nelle spese e infine si affida progressivamente al genero Philippe, accelerando così la tragedia. Quest'ultimo è infatti teso a cercare con ingordigia di “creare” una dinastia calpestando qualsiasi principio morale, non esitando a concupire la moglie del suo socio prossimo milionario senza minimamente pensare alle conseguenze. Tutto il romanzo è permeato di un senso di ineluttabilità, di un destino avverso che non ammette repliche. I panorami sia cittadini che campestri sono cupi, densi di sentimenti di rivalsa che promettono disgrazie. Una prova letteraria che dimostra l'arte di Simenon, ancora una volta da non canonizzare nel genere giallo, ma da considerare un autore a tutto tondo tra i maestri del novecento.

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il Simenon extra-Meigret
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Il testamento Donadieu 2018-07-04 09:56:28 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    04 Luglio, 2018
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Il feuilleton di Simenon

Nel 1936 Simenon era già un autore affermato, grazie ai gialli con Maigret e agli indovinati noir e non piaceva solo al lettore medio, ma anche a letterati assai famosi come André Gide. Confortato da questi elementi positivi e indubbiamente consapevole delle sue capacità deve aver pensato che fra tanti successi ne mancava uno relativo a un romanzo di maggior spessore, quale poteva essere costituito dalle vicende di una potente famiglia avviata a un inarrestabile declino. E a passare dall’idea alla realizzazione non ci mise molto, solo i mesi di luglio e agosto del 1936; nacque così Il testamento Donadieu, un romanzo corposo, considerate le sue 393 pagine.
Strano clan, quello dei Donadieu, che vivono fra La Rochelle e Parigi, che conducono una vita ritirata, ma che tutti assieme, come in processione, vanno a messa alla domenica per un rito anziché per una fede; è un’esistenza senza un acuto, monotona, anzi grigia, prigionieri della loro stessa potenza. Un giorno però accade un fatto straordinario: il capostipite, l’armatore Oscar Donadieu scompare, senza lasciare traccia, nemmeno un rigo. E’ l’inizio della fine, perché nonostante la proverbiale meticolosa efficienza e la non scalfibile sicurezza quello che si potrebbe definire l’ordine Donadieu mostra dapprima una crepetta che però in breve si allarga e si dirama fra La Rochelle e Parigi fino ad arrivare al crollo di questa grande famiglia, trascinando nel baratro anche l’arrivista Philippe, inseritosi di soppiatto fra gli apparentemente rigidi legami del clan. Costui, figlio del proprietario di un cinema ridottosi quasi in miseria per operazioni finanziarie sbagliate, circuisce Martine, la figlia dello scomparso Oscar Donadieu, il cui cadavere verrà poi ritrovato nel limo del porto senza che possiamo sapere se si sia trattato di incidente, di suicidio o di omicidio; il suo intento non è nobile, né quello di un vero innamorato, in quanto ha un unico scopo, vale a dire impadronirsi delle fortune dei Donadieu, che ritiene colpevoli delle disgrazie finanziarie del padre. Non vado oltre per quanto concerne la trama di questo lungo romanzo, limitandomi a far presente che la passione dell’autore per il giallo e per il noir qui sembra assente, se pur tuttavia i morti ammazzati non mancano e tutti legati, direttamente o indirettamente, a questa famiglia. Il finale, poi, non potrebbe essere più pirotecnico e a onor del vero mi sembra che in tale circostanza Simenon abbia usato più di una forzatura, travalicando il limite dell’equilibrio per piombare in una specie di tragedia greca. Il romanzo non è certamente un capolavoro, ma ha il sapore di certi drammoni propri dei feuilleton e in effetti è giusto ricordare che Il testamento Donadieu uscì agli inizi a puntate su Les feullets bleus, senza dimenticare che era stato commissionato dal quotidiano Le Petit parisien. A mio parere è uno di quei libri, denso di intrecci, di tresche e di atmosfere grevi, adatti a un lettore che, amante delle tinte forti, desidera un prodotto che gli consenta di trascorrere diverse ore immerso nella realtà fittizia di un mondo in cui amore e morte non solo convivono, ma vanno felicemente a nozze. Per concludere si tratta di un’opera di non grande pregio, la tappa di un percorso che però avrebbe portato George Simenon a scrivere romanzi di notevole valore, quali, e solo a titolo di esempio, La finestra dei Rouet, I fantasmi del cappellaio e L’angioletto.

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Il testamento Donadieu 2011-11-01 19:58:14 lella gritti
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lella gritti Opinione inserita da lella gritti    01 Novembre, 2011
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Un feuilletton "di classe"

Questo romanzo è del genere "feuilletton-polpettone" che a me piace moltissimo. Perchè succede di tutto e di più e la scena cambia repentinamente dal bene al male e viceversa. E poi c'è la grande saga della famiglia-azienda con il cattivone che arriva da fuori e se ne impadronisce, ecc. Insomma ci sono tutti gli ingredienti del drammone.
Qui c'è anche uno sfondo "giallo" che serve però a Simenon per poter descrivere il male, i vizi e le peggiori pulsioni umane. Sempre lasciando il segno nelle emozioni del lettore.

E' un romanzo scorrevolissimo: si legge con grande facilità e si capisce che è anche stato scritto con grande facilità. D'altra parte, Simenon era rinomato (e invidiato) per la sua velocità di scrittura. Da qualche parte ho letto che poteva scrivere un breve romanzo nel giro di un pomeriggio...

Un romanzo scritto nel 1937 che appare ancora molto godibile oggi, purchè piaccia il genere "romanzo popolare". Non ha niente da invidiare a un giallo, però qui c'è la magia della scrittura di Simenon per il quale ogni romanzo è la rappresentazione di una grande tragedia umana.

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romanzi d'appendice, romanzi popolari
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