Il superstite
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TORNIAMO A CASA
Ma se quella notte fredda e nevosa se ne fosse rimasto a casa a leggere e a fantasticare sul suo regalo di Natale, invece che decidere di mettere in pratica quanto letto circa il fenomeno delle voci registrate? Forse ora la sua vita sarebbe diversa, più felice, più leggera, priva di sensi di colpa e di forti sentimenti di responsabilità verso il prossimo; chissà...
Jan si pone spesso questa domanda.
Un giorno, due eventi, conseguenze per lui tragiche.
La morte della vicina di casa, il rapimento del suo fratellino, la morte del padre: una vita che non è, e che non sarà mai, più la stessa.
Ma quando Jan ritorna dove tutto ebbe inizio sembra quasi che con lui sia tornato alla ribalta anche il male: la morte lo circonda e inizia a colpire persone a lui vicine, persone in un modo o nell'altro collegate al suo passato, persone che, volente o nolente, lo costringono a riaprire quel libro, a rileggere le pagine di un'infanzia tragica, a dare delle risposte a domande ancora sospese a mezz'aria.
E così Jan, psichiatra nella stessa clinica dove lavorava suo padre quando lui era bambino, tornerà ad affrontare i suoi peggiori incubi e darà finalmente una risposta ai suoi numerosi punti interrogativi, perchè come ogni incubo che si rispetti anche il suo ha una fine, inaspettata, crudele e liberatoria allo stesso tempo.
Dopo La psichiatria Wulf Dorn firma un altro psichothriller dal ritmo serrato, un mix di presente e passato, di immagini e di dialoghi che portano il lettore nella psiche del protagonista, per vivere insieme a lui il suo dramma fino alla conquista dell'amara verità.
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Staccarsi dal passato
Dopo il successo commerciale de “La psichiatra”, opera prima dello scrittore Wulf Dorn, l’autore tedesco è tornato nel 2011 con questo secondo romanzo che lo ha confermato tra gli autori di thriller psicologici più venduti del momento.
Il protagonista è Jan Forstner, psichiatra divorziato trentacinquenne che lotta con i fantasmi di un’infanzia difficile in cui ha perso, a poca distanza l’uno dall’altro, il padre Bernard ed il fratello Sven.
Dopo alcuni problemi professionali Jan torna nel paese natale, luogo dove sono avvenute la due tragedie, per accettare un lavoro presso una clinica psichiatrica offertogli da Raimund Fleischer, un vecchio collega del padre.
Ma alcune misteriose morti, che hanno come comune denominatore la clinica, riportano presto Jan ad affrontare i demoni di un passato che non vuole saperne di essere dimenticato.
Anche in questo secondo romanzo Dorn colloca la vicenda in una clinica psichiatrica, luogo che evidentemente lo scrittore conosce bene data la sua precedente esperienza di logopedista alle prese con pazienti affetti da problemi di natura mentale.
L’ambientazione scelta, unita al clima freddo e rigido tipico delle stagioni invernali nelle province interne tedesche, conferisce alla storia la corretta dose di mistero e tensione.
Rimane però, come nel caso de “La psichiatra”, la sensazione che manchi qualcosa per far sì che il romanzo si elevi davvero dalla media del genere.
Nonostante questa considerazione soggettiva, Wulf Dorn si conferma come un buon autore di thriller psicologici. Romanzi di evasione, idonei a cambiare registro tra una lettura impegnata e l’altra.
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Frammenti e rinascita.
Là. Era proprio là. Davanti ai miei occhi, in offerta mescolato tra le varie altre opere su quello scaffale della libreria. Non ho resistito.
La storia di per sé ruota intorno alla scomparsa del giovane Sven all’età di 6 anni. Questa è la molla di partenza del romanzo ma anche il motore che ne alimenta la narrazione. Jan è distrutto, il peso della colpa e del rimorso da cui è attanagliato da ormai 23 anni sono una costante a cui non riuscirà mai ad abituarsi e da cui non riuscirà mai a liberarsi tanto che perfino il suo lavoro inizia a risentirne, proprio quella professione che ha intrapreso per aiutare sua madre, per comprendere per quale ragione non è riuscito a svelare quei “perché” che hanno spinto il colpevole ha rapire suo fratello.
Poi la svolta. Un nuovo inaspettato colloquio. Un amico del padre, una chance da non sprecare. Jan rindossa i suoi panni di psichiatra ed inizia a ricomporre i pezzi della sua vita. Le sue paure non lo abbandonano mai, nemmeno per un secondo, ma sa che dopo la separazione della moglie e quel che ha rischiato di perdere non può più permettersi una “mossa falsa”.
I giorni scorrono inquieti e caratterizzati da una serie di violenze, incidenti e misteriose morti. A tratti anche troppi, questo è forse l’elemento su cui Dorn ha calcato un po’ troppo la mano rischiando di “suggerire” al lettore chi fosse l’artefice di tutti i mali che affliggono la cittadina di Waldklinik prima del tempo. La narrazione è interessante; la voce narrante che si intervalla tra Jan e il psicopatico omicida offre al lettore più di una prospettiva creando in lui una dimensione di suspence tale da spingerlo a giungere al finale dell’opera. I personaggi sono delineati nelle loro linee principali, non si sa nulla più del necessario che sia indispensabile sapere. Non eccelsi ma buoni la sintassi e i dialoghi (cosa che può derivare anche dalla traduzione). Intrigante, una buona prova seppur “troppo impersonale”. Freddo. Tanto è ottima la narrazione psicologica che da magnete attira il lettore quanto è poco curato il rapporto umano dei singoli.
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La vita è un campo di battaglia
Io amo,amo follemente Wulf Dorn e forse con questa frase ho detto tutto!
Io lessi prima di questo "Follia Profonda"che vede lo stesso protagonista,ma è il secondo libro infatti li ho invertiti e mi sono ritrovata a chiedermi diverse cose quando lo lessi,con questo ho trovato tantissime risposte.
Penso che conterrà spoiler,ma non significativi
Troviamo un giovane Jan alla ricerca continua della verità sul suo passato,su quel male che ha praticamente ucciso la sua famiglia. Una notte di inverno fra freddo e neve un piccolo Jan dodicenne,vede morire la figlia del suo vicino di casa. Convinto che i libri siano fonte di verità,legge che con un registratore e tornando nel luogo del delitto si possa registrare la voce del defunto. Allora decide di provarci prende cappotto e guanti e attraversando la strada si trova in quel parco,quel parco maledetto. Arrivato al punto in cui si mette ad aspettare sente che qualcuno lo segue e a quel punto vede il piccolo Sven fratello di 7 anni di Jan,si arrabbia,ma alla fine lo tiene con se.Lo mette seduto sulla panchina e il tempo di fare pipì Sven scompare. Inizia così la folle corse al ritrovamento del fratello. Vivo o morto? Chi lo ha rapito? Il padre parte dopo una chiamata improvvisa,ma un tragico incidente fa si che quella fuga segni la sua morte. Morto Sven,morto il padre,la madre cade in profonda depressione e lui viene mandato in collegio. Ricomincia una vita,diventa psichiatra come suo padre,ma l'ombra del dubbio non lo abbandona fino a questo punto il punto in cui ci svelerà tutto,sapremo cosa è successo a Sven e soprattutto chi è stato!
Un thriller incalzante,che ti tiene incollato al libro,rigo dopo rigo,pagina dopo pagina. Colpi di scena a non finire e molte morti. Tanti personaggi,io per ricordarli ogni volta che li incontravo li scrivevo in prima pagina e scrivevo il ruolo.
Un altro capolavoro di questo splendido autore!!
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"GHE-OO-EE!"
I demoni delle persone diventano reali nel secondo romanzo di Wulf Durn, uno psico thriller di livello in cui niente è come sembra. Uno psichiatra tormentato, una serie di macabri suicidi e un mistero ancora da svelare, queste le premesse de "Il superstite". E poi c'e il silenzio, quel silenzio greve e sospeso, lo stesso silenzio che il protagonista Jan Forstner non riesce ad ascoltare senza provare una profonda e radicata angoscia.
Rispetto a quanto avviene ne "La psichiatra", "Il superstite" è più incentrato sulla Waldklinik, l'ambientazione si fa più cupa, la trama - se possibile - ancora più intricata, fino alla sconvolgente e imprevedibile resa dei conti finale.
"Beato chi può conoscere la causa delle cose" recita la citazione a Virgilio che introduce il romanzo ed è proprio questa la chiave della storia: un'ossessiva ricerca della verità che porterà Jan a rischiare più di quanto egli stesso possa immaginare.
Dorn rimane fedele a se stesso, arricchendo la vicenda con venature decisamente conturbanti e indecifrabili, e una serie di personaggi che si intrecciano fra loro in modo imprevedibile: dall'affascinante "ipnotista" Norbert Rauh all'archivista Hyeronimus Liebwrek e all'indomita giornalista Carla Weller, che insieme costituiscono un mosaico di paure e segreti troppo a lungo celati.
Profondo, inquietante ed enigmatico, "Il superstite" scruta a fondo i peggiori incubi delle persone. In poche parole: imperdibile.
“Quando torniamo a casa?”
Leggi un romanzo, ed è la trasposizione letteraria del tuo peggior incubo. E non vorresti mai sapere, né tantomeno leggere, che ciò che più ti spaventa esiste, è un incubo reale. E allora il coinvolgimento emotivo ti schiaccia.
“Forse crediamo alle coincidenze solo perché non sopportiamo di pensare alle possibili alternative.”
Chissà perché con questo autore ho difficoltà nei sentimenti; cioè a fine lettura sono sempre un po’ inquieta da un lato e insoddisfatta dall’altro.
È sicuramente un romanzo ben congegnato e angosciante, ma freddo. Non tanto per le vicende narrate, perché la storia è raccontata proprio con questa modalità di narrazione. Ma a fine lettura mi è rimasto un senso di profonda tristezza e mi sono chiesta perché.
Forse perché l’aspetto umano non è l'elemento fondamentale.
Nulla ci parla di questi protagonisti che conosciamo si, ma è come se restassero latenti, ciò che conta sono solo i fatti che sembrano quasi svolgersi indipendentemente da loro, come se non ci fosse un legame tra vicende e persone coinvolte. Insomma come se l’autore non fosse riuscito appieno a creare un’unica voce, non fosse riuscito ad amalgamare il tutto.
Ma chissà che questo aspetto da me criticato non sia il suo vanto e la sua bravura, il suo pregio nel riuscire a ricostruire in modo freddo e distaccato racconti così tetri.
Tuttavia avverto un vuoto, una mancanza. Il mio bisogno di affezione non viene appagato.
Ho avuto la stessa sensazione con “La psichiatra”.
E poi c'è il silenzio.
Il silenzio, tema ricorrente, mi inquieta.
Quel silenzio che si fa...sentire. E' questo il silenzio che mi annichilisce e da cui io cerco di fuggire.
“Ma ancora più opprimente della tenebra era la quiete, mentre Jan Forstner imboccava la strada verso il reparto 12. Frugò nei ricordi alla ricerca di una melodia che potesse scacciare il silenzio dalla sua testa. Questa volta gli risultava più difficile, perché invece di ricordi acustici nella sua mente riaffiorarono immagini. "
“Il silenzio nell'ampio ufficio era insopportabile. … Jan Forstner cercava di mascherare il proprio disagio, quello strisciante malessere che lo assaliva sempre quando intorno a lui regnava un silenzio nel quale si sarebbe potuto sentire cadere uno spillo.”
“Se in quel momento si fosse trovato a casa oppure in giro in macchina, avrebbe acceso la radio. Una stazione qualsiasi. L'importante era avere voci e musica che mettessero fine al silenzio.”
Forse questo autore mi coinvolge più di quanto penso.
Forse non sono completamente libera e a mio agio durante la lettura.
Forse non vorrei fosse così.
“...la panchina era vuota. C'era solo il dittafono.”
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ma che ansia il dittafono!
Jan Forstner è uno psichiatra specializzato in criminologia. Ma la sua carriera, come il suo matrimonio, ha avuto una battuta d’arresto. Jan è una persona inquieta, tormentata dal rimorso e vive con un costante senso di colpa. Ma adesso ha l’occasione per ricominciare. Il direttore della Waldklinik, la clinica dove aveva lavorato anche suo padre, gli offre un posto di prestigio strappandogli però la promessa di farsi aiutare dal suo collega, il dott. Rauh. Jan accetta anche se con una certa riluttanza e torna a Fahlemberg, la città che ventitré anni prima era stata teatro di avvenimenti drammatici rimasti ancora irrisolti: la perdita dell’amica Alexandra, morta all’alba nel laghetto del parco sotto i suoi occhi; la scomparsa del fratellino Sven e la perdita del padre. Tutti avvenimenti, tra l’altro, accaduti nell’arco di due giorni.
Dorn ci descrive in modo appassionante e drammatico il percorso introspettivo che Jan compie con l’aiuto del dott. Rauh, che lo porterà a rivivere, e noi insieme a lui, i drammi della sua infanzia.
Jan si butta a capofitto nel lavoro con l’intenzione di rifarsi una vita ma appena arrivato a Fahlemberg, assiste al suicidio di una ragazza, Nathalie. La sua somiglianza fisica con Alexandra è inquietante. E anche Nathalie come Alexandra era una paziente della Waldklinik. Coinvolto nella vicenda del suicidio, Jan si ritroverà, suo malgrado, ad indagare per scoprire possibili legami con la morte di Alexandra. Ma la sua indagine lo condurrà molto più lontano.
Wulf Dorn si conferma un ottimo scrittore. La vicenda è ben orchestrata e non mancano i colpi di scena. I personaggi sono interessanti, ben descritti e lo scrittore ne approfondisce con una discreta abilità i lati più intimi. Come nel romanzo precedente, Dorn usa come sfondo la psichiatria e i suoi lati inquietanti e questo lo rende originale.
Da leggere tutto d’un fiato!
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Semplicemente STUPENDO!!!!
"Non importa quanto tempo è passato
Non importa quanto tu sei cambiato
Il silenzio continuerà ad assordarti"
In questa frase è racchiuso il senso dell'intero libro di Wulf Dorn, uno psichothriller a dir poco fantastico.
Una concatenazione di fatti vecchi e nuovi, di continui e perfettamente costruiti flashback che aggiungono sempre maggiori misteri alla fitta trama.
Tutto è incentrato sul senso di colpa di un uomo che non avrà pace fino a quando non scoprirà la verità.
Temevo in un finale scontato e incocludente e invece sono stata tenuta col fiato sospeso fino alla fine.
E' il primo libro che compro di Dorn e sicuramente non sarà l'ultimo!
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Amore a prima lettura
Anticipo: questo è stato il mio primo Wulf Dorn. Non l'avevo mai letto prima, e spesso mi accorgo che il primo libro che leggo di un autore rimane in assoluto il mio libro preferito dell'autore stesso.
Anche con “ Il superstite” è successa la stessa cosa.
Mi sono totalmente innamorata di questo libro e, di conseguenza, di Dorn!
Che dire...le parole per recensire un libro alla fine sembrano sempre vane, ti sembra sempre di non riuscire a trasmettere agli altri quello che hai provato.
E' proprio il contrario per Wulf: è ben riuscito a trasmettere i sentimenti dei vari personaggi. L'immedesimazione in essi è immediata. L'amore per Jan scatta fin dalla prima pagina.
La storia è intrecciata, misteriosa, complessa e per niente scontata ( a mio avviso, anche se non tutti sono della mia stessa opinione). Jan che torna nella sua cittadina natale, il suo passato che torna a galla grazie a flashback incredibili... ed è solo il suo passato che può far luce su una enigmatica vicenda del presente.
Ho letto molti thriller e spesso sono rimasta insoddisfatta, indovinando fin dall'inizio la trama.
Con Wulf non è stato così. La trama intrecciata ti fa perdere per le vie di Fahlemberg e fa rimanere con il fiato sospeso fino alla fine.
La lettura è stata tutta d'un fiato, e alla fine di questa storia agghiacciante sono rimasta piacevolmente stordita.
Le pagine risucchiano completamente il lettore, il rapimento è garantito.
Buona lettura!
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Dopo il secondo prendo solo la frutta, grazie.
Mi sono più volte ritrovato a riflettere sul perché ho scelto di leggere un libro piuttosto che un altro, ma non ci ho mai capito molto. Oramai mi lascio trasportare dall'idea che sia il titolo o più semplicemente la copertina a farmi decidere, come si faceva una volta con gli LP, oppure un periodo dell’anno, il giallo in estate, il romanzo d’autore in autunno, la saga fantasy a Natale, e così via.
Quindi non saprei dirvi bene perché ho iniziato “Il superstite “, il secondo thriller di Wulf Dorn. Se avessi pochissimi secondi per rispondere, mi verrebbe subito da dire perché la trama mi ha intrigato.
I presupposti per il thrillerone ci sono tutti, il ritorno a Fahlenberg, la città natale di Jan Forstner, giovane psichiatra e criminologo, e il riaffiorare dei demoni del suo passato, la scomparsa del fratellino Sven, 23 anni prima, in una notte fredda e buia, la misteriosa morte del padre in un incidente automobilistico, uscito qualche minuto prima precipitosamente da casa, dopo una telefonata (chi era al telefono? il rapitore del figlio? Lo conosceva? E cosa voleva da lui?). E poi ancora la Waldklinik, l’ospedale psichiatrico dove Jan inizia a lavorare, brulicante di psicopatici fuori di testa pronti però a lanciare messaggi sibillini qua e là. E ancora, il piccolo dittafono che forse nella sua ultima registrazione contiene degli indizi determinanti per rintracciare il rapitore del fratello e poi le sedute di ipnosi con il dottor Rauh, cui Jan è sottoposto, e infine, Liebwerk, lo scontroso e misterioso archivista che non riesce a trovare alcune cartelle cliniche, lui così metodico e ordinato.
Tuttavia, pur essendo la storia ben articolata, sapientemente suddivisa in numerosi e brevi capitoli, e con un discreto numero di personaggi, per non restringere da subito il cerchio sul probabile (o probabili) colpevoli, “Il superstite” mi ha preso solo in parte e ho faticato un po’ a terminarlo, arricciando leggermente il naso nelle pagine finali.
Anche se devo riconoscere che grazie all’atmosfera tranquilla e familiare che si respira a Fahlenberg (Jan tra l’altro va pure a vivere a casa di un vecchio amico di famiglia), la costante presenza di paesaggi innevati, la mancanza di scene truculente e di un vero e proprio “German Psycho”, ma soprattutto grazie alla sensazione che l’ispettore Derrick da un momento all’altro spunti fuori per risolvere il mistero, “Il superstite” alla fine è diventato per me come la coperta di Linus, calda, accogliente, protettiva. E forse anche per questo ne ho centellinato la lettura, tenendolo per diversi giorni sul comodino, poche pagine lette la sera prima di addormentarmi, beato come un bambino.
Senza infamia e senza lode, dunque. Però, dopo questo libro, mi convinco sempre di più che la letteratura gialla teutonica, troppo vicina ai paesi scandinavi e distante quasi mezzo globo terracqueo dai cow boys, rimane per me un po’ così, come il semifreddo al caffè, dolce, burroso, ma non abbastanza freddo come un gelato, né con un gusto sufficientemente robusto come l’italico tiramisù.
Ma perché ho scelto il semifreddo come dessert? Mi è capitato di chiedermi più di una volta, guardando perplesso il piattino oramai vuoto.
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