Il regno di vetro
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Fuga claustrofobica
….in quel momento l’ unica cosa che gli riempi’ la mente fu la semplice idea che quella era la vita e nient’altro altro, e che la vita, come il Karma, andava sempre avanti, infinita e ingiusta in ugual misura, come tutte le cose prestabilite ma impossibili da prevedere….
A Bangkok, dove tradizione e storia sono sopraffatte dai cambiamenti della contemporaneità, una città piena di indesiderabili, truffatori, forestieri e girovaghi di professione, stranieri ( farang ) viziosi invisi agli indigeni, c’è un luogo non luogo, il Kingdom, epicentro del romanzo di Lawrence Osborne, un complesso lussuoso covo di residenti stranieri e famiglie dell’ alta società, ….” un angolo di opulenza upper-class nascosto dentro uno sfacelo dimenticato “….
Quattro torri di ventun piani, separate da porte di vetro, inaccessibili dall’ esterno, rifugio di misteri e paure, un mondo di spiriti in cui immaginare lusso e discrezione, chiedendosi chi sono i propri vicini, chi si nasconde dietro i semplici conoscenti, che cosa aspettarsi da una vita siffatta.
Sarah, una giovane americana in fuga da New York con duecentomiladollari indebitamente sottratti a una scrittrice di fama di cui è stata la segretaria, entra in questo microcosmo di attesa braccata dalla paura, un fantasma vivente in uno dei pochissimi luoghi dove una donna bianca e sola può sperare di passare inosservata.
L’ incontro con altre tre residenti, come lei straniere annoiate, avvolte da un alone di mistero e indefinitezza, da’ inizio a una frequentazione, per solitudine, interesse, amicizia, difficile dirlo, di certo per riempire un senso di vuoto nella sospensione viziosa del presente, tra lusso e modernità, privilegi di classe, il futuro da scoprire, il passato un’ incognita.
Ciascuno, a modo suo, inscena una trama personale, dichiara di essere quello che non è, un giuoco fragile di incastri destinato a crollare al primo soffio di vento. Braccati da un senso di soffocamento ci si addentra nel labirinto di vetro e nella virtualità del Kingdom, estranei a ciò che accade all’ esterno, generando una fiction a tinte forti e una trama degna di una spy story.
Dopo una prima parte che tesse la rete dei protagonisti, la costruzione di relazioni possibili e la rappresentazione di un mondo siffatto, sempre con sottile sarcasmo, il cuore del racconto sovverte ogni ipotesi precedente, svelando un reale diverso e virando in una ghost story.
Anche Sarah racconta la sua verità’, impegnata in una guerra tra lei e le classi opulente dove tutte le astuzie sono legittime, i colpi bassi giustificati, in fuga da un mondo che la tormenta.
Quando là fuori i disordini e i sovvertimenti politico-sociali imperversano, braccati e isolati all’ interno del Kingdom, senza protezione, l’ incertezza esplode, la scena si fa buia e ci si ritrova a tessere una nuova porzione di storia che ci ricorda ” Il condominio “ di Ballard, anche se lì la trama claustrofobia era funzionale al senso del racconto.
Le menzogne costruite collassano, verità e fantasia si fondono, alcuni protagonisti dissolti, altri con un’ idea di fuga, mentre un nemico invisibile ( e forse più di uno ) tesse la propria trama nell’ ombra.
Il romanzo di Osborne è accurato nella rappresentazione dei vizi e delle virtù di una terra a lui ben conosciuta, la prosa fluente ma lo sviluppo della trama piuttosto statico e la costruzione e rappresentazione dei personaggi non sempre efficace, relazioni e situazioni si ripetono, la seconda parte insegue un epilogo piuttosto morbido, caotico, nebuloso, indirizzato alla ineluttabilità di una vita indecifrabile.