Il primogenito dei Ferchaux
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Atmosfere cupe e risvolti horror
E' un bel romanzo, questo di Simenon, un'immersione totale in atmosfere cupe e in animi non meno oscuri.
Lo scrittore entra nella mente di Michel Maudet, giovane squattrinato, ambizioso e opportunista, scandaglia ogni sua più riposta sensazione (di veri e propri sentimenti, nel caso specifico, è difficile parlare), e riesce persino a destare la comprensione, se non l'empatia, del lettore nei confronti del protagonista con certe riflessioni buttate giù candidamente:
“Non era lui che se ne andava, che abbandonava sua moglie o un luogo familiare; erano le cose a staccarsi bruscamente da lui. E lo facevano assumendo all'improvviso, nel momento più inaspettato, un volto indifferente”.
A chi dare la colpa se le cose, dopo “il tempo necessario ad assorbirne in qualche modo la sostanza”, assumono l'inconsistenza del ricordo?
Eppure la rinuncia alle persone che crede di amare sembra a Michel, spinto in avanti da un richiamo interiore, un imperativo a cui non si può sottrarre. E sarebbe da ottusi, secondo il suo punto di vista, definirlo egoista e senza cuore.
Analoga sorte toccherà a Dieudonné Ferchaux, l'uomo della svolta, figura carismatica, almeno nella prima parte, pervasa da quel disincanto tipico “di chi ha visto tutto e tutto conosciuto”.
La parabola discendente del rapporto tra i due, spiriti affini che si riconoscono, rappresenta il fulcro del romanzo ed è tratteggiata con realismo e acutezza psicologica.
Proprio come avviene in certi rapporti amorosi, soccomberà chi dei due si lascerà trascinare dall'irrazionalità dei sentimenti.
Degni di nota alcuni personaggi secondari, resi con pochi significativi tratti attraverso episodi, frasi, immagini di straordinaria efficacia evocativa.
La narrazione procede spedita, seppure talvolta un tantino prolissa, e nella parte finale assume risvolti horror che ricordano le migliori pagine di Edgar Allan Poe, mentre ogni cosa sembra seguire il suo inesorabile corso, già scritta, già decisa dalle forze inconsce che muovono le azioni umane.
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Amorali e spregiudicati avventurieri
Questa volta Simenon prende spunto da un fatto realmente avvenuto e ambienta la sua storia quando lo scandalo che ha attirato l'attenzione di tutta la Francia è già scoppiato e, in qualche modo, assorbito. Lo scandalo riguardava i due fratelli Emile e Dieudonné Ferchaux, due personaggi senza alcuna morale. La storia invece riguarda il solo Dieudonné (accusato nello scandalo anche dell'omicidio di tre negri suoi dipendenti in Africa). E ricalca un tema caro a Simenon: il rapporto tra un giovane "rampante", spiantato ma molto ambizioso (che fin dalla prima descrizione si capisce pronto a qualsiasi nefandezza), e un altro soggetto ormai maturo e arrivato, quasi sempre ricco, di solito uomo (v. Il Presidente, Le campane di Bicétre, Il testamento Donadieu, ecc.) ma talvolta anche donna (come la vedova Couderc).
Simenon costruisce la ragnatela della interdipendenza fra i due e soprattutto della progressiva metamorfosi del giovane Maudet. Il gioco è fra due avventurieri della stessa risma, dove la differenza è data solo dall'età e questa favorisce il più giovane.
Dapprima il segretario si mostra ammirato e deferente verso il vecchio potente Dieudonné, poi via via prendono il sopravvento altri sentimenti più ostili e ossessivi in un crescendo che porta all'inevitabile atto criminale finale come se questo fosse già dall'inizio nell'ordine naturale delle cose.
La grandezza di Simenon sta nella sua capacità di descrivere il percorso ineluttabile delle vicende dettato dai sentimenti malvagi che allignano nell'animo umano.
Le descrizioni dei personaggi e del loro sentire è crudo e sintetico, ma capace al contempo di catturare il lettore, imbrigliarlo e di lasciarlo stordito alla fine del romanzo.
La trama è quasi inesistente e, data la lunghezza del testo, talvolta mi è parso un po' prolisso. Ma giusto una sensazione che non mi ha impedito di arrivare velocemente alla fine.