Il porto degli spiriti
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Maja, dove sei?
La perdita di un figlio per un genitore è sicuramente il tormento più crudele e ingiusto da sopportare, praticamente impossibile da metabolizzare anche con il passare degli anni. Jon Ajvide Lindqvist parte da questo terribile assunto per mettere in campo la disperazione di Anders, tornato all'arcipelago natio in cui tempo prima è sparita in circostanze a dir poco misteriose la piccola Maja, sua figlia. Un trauma che ha determinato la rottura del matrimonio con Cecilia e la discesa negli abissi dell'alcolismo.
Il ritorno a casa coincide con il desiderio di voler girare pagina, di essere accolto da qualcuno che lo ama e non sentirsi più emarginato, anche se in realtà l'ossessione della scomparsa della piccola è più di una semplice immagine sfocata sullo sfondo. E c'è, sotto sotto, anche il desiderio di espiare, rientrando in contatto col luogo in cui ha fallito come padre, e al tempo stesso rinfocolare certe speranze non del tutto abbandonate.
La storia è intricata, troppa carne al fuoco nonostante una scrittura agile, sciolta ed efficace nell' unificare i numerosi elementi in gioco. Lo scrittore svedese amplifica i fatti, ne esaspera la portata finendo con l'annoiare. C'è il desiderio di approfondire ogni angolo buio, però non tutti gli accadimenti possiedono la necessaria intensità per avvinghiare il lettore alla pagina. Niente male il quadro d'insieme con relativo disvelamento del mistero, è spesso dietro le facciate rassicuranti che si nasconde il marcio.
In questo senso rivestono ruolo fondamentale riti atavici connessi al mare, sostentamento primario -quindi quasi divino- per una piccola comunità in cui i non detti e i segreti si affastellano sino a corrompere quella pace immota.
E' quindi felice l'intuizione di unire convinzioni pagane tipicamente scandinave ad una placida quotidianità che può mutare in delirio terrorizzante. Di sicuro è riportata splendidamente la determinazione di un padre combattivo, capace di insorgere contro il destino e pronto ad affrontare qualsiasi pericolo pur di stringere nuovamente al petto l'adorata figlioletta.
La narrazione frammentaria è il maggior limite di un romanzo tutto sommato tirato per le lunghe al quale vanno concessi un paio di passaggi davvero inquietanti e un finale adrenalinico.
Discreto, anche se il Lindqvist di "Lasciami entrare" e "L'estate dei morti viventi" è altra cosa.
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Commento
Ho letto di seguito alcuni commenti sul libro in questione e volevo aggiungere una minuscola "chiarificazione". Innanzi tutto la tra puó ovviamente piacere si o no, quello fortunatamente o sfortunatamente dipende dai gusti del lettore. Il racconto può peccare magari di "originalità" anche se a mio avviso e molto meglio di tutte quelle storie horror trite e ritrite a proposito di zombie, vampiri e compagnia bella di cui a mio avviso ce ne sono a badilate.
Il libro a mio avviso è piacevole, non impegnativo ma d´altronde è pensato per un pubblico giovane e non di letterati. Il vero motivo per cui in realtà scrivo non è di certo per difendere la mia opinione o l´autore stesso ma solo per fare pensare un´attimino ai "recensori" che mi hanno preceduto su una questione:
Ho letto di sfuggita alcune opinioni che affermano "la debolezza della scrittura" e soprattutto la "stupidità dei dialoghi"
Io il libro l´ho letto esattamente come è stato scritto (in svedese), indi per cui come l´autore lo ha pensato e scritto e posso affermare che tutte ste cose nell´originale non ci sono.
Quindi invece di sparare commenti sulla base di una copia (che è quello di cui si tratta) forse prima di lamentarsi del linguaggiio dell´autore dovreste leggervelo in lingua originale.
La mia opinione non è solo rivolta a coloro che hanno commentato questo libro ma in generale a tutti quelli che si lamentano "di come un libro é stato scritto" quando li leggono una versione letta e tradotta senza passione da una persona che viene pagata per ogni parola che scrive.
Un esempio eclatante è un´altro libro di Lindqvist "l´estate dei morti viventi" che ho incontrato proprio quest´estate in Italia su uno scaffale. Anche questo libro lo lessi in lingua originale durante i miei studi di svedese per riconoscerlo dovetti leggere la trama. Infatti lo scritto originale è "Hantering av odöda" che è stato ben tradotto in inglese come "handling the undead" ma ovviamente un titolo come "trattando con i morti viventi" alla casa editrice non piaceva, quindi hanno tradotto il titolo come in un film horror di serie Z.
Ricapitolando, gradirei che tutti questi bibliofili che adorano fare commenti saccienti sulla scrittura di un libro e sull´utilizzo prolisso o meno, imparassero a leggersi i libri in lingua originale e vedrebbero che la banalità sta negli occhi di chi si accontenta :)
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se ne può fare a meno
Non me lo aspettavo così "commerciale". Quel che mi ha deluso di più è forse proprio lo stile da lettura ultra rapida. Anche se forse il vero problema all'origine di una storia così poco efficace è la debolezza dell'idea principale. Se si decide di rileggere per l'ennesima volta i vari archetipi dell'horror (vampiri, zombie, spiriti...), è proprio il caso di avere qualche solido spunto da cui partire.
Qui non c'è granché di nuovo, né nell'intreccio né nell'interpretazione da parte dell'autore che si perde per pagine e pagine tirando (molto!) in lungo quello che avrebbe potuto essere un racconto ben più breve delle 500 pagine di cui è composto.
Peccato. L'avevo preso perché mi era piaciuto molto il film di "Lasciami entrare".
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Delusione...
Dopo esser stata letteralmente ammaliata da Lasciami Entrare, quando ho visto questo titolo in libreria non ci ho pensato due volte e l'ho acquistato subito. Mi dispiace però dire che Lindqvist questa volta si è rivelato un'autentica delusione. La storia, tutto sommato, non è pensata male, e qualche intuizione abbastanza innovativa l'ha avuta anche stavolta, perciò quello che ha veramente rovinato il libro, a mio parere, è lo stile: a tratti inutilmente prolisso, con dialoghi poetici in modo ridicolo e fuori luogo, a tratti veloce e disarticolato. Certe scene, poi, sono del tutto assurde, lasciano il lettore perplesso su ciò che ha appena letto, a chiedersi che senso possano avere due fantastasmi rapiti dal mare che girano per l'isola in motorino, o un insetto schifoso e magico che non serve a niente a parte stare chiuso in una scatola di fiammiferi a nutrirsi della saliva del suo padrone (motivo per cui questo sputacchia nella scatolina tutti i dì.. ma che schifo). I personaggi, poi, non convincono per niente, e il protagonista, Anders, sembra solo un beone piagnucolone, sul tremendo dolore del quale l'autore si perde in banalissime descrizioni in stile 'precipitò in un pozzo profondo' e amenità simili. Uno spreco di soldi, in sostanza, cosa che, dati i prezzi assurdi della Marsilio, mi infastidisce non poco...