Il popolo dell'autunno Il popolo dell'autunno

Il popolo dell'autunno

Letteratura straniera

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Green Town, anonimo centro dell'Illinois. Manca una settimana alla festa di Halloween, quando la sonnacchiosa cittadina viene sconvolta da un "carnevale nero" scatenato da un circo misterioso che sembra promettere l'avverarsi di tutti i desideri e l'eterna giovinezza. Saranno due amici tredicenni, James Nightshade e William Halloway, a sconfiggere le forze del Male e a riscattare le anime dell'intera comunità. Ma impareranno fin troppo presto a fare i conti con i propri incubi. Capolavoro della moderna letteratura gotica, Il popolo dell'autunno rivela al lettore, attraverso lo sguardo libero e curioso dei bambini, tutta la maturità di uno dei massimi scrittori contemporanei di fantascienza.



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Il popolo dell'autunno 2021-05-24 09:09:41 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    24 Mag, 2021
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Un Bradbury Kinghiano

Ogni opera che leggo di Bradbury è per me un passo verso due convinzioni: numero uno, è da considerare uno dei più grandi autori moderni; numero due, il genere di romanzo non sempre ne determina il grado di altezza letteraria. Bradbury era uno scrittore in grado di spaziare in un numero impressionante di generi, e chi lo definisce scrittore di fantascienza forse non ha letto altro che “Fahrenheit 451” e forse “Cronache Marziane”, ma gli basterebbe allargare lo sguardo alla sua sconfinata produzione di racconti o anche soltanto leggere “L’estate incantata” e questo “Il popolo dell’autunno” per capire che era molto di più e che i generi non erano per lui altro che un mezzo per esprimere poesia, per sviscerare temi di grande profondità e addentrarsi nelle emozioni umane.
“Il popolo dell’autunno” può definirsi un horror-fiabesco i cui toni ricordano tantissimo le opere del primo Stephen King, che dopo questa lettura sono pronto a scommettere considerasse Bradbury come una delle sue fonti di ispirazione. Quale sarebbe la reazione di un lettore un po’ pregiudizioso, quando gli si presentasse davanti un’opera appartenente a questo genere? Affermazioni come: “roba per ragazzini che amano il brivido” sarebbero un qualcosa di tanto prevedibile quanto errato. Sebbene ci metta un po’ di tempo a ingranare, “Il popolo dell’autunno” è Bradbury allo stato puro, nella sua prosa inconfondibile e costellata di figure retoriche e accostamenti evocativi, capace di trasportare il lettore in una dimensione fiabesca e poetica. Certo, la storia che ci viene raccontata intrattiene e contiene in sé gli elementi che erano tanto cari allo scrittore stesso in ciò che leggeva e guardava al cinema, ma la sua grandezza sta nell’insinuare all’interno di queste storie che potrebbero raccontarsi intorno a un fuoco un messaggio profondo, una risposta ad alcuni interrogativi della vita quali possono essere: “che cos’è la Paura, e come la si può combattere?”, “lo scorrere del Tempo è davvero qualcosa di così inesorabile, contro il quel non possiamo opporre nulla?”. Con questa storia che ci racconta l’arrivo di un macabro luna park in una tranquilla cittadina, Bradbury prova a sviscerare queste e altre domande e lo fa nel modo più efficace possibile: con un racconto che possa avvincerci e incantarci, con un’abilità che lui e pochi altri sono riusciti a far propria. Oltre a questo, riesce a trasmettere questa poesia esprimendo un punto di vista ottimistico, mostrando una gioia per la vita che nella letteratura è rarissima soprattutto quando si intende sondare le profondità della vita stessa.
Forse “Il popolo dell’autunno” non raggiunge i picchi di bellezza de “L’estate incantata” o di alcuni racconti di “Cronache Marziane”, ma è un altro meraviglioso tassello nella produzione di questo autore che, ormai, è saldo nell’Olimpo dei miei preferiti.

“Qualche volta l’uomo che sembra il più felice del mondo, con il sorriso più ampio, è quello che porta il maggiore carico di peccato. Ci sono sorrisi e sorrisi; impara a distinguere la varietà buia da quella luminosa. Colui che abbaia come una foca, che urla le sue risate, quasi sempre sta fingendo. Se l’è spassata ed è colpevole. […] D’altra parte, quell’uomo infelice, pallido, chiuso, che sta passando, che appare tutto colpa e peccato, spesso e un brav’uomo con la B maiuscola, Will. Perché essere buoni è un impegno spaventoso; gli uomini vi si affaticano e qualche volta si schiantano. Io ne ho conosciuto qualcuno. Fai doppia fatica a essere un agricoltore che a essere il suo maiale.”

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Il popolo dell'autunno 2014-11-14 12:38:21 Donnie*Darko
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    14 Novembre, 2014
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Siore e siori venghino!

Il temporale in arrivo su Green Town, Illinois, non preannuncia nulla di buono, seppur così non dovrebbe essere considerato che il luna park con il suo carico di allegria è ormai alle porte della città. Che i nuvoloni carichi di pioggia siano presagio funesto?.
Poco importa, perché la premiata ditta Cooger & Dark promette mirabolanti attrazioni e spensieratezza a iosa, pronta a ravvivare il quieto vivere di quella sonnacchiosa cittadina di provincia almeno per qualche giorno.
Le musichette allegre, l'odore dello zucchero filato, i tendoni colorati e i freaks in bella mostra, tutto è pronto, sapientemente apparecchiato tramite manifesti ammiccanti e invogliato dai sorrisi seducenti degli imbonitori. Ma attenzione a quei sorrisi, i più attenti vedranno che dietro parvenze gioiose si nasconde qualcosa di oscuro e diabolico, l'ingannevole letizia cela affilati denti da squalo, pronti ad azzannare chiunque osi cedere alle lusinghe del pandemonio itinerante.
Del lato tenebroso si accorgono ben presto due ragazzini, Jim e Will, amici per la pelle e pronti ad inorridire dinnanzi ai disturbanti incantesimi della giostra o agli inquietanti poteri del labirinto degli specchi.
Inevitabile lo scontro modulato su un registro tra l'orrorifico ed il fiabesco, con i giovani perseguitati dai sulfurei viandanti tra i quali si staglia l'uomo Illustrato, con le migliaia di anime imprigionate per sempre sulla sua pelle in tatuaggi dal perpetuo movimento.
Il provvidenziale aiuto arriva dal padre di Will, l'entrata in scena del disilluso bibliotecario impreziosisce ulteriormente uno scritto già di pregevolissimo livello. L'uomo diventa la chiave di volta della storia: insicuro, solitario, imbarazzato per la non più giovanissima età che lo induce a credere di essere inadatto al ruolo di padre di un quasi adolescente. La sua amarezza è vibrante, quella di una figura umbratile rassegnata a pensare in negativo.
Più che un romanzo di formazione (c'è il passaggio dall'ingenuità infantile alla consapevolezza del male) una riflessione sullo scorrere del tempo che non deve essere affrontato con tristezza.
I mostri a volte si battono con un sorriso, ed affrontando l'ineluttabile con serenità si evita di uccidere quello spirito fanciullo indispensabile per continuare ad apprezzare e accogliere con gioia ciò che ci riserva ogni nuovo giorno.
Bradbury esorcizza la paura di invecchiare, eleva sopra ogni cosa un rapporto tra padre e figlio fino ad allora incompiuto, esorta ad evitare la passività e la tendenza al rimpianto.
Un grande romanzo in cui la prosa è musica soave, un fiume di poetiche allegorie per una favola horror in cui il popolo dell'autunno, subendo una beffarda pena del contrappasso, pensando di portare la morte insegna ad amare la vita.

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