Il piccolo libraio di Archangelsk
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Dolcissima tristezza
Quanta dolcissima tristezza...
Simenon è sempre un narratore speciale, capace di portarti dentro le sue atmosfere sommesse, nell'interiorità di personaggi apparentemente anonimi, dalle vite poco interessanti, ma che celano grandi profondità e compromessi esistenziali terribilmente umani.
Qui raggiunge davvero livelli altissimi.
La scomparsa di sua moglie Gina, e una piccola bugia detta in buona fede, procureranno nella vita di Jonas una crepa attraverso cui, molto lentamente, filtrerà una luce in grado di illuminare tutto quello che lui aveva preferito lasciare al buio, nascosto ai suoi occhi e soprattutto al suo cuore.
Sarà accecato da verità che aveva volutamente ignorato, cercando di dare alla sua placida e mediocre esistenza un qualche senso di essere vissuta.
Attraverso i rumori e la vita di una piazza ed un mercato, con le sue botteghe, le sue case, i cui abitanti e frequentatori tutto vedono e tutto sanno, attraverso finestre illuminate di notte, sedie piazzate sul marciapiedi, sguardi attenti e indagatori, attraverso questo microcosmo brulicante di occhi, dove il nostro uomo, di origine russa, cerca da sempre integrazione e rifugio, Simenon ci dona un ritratto impietoso di una piccola, meschina comunità di provincia, pregna di perbenismo da due soldi.
La cattiveria, il sospetto strisciante e la chiusura mentale hanno avuto il sopravvento sulla bontà di chi ha sempre accettato tutto di buon grado, di chi, sentendosi "straniero", ha sempre cercato di mantenere un profilo basso, chiudendo un occhio (e anche due) sul "caos sentimentale" di sua moglie, in nome di quella tranquillità che le aveva promesso in cambio della sua compagnia, pur soffrendo in silenzio.
Un romanzo che non riserva scossoni o grandi rivelazioni, ma che ti s'insinua dentro come una sottilissima lama affilata: all'inizio non senti nulla, nessun dolore, poi...
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Forse il miglior Simenon...
Il signor Jonas è un libraio, timido, riservato, “piccolo” come suggerisce il titolo, che vive con una giovane moglie, esuberante e irrequieta. Una moglie che un giorno, durante una delle sue scappatelle, sparisce. Da questo momento il libraio comincia a mentire ai vicini - la libreria si affaccia sulla piazza del mercato - e s’infila in una serie di contraddizioni che lo schiacceranno.
Non voglio dire altro della trama, che scorre meravigliosamente, portando fin da subito il lettore a immedesimarsi completamente col libraio, a provare la sua stessa angoscia, la sua stessa incertezza, il suo stesso imbarazzo.
È un romanzo rapido, perfetto nella sua costruzione, scritto magistralmente. Simenon non si perde in descrizioni che non siano essenziali, ma va a cogliere perfettamente le sfumature psicologiche del protagonista e dei popolani che sempre più, curiosi, iniziano a frugare nella sua vita e non lasciano scampo al mite Jonas.
Senza ombra di dubbio uno dei migliori Simenon che ho letto, forse addirittura il migliore.
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Il mio primo Simenon
“Fu un errore mentire. Se ne rese conto nel momento stesso in cui apriva bocca...”
La vicenda prende l’avvio da una menzogna, che in realtà è la diretta conseguenza di un elemento di rottura che scardina la certezza effimera del quotidiano. Tutto qui il nucleo narrativo di questo romanzo: un’idea alla base, le sue dirette conseguenze nello sviluppo successivo.
L’antieroe di turno è Jonas Milk, appassionato filatelico, ebreo di origini russe, sbattuto dagli infelici esiti della Storia del Novecento in terra francese e lì così ben integrato da essere riuscito a scampare ai rastrellamenti nazisti.
Vive in una piccola cittadina di provincia ma tutto il suo mondo gravita intorno alla piazza del mercato cui si affaccia anche la sua libreria. La sua quotidianità non gli appartiene, non vive una dimensione privata, il suo vivere è – apparentemente- all’ unisono con quello degli altri abitanti della piazza che lì vivono e lì gravitano per l’allestimento del mercato. È uno spazio aperto che si apre a infinite relazioni e la quotidianità è marcata fortemente dalle relazioni di vicinato. Tutti si conoscono: i rumori, i gesti, i movimenti sono avvertiti, avvertibili, conosciuti da tutti.
Jonas , libraio quarantenne, è elemento pacifico, perfettamente inserito, integrato in tale contesto dal quale non proviene. Paradossalmente, chi invece ne rappresenta un forte elemento di rottura è la sua giovane moglie: le è stata proposta, Gina, benché l’abbia vista bambina giocare tra le bancarelle, ragazza perdersi in condotte poco costumate, ferita dall’ amore sbagliato per un poco di buono finito in galera, sopravvivere all’ ambiente chiuso della provincia. Gina spesso evade da quel contesto e torna. Quando sparisce per l’ennesima volta, Jonas mente per giustificarla e mentre lo fa commette l’errore più grande della sua vita, già lo sa...
Il romanzo veicola un messaggio fortemente pessimista: l’uomo è capace di fare del gran male, al mondo non c’è spazio per la modestia, l’amore, la tolleranza. Tutto è retto dall'ipocrisia delle relazioni e dalla loro labilità, a niente vale la rassegnazione al proprio status, l’accettazione , la condivisione. Vince il più forte, non necessariamente un antagonista al piccolo antieroe, basta solo la perfidia insita nel gruppo che esclude un suo elemento per un qualsiasi motivo, anche il più banale, anche per niente.
Il romanzo lascia di stucco per il suo epilogo tragico, si scolpisce prepotentemente nella memoria per il suo vinto, si impossessa del lettore con la sua efficace ambientazione e invita, nel mio caso, alla scoperta dell’immensa galleria di tipi umani sfornata dall'autore, alla ricerca di smentite, conferme e in fondo di una prospettiva di lettura della vita che mi pare veramente interessante.
Lo stile asciutto, sobrio, diretto ben si sposa all'architettura della trama il cui disegno è abilmente anticipato, predisponendo il lettore all'atteggiamento attivo di ricerca, tipico del giallo, salvo poi capire che il geniale Simenon chiude le sue storie a modo suo, lasciando al lettore il tempo di sentirsi irretito, disgustato, sorpreso ma, incredibile, piacevolmente
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Fantastico Simenon
Decisamente si, Simenon continuerà a rimanere uno dei miei scrittori preferiti. Trovo infatti inarrivabile la sua capacità di dipingere, proprio come fosse un pittore, certi “quadri”: bastano poche pennellate ma l’effetto è garantito. Il modo in cui usa le parole, costruisce i periodi è un vero spettacolo, in quanto riesce sempre ad entrare in profondità nella psicologia dei personaggi che crea riuscendo ad infondere a noi lettori i sentimenti più giusti per quella situazione. In questo breve romanzo, credo che il sentimento più forte ed immediato – almeno per quanto mi riguarda- sia la sensazione di pietà ed ingiustizia nei confronti del protagonista, il libraio Jonas Milk, trapiantato nella provincia francese dopo essere fuggito in tenera età assieme alla madre dalla città di Archangelsk, in Russia, per scampare alla Rivoluzione Bolscevica. Sarà proprio questa piccola realtà di provincia, dove tutti si conoscono ed ovviamente non ci sono segreti che tengono, dove tutti si salutano ogni mattina davanti alla piazza del mercato, che riserverà al signor Jonas una brutta sorpresa. La moglie, una specie di madame Bovary perennemente inquieta e fedifraga, all’improvviso lo abbandona per sempre, sparendo con una banale scusa e portandosi dietro la sua preziosissima collezione di francobolli rari. Jonas tuttavia, anche se vittima, non fa nulla per denunciare e rendere pubblico l’accaduto. Nel nome di una sua incomprensibile responsabilità nei confronti della moglie continua a occultarne la scomparsa raccontando bugie e contraddizioni pur di coprirla, adottando un comportamento che ben presto si rivela fatale soprattutto nel momento in cui arriva la polizia per chiedere spiegazioni al marito. Come solo Simenon riesce a fare la vicenda si tinge di giallo ed in certi punti ritroviamo quelle atmosfere ed ambientazioni ben note a chi conosce il commissario Maigret, basate su interrogatori, sospetti, rivelazioni, colpi di scena.
Per associazione di idee trovo quest’opera una sorta di ibrido tra “Madame Bovary”, come già accennato prima in quanto certe dinamiche nel rapporto moglie-marito sono abbastanza simili, e “Lo straniero” perché il signor Jonas presenta tutta quella passività, quel lasciare scorrere gli eventi senza fare nulla per cambiarne il corso, che si ritrova appunto nel protagonista del libro di Camus. Con la differenza però che qua egli è considerato ed additato come colpevole anche se del tutto innocente. In realtà la vera colpa di Jonas davanti all’opinione pubblica è quella di essere uno straniero, un soggetto che nonostante i numerosi anni di permanenza non viene considerato dalla gente come del tutto integrato nel tessuto cittadino, perché in fin dei conti nessuno ha dimenticato le sue origini di ebreo russo. Jonas in sintesi è un eroe tradito ed abbandonato non tanto dalla moglie bensì da una intera comunità.
Per concludere ritengo che nonostante alcune similitudini con le opere precedentemente citate, questo libro sia da considerarsi assolutamente fantastico ed innovativo, per nulla scontato e quindi da leggere.
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Un autentico capolavoro
Jonas Milk è un piccolo commerciante di libri usati che ha il negozio, con annessa abitazione, sulla piazza del mercato di una piccola città francese. Nato ad Archangelsk in Russia, già da infante, in concomitanza con la rivoluzione, ha dovuto abbandonare il suo paese con i genitori, mentre le sorelle sono rimaste ospiti di una zia. La famigliola, approdata in Francia, riesce a rifarsi una vita, poiché il padre mette su una bottega di pescheria proprio in quella piazza del mercato. Jonas ha studiato, è istruito, ma è sempre timoroso di non apparire troppo umile e quando muoiono i genitori, non subentra nella loro attività, ma rileva un negozio di libri, conducendo una vita modesta, ma dignitosa, da scapolo, fino a quando gli viene praticamente buttata fra le braccia Gina, molto più giovane di lui, figlia di altri negozianti del Vieux Marché (così si chiama la piazza del mercato). La ragazza, esuberante e ninfomane, è nota per concedersi a tanti uomini, Jonas lo sa, ma la sposa egualmente, soprattutto per togliere il grigiore dalla sua esistenza e per cercare di proteggerla. Lui, che è riuscito a essere parte di una piccola realtà, nonostante sia di origini straniere e per di più ebreo (ma si convertirà in occasione del matrimonio, non per vocazione, in quanto non credente, ma affinchè la cerimonia di nozze avvenga in chiesa). In seguito la vita continua abbastanza nella normalità, fino a quando un giorno Gina sparisce. Jonas prova inquietudine e vergogna per essere stato lasciato dalla moglie, tanto più che ha portato con sé i francobolli più preziosi e di rilevante valore della sua collezione di filatelico. Invece di formalizzare la scomparsa con una denuncia alla polizia, quando al vecchio mercato gli chiedono dove sia Gina inventa un’innocente bugia. Dice che è andata a Bourges, ma più passano i giorni, più la gente s’informa se è ritornata, quella piccola menzogna si rivela una bomba a orologeria, poiché negli altri si insinua il sospetto che lui abbia eliminato la consorte. E così puntuale arriva la polizia e mi fermo qui con la vicenda, perché, pur limitandomi a dire che non è né un romanzo giallo, né un noir, che prevedono quanto meno la presenza di un delitto o comunque di un grave reato, lo sviluppo vi terrà incollati al libro come forse non vi è mai capitato.
Se nella prima parte Simenon ha privilegiato l’atmosfera, l’ambiente, la storia di questo Jonas, nella seconda, in un crescendo entusiasmante, ci mostra con una fine analisi psicologica, ma anche sociologica, l’inferno in cui può cadere un innocente, colpevole solo di essere uno straniero e per di più ebreo.
Non c’è però solo questo, perché piano piano si compone il ritratto di questo piccolo libraio, che ha fatto dell’umiltà il fine della sua stessa esistenza, un uomo strappato alle sue origini, senza più famiglia, che ha creduto di ritrovarne una allargata costituta dai negozianti del vecchio mercato, poi una vera e propria con il matrimonio.
Jonas è un uomo disperatamente solo che credeva di aver trovato in quella piazza la sua nuova patria, di essere diventato come loro, i negozianti, di aver raggiunto quella tranquillità che ha solo chi è parte integrante di una comunità.
E invece di colpo crolla ogni sicurezza, dalla freddezza improvvisa degli altri si passa alle accuse, a voci fatte circolare e prive di fondamento; il peggio però deve ancora venire e lo proverà quando, tramite la polizia, verrà a sapere che Gina, che lui intendeva proteggere, invece aveva paura di lui. E’, come si suol dire, il colpo di grazia e per Jonas il mondo e la vita non avranno più senso.
Che Simenon sia un grande scrittore penso non ci siano dubbi, ma in questo libro è riuscito a cogliere e a rappresentare un dramma che finisce con lo stritolare, oltre che il personaggio principale, anche il lettore. La sua disperazione diventa anche la nostra, il suo successivo disinteresse alla vita porta chi legge a un senso di angoscia, gli fa immaginare cosa gli accadrebbe se tutte le sue certezze crollassero di colpo, se improvvisamente dovessimo trovarci soli, circondati da gente che prima credevamo amica, ora divenuta ostile, se perfino in famiglia venissimo a sapere che la moglie ha recitato una parte, senza sentimenti, anzi con un livore latente.
Ho letto tanti libri di Simenon, tutti belli, ma questo ha qualche cosa di più, ha le caratteristiche del grande capolavoro.
Non mi pare che sia necessario aggiungere altro.
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Il sentimento degli altri
Il signor Jonas è il libraio della piazza del Vieux-Marché, metodico e sistematico, quale può essere un libraio e, soprattutto, un filatelico. Egli vive una tranquilla e dignitosa esistenza, a fianco della giovane ed irrequieta moglie Gina, dall’incedere ancheggiante e soffuso di caldo afrore ascellare. Un giorno Gina sparisce, forse una delle sue solite scappatelle, tanto che il marito non si agita più di tanto, ma per salvare le malconce apparenze comincia a mentire al vicinato dicendo che la consorte è in viaggio nella città vicina per visitare una amica della quale si sa essere dai facili costumi, un po’ come Gina, ma in questo caso estranea alla sparizione. Sconcertato, il libraio, scopre che la moglie è partita senza bagagli ma senza dimenticare di portare con sé i pezzi più rari della collezione di francobolli, dall’elevato valore ma assolutamente intraducibili nell’immediato in danaro contante. Col passare dei giorni e col prolungarsi dell’assenza della donna il sentire comune del popolino del Vieux-Marché comincia a mutare sino a sfociare in un vero e proprio odio verso il piccolo ed innocente libraio, il quale si sente lentamente ma inesorabilmente escludere da quello che è stato sino quel dì il suo microcosmo. Ambiente dal quale non si è mai voluto staccare, considerandosi parte di quella variegata società che aveva accolto la sua famiglia esule dalla Russia in rivolta. Il signor Jonas nelle angoscianti ore dell’assenza di Gina rivive la sua esistenza, soffermandosi sul matrimonio con la donna, già additata dai più come “leggera” ma sposata forse proprio per porla al riparo dalle maldicenze e per tentare di aiutarla. Col matrimonio l’uomo rammenta di come, quasi in segreto, ha abbandonato la religione ebraica per diventare cristiano, per essere ancor più intimamente parte di quel nucleo nel quale la sua esistenza si è inserita. L’unico legame che serba con la Russia è un album di francobolli, sterile sostituto del più tradizionale album di fotografie. Jonas sente di essere parte integrante della vita della piazza del mercato ove la sua bottega affaccia, accanto al caffé e agli altri negozi. Quel che non sospetta il nostro protagonista è che la sparizione di Gina rimetterà in moto l’odio sordo e cieco che le folle hanno verso il diverso, l’estraneo, l’alieno. Nelle ore che si susseguono, nella mancanza della consorte, Jonas si sente catapultato fuori dalla società di cui era convinto di essere parte, il suo essere Russo, ebreo, colto diventano improvvisamente fardelli dal quale è impossibile liberarsi e che lo porteranno sempre più a fondo. Paradossalmente Jonas verrà giudicato aspramente per il suo non voler giudicare, per il cercare di capire, per la sua diversità di vedute resterà schiacciato proprio sotto quel che lui non vuole fare od essere. Sarà banale definire perfetto un romanzo di un grande scrittore come Simenon, ampiamente riconosciuto da chiunque come grande romanziere? Io lo dico, sottovoce, per sottolineare la perfezione della costruzione del romanzo, che sembra quasi matematico, dalle proporzioni esatte, nella lunghezza, nella divisione tra le varie parti, nelle descrizioni. La trama è assolutamente geniale, riesce a portare alla luce sentimenti comuni e che purtroppo capita sovente di vedere da una angolazione originale. La narrazione inizia in modo quasi lento, regolare, e a qualche diecina di pagine dall’inizio al lettore sembra che il romanzo si sia esaurito, è a quel punto che iniziano le sorprese, la scrittura accelera, comincia a modificare la sua struttura, dopo il viaggio in Russia con la famiglia di Jonas, l’atmosfera cambia. Pagine che sembravano di quieta attesa diventano più minacciose, l’atmosfera diventa cupa, la scrittura si fa più tesa, la tranquilla meticolosità del protagonista pare a tratti rasentare la follia; la linea di demarcazione che separava buoni e cattivi, verità e menzogna, sospetti e certezze si va scolorando, sparisce alla vista del lettore e del protagonista, giungendo ad un parossismo di tensione e sospetto che mi ha ricordato certi film di Hitchcock. Il linguaggio rispecchia fedelmente quel che doveva essere la conversazione nelle cittadine francesi dell’epoca, siamo nel 1956, laddove salutare una persona aggiungendo o meno il cognome faceva una grande differenza; Jonas capisce di essere perduto agli occhi della società quando viene salutato con un semplice “Buongiorno” anziché l’abituale “Buongiorno signor Jonas” simbolo di rispetto e di appartenenza, ed il protagonista più di ogni altra cosa sente la mancanza di quel “signor Jonas” attestato di cittadinanza al Vieux-Marché. Il romanzo scorre veloce nella brevità delle sue 172 pagine ottimamente tradotte, con ritmi quasi da cronaca giornalistica, sebbene siano presenti tutti gli elementi che danno grazia ed eleganza ad un bel romanzo; tuttavia l’assoluta mancanza di ironia o di alleggerimenti dai fatti suscita nel lettore un senso di grande serietà, a volte quasi di cupa oppressione, dimostrando la maestria di Simenon nel creare un romanzo anche con le impressioni che riesce a trasmettere tra le righe, anche con il non espressamente detto. Il senso crescente di cupezza claustrofobica rispecchia nel lettore quel che è il sentire del protagonista.
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Quando, dove è la casa?
Il romanzo breve e ferocemente illuminante che simenon diede alle stampe durante il 1956, narra la vicenda ("autoreferenziale, straziante epopea del quotidiano", diceva Parise,) di un uomo la cui patria è se medesimo e non altra:
"Non solo si sentiva a disagio in casa sua , ma si sentiva a disagio nella sua pelle"
Come accade per molte altre figure dei romanzi di Simenon - e penso in particolare a Mister Hire- anche in questo caso leggiamo dell' esistenza pacifica e comune di un individuo il cui equilibrio dentro il sociale si regge su coordinate fragili, su convinzioni che puntualmente diventano una gabbia. Le donne scritte da Simenon non sono quasi mai figure positive.
Le donne servono a riordinare la casa , a mantenerla decorosa, a cucinare, a fare compagnia. non sono, bensì rappresentano.
Il protagonista del romanzo, Jonas, propone il matrimonio a Gina, una ragazza del luogo, una bella ragazza le cui forme descritte suggeriscono seduzione, carnalità, una prorompente vitalità sessuale -e nel novero è coinvolto anche il "caldo odore di ascelle" che in un certo senso sottolinea il personaggio di Gina come animale. Gina, tutti ne sono al corrente, molti ne hanno aprofittato, è una ragazza di facili costumi. Nonostante questo, o proprio a causa di questo, Jonas la chiede in moglie. Non è la passione il motivo che lo spinge a questo; o perlomeno, dichiaratamente, lui intende darle una tranquillità.
Gina accetta e la vediamo sempre più annoiata, trascurare i doveri domestici. L'immagine, anche olfattiva, di una padella non lavata ci accompagnerà per parte della narrazione diventando un motivo fondante.
Gina è una porta: se dapprima è l' elemento che lega Jonas alla società, è sempre Gina che in un cambio repentino di gioco, procura l' esilio del sociale a Jonas.
Un giorno la donna esce di casa e non vi fa ritorno. Nessuno sa dove sia andata, e Jonas dice di volerla "proteggere" dando anche a se stesso tante motivazioni. Naturalmente, la gente preferisce pensare che sia stato lui a farla sparire, per vendicarsi del comportamento di Gina. A Jonas viene rubato molto di ciò che crede di avere, identità compresa.
Gina stessa se ne va portandogli via alcuni francobolli la cui preziosità non sta nell' ufficialità e nelle carte ma in un lento e lungo lavoro di scelta. Jonas vede le cose che agli altri sfuggono, per disamore, per abitudine, per quel fiume di superficialità e fretta che porta il "valore" ad essere legato e demandato alla cifra del denaro e delle carte della burocrazia, del dogma. Sappiamo bene che è più facile seguire una regola imposta che costruire una verità. E dunque appare evidente come chiacchiera e verità siano separate da un filo sottile. Cominciano i sospetti, un poco alla volta. Un poco alla volta, la gente del luogo comincia a trattare Jonas con distanza, il dubbio e la condanna si sono già insinuati nella fragilità dei rapporti che fingono d' essere di buon vicinato.
" No, non aveva più niente da fare da nessuna parte. Non lo avevano capito, oppure era stato lui che non aveva capito gli altri, e ormai non c' era più verso di chiarire l' equivoco"
E così:
"Fu tentato, per un istante, di lasciare una lettera di spiegazione, ma era un' estrema vanità di cui ebbe vergogna e vi rinunciò"
La gentilezza di Jonas è infine rassegnazione. Quasi un martire, potremmo pensare: Il sacrificio che l' individuo compie per affermare la propria verità, la propria identità, nel non arrecare disturbo agli altri, è quasi imbarazzante nella sua pretesa di purezza. Ricordiamo che secondo Platone, l' uomo meno scaltro e definito è colui che vuole sempre andare d' accordo con tutti.
Ma Jonas (e pensiamo a Giona nel ventre della balena,) è grato alla gente, si sente onorato del saluto; si illude che sia un saluto affettuoso e gode nel venire riconosciuto. C'è in lui una amichevole mancanza di fretta e la conseguente illusione che la spiegazione dei "fatti" permetterà il ritorno all' equilibrio precedente la sparizione di Gina.
Nessuno dichiara apertamente che lui sia il responsabile e il colpevole ma tutti alludono e ammiccano sgradevolmente a quei "fatti" che altro non sono che il diritto di dire qualcosa rimanendo distaccati e sordi all' indiscrezione delle domande tanto spesso più simili a interrogatori.
Nelle ultime pagine del romanzo, l' intervento di una figura di donna, illude anche noi lettori, per un attimo (noi lettori, noi spie, noi che crediamo di sapere come sono andate veramente le cose, essendo stati messi in condizione di poter guardare l' anima di jonas) che la vicenda potrà avere un finale positivo in cui tutto sarà finalmente spiegato e la figura di Jonas riabilitata agli occhi del mondo. Questo improvviso personaggio dichiara di conoscere dove Gina si trovi e:
"Jonas ringraziò ancora e, una volta rimasto solo, si sentì più disorientato che mai, come capita ai detenuti quando, riaquistata la libertà dopo anni, non sanno che farsene"
Per un istante, come la scia di un boomerang che non colpisce il bersaglio, noi aneliamo un finale che renda giustizia al piccolo libraio; ma è solo un attimo, la brevità di una immagine urbana e famigliare o che tale avremmo voluto fosse.
Il finale è angosciante e al contempo ovvio: se Jonas andasse alla polizia, resterebbe comunque il fatto che nessuno ha pensato nè creduto alla sua innocenza. Non la donna che gli rivela dove si trova Gina, poichè non conosciamo il suo movente, in realtà.
Nè i vicini di casa, coloro che prima lo salutano cordialmente poi sembrano evitarlo dichiarandone "strano" il comportamento.
Jonas comprende in un attimo che nessuno l' ha accettato; lui è un estraneo, anzi, lui è estraneo ai meccanismi dell' ipocrisia, del tacito consenso che domina il sociale. La sua purezza, la sua coscienza, il suo non saper venire a patti e accettare di fare un po schifo come gli altri, lo portano, infine, alla stessa ventura definitiva, la stessa che vive Mister Hire ne "Lo strano caso di Mr Hire". Le ultime frasi del romanzo:
"Mr Basquin non rispose subito, perchè aveva appena visto il piccolo libraio di Archangelsk appeso al ramo del tiglio che sporgeva nel suo cortile (...) Un merlo, sbucato dall' interno della casa, si affacciò sulla porta e volò sulla cima del tiglio, dove aveva il nido"
(recensione pubblicata durante l' autunno 2008 sulla rivista online "Spigolature")
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Il signor Hire, Simenon
Delitto e castigo, Dostoevskji
Madame Bovary, Flaubert