Il pensionante
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Recensione della Redazione QLibri
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Noir d'Autore
Bruxelles. Un giovane squattrinato e una donna, un'entraineuse vestita da gran dama, sono in una stanza d'albergo. In quella attigua c'è un ricco uomo d'affari, con una valigia piena di banconote, diretto alla stazione.
Così inizia la vicenda di questo ennesimo libro di Simenon che, oltre ad essere il padre di una notissima produzione seriale, ha scritto anche molti altri testi, spesso con talento.
L'autore è qui ai vertici delle sue capacità, quasi a livello dei suoi capolavori "Il Presidente" e "L'orologiaio di Everton".
La struttura del romanzo è collaudatissima : tutto trova il proprio incastro e non c'è nulla di superfluo.
La prosa,asciutta ed efficace, si caratterizza per il notevole grado di leggibilità. La tensione è continua. C'è un delitto che porta già con sé il suo castigo; poi una pensione a conduzione familiare con alcuni personaggi appena tratteggiati e contornati di silenzio, qualcuno invece non facilmente dimenticabile, quasi epico.
Spesso sono gli stessi semplici gesti quotidiani a comporre il filo inquietante che percorre ogni pagina, ogni riga. A volte l'atmosfera di un evento viene invece anticipata con una frase ad effetto. "Quel che accadde dopo fu dirompente come un colpo di pistola esploso in mezzo alla folla".
Se qualcuno avesse in mente "Delitto e castigo" di Dostoevskij, il confronto sarebbe a tutto svantaggio di Simenon, perché qui è proprio l'approfondimento psicologico-esistenziale a mostrare carenze. Non che manchi totalmente: ci sono gesti o sguardi rivelatori, ma tutto risulta circoscritto; lo scavo interiore non fa parte di questo orizzonte.
Borges diceva che " la letteratura consiste, non nello scrivere esattamente quello che ci si propone, ma nello scrivere in modo misterioso e profetico qualcosa che va oltre quello che ci si era proposti ". Non possiamo dire che ciò sia avvenuto.
Per gli amanti del genere giallo/noir, penso però che questo libro sia veramente imperdibile.
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L’apatia dell’omicida
Elie Nagear, un trentacinquenne di origine turca, arriva a Bruxelles con la speranza di far fortuna, ma gli affari non vanno bene. E’ accompagnato da Sylvie, che fa l’entraineuse, ma fra i due non c’è amore, solo tolleranza. Bisognoso di denaro, nel corso di un viaggio notturno in treno da Bruxelles a Parigi uccide barbaramente un olandese, derubandolo di una ingente somma in franchi francesi. Per mettersi al sicuro, accetta il consiglio di Sylvie e si nasconde in una pensioncina familiare di Charleroi, gestita dalla madre della donna.
Questo, in breve, è l’antefatto, necessario per costituire il presupposto indispensabile per narrare una storia in cui il protagonista non è solo Elie, ma anche la variegata e variopinta umanità che popola la pensioncina di Charleroi, un rifugio a tutti gli effetti, dove il giovane turco, per sua natura apatico, si crogiola nel calore della stufa, mentre fuori si gela e il paesaggio è monotonamente rappresentato dall’alternarsi del bianco del ghiaccio con il nero della polvere di carbone. In questa tana, perché in effetti di tana si tratta, Elie, la belva, che ha ucciso con freddezza e che non avverte sensi di colpa, si accorgerà ben presto di non essere così al sicuro come crede e spera; intorno a lui il cerchio si stringe e non basterà l’affetto quasi materno che gli mostra la madre di Sylvie per salvarlo dalla giusta punizione. Del resto l’apatia che lo caratterizza, quel lasciarsi trasportare dal vento della vita gli impediranno perfino di trovare soluzioni alternative, di cercare di sfuggire alla cattura. Ma anche gli altri personaggi, i pensionanti così ben descritti da Simenon, sembrano presenze che solo si sfiorano, sanno che il ragazzo si è macchiato di un orrendo delitto, ma continuano nella solita monotona vita quotidiana come se nulla fosse. Questo fa pensare che lo scrittore belga con questo suo romanzo intendesse stilare un preciso atto di accusa verso una società anonima, dominata dall’indifferenza, e forse è anche così, soprattutto se guardiamo ai nostri tempi dove questo disinteresse per ciò e per chi ci circonda è forse il peggiore dei nostri difetti. Come ho prima accennato l’unica che si dimostra interessata alla sofferenze esistenziale di Elie è la signora Baron, la madre di Sylvie, che è attratta dai racconti di un mondo lontano, quello turco, fatti dal ragazzo, unica possibilità di evasione dal grigiore opprimente di una vita sempre rinchiusa fra quattro mura e testimonierà, a sorpresa, questa specie d’affetto in un finale in cui emergono le grandi capacità descrittive di Simenon.
La trama è quella del noir, ma lo svolgimento rappresenta un tentativo di Simenon, in larga parte riuscito, di cimentarsi non esclusivamente come scrittore di genere e Il pensionante è un po’ il romanzo d’esordio di un autore che non si accontentava più di scrivere di Maigret, che desiderava fare un salto di qualità, lasciando un segno indelebile in campo letterario. Non era ancora il tempo per grandi opere come I fantasmi del Cappellaio o Il Presidente, tanto per citarne solo alcune, ma già si nota che l’autore è sulla buona strada, che quella capacità incredibile di sondare l’animo umano qui c’è, anche se è solo in nuce. Per concludere sono dell’idea che la lettura di questo romanzo sia senz’altro consigliabile e che anzi rappresenti il presupposto indispensabile per poter passare in seguito alle grandi opere di Georges Simenon.