Il paese dell'alcol
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Recensione della Redazione QLibri
Cameriere, per me acqua ed erba
Ding Gou’er e’ stato incaricato di indagare su un presunto reato al limite del verosimile. Pare infatti che a Jiuguo, il Paese dell’Alcol, alti funzionari si nutrano di rinomati banchetti a base di carne tenerissima . Carne di bambino.
Osceno, inenarrabile penseranno gli oppositori a tale pratica. I sostenitori, per contro, troveranno una spiegazione molto semplice : se il genitore procrea col solo intento di vendere la creatura a fini alimentari, senza considerare il pargolo quale progenie ma semplicemente un prodotto, che differenza fa allevare e mangiare un pulcino, un agnello, un cagnolino, un bambino ? L’elemento privato di soggettivita’ resta soltanto cibo. Cibo tenero.
Voci di delirio, chi venderebbe un figlio ? E se quel croccante bimbetto dorato servito a centro tavola fosse semplicemente il risultato di una raffinata cucina artistica, dove le piccole braccia sono rape, la materia rossastra succo di anguria ?
Quando sfoglio un Mo Yan sono sempre pronta ad ogni crudelta’ perche’ il suo realismo non conosce filtro ma, benche’ non sia facile, ho sempre concluso soddisfatta i suoi romanzi. In questo caso il realismo allucinatorio con cui si motivo’ il Nobel e’ riscontrabile nella sua peggiore accezione.
Allucinazione che percuote il sognatore per una notte intera, dopo un banchetto bulimico a base di ettolitri di sostanze etiliche. Le pagine piu’ cruente riguardano piu’ gli animali che i bambini , eppure anche laddove tratteggia Mo Yan sa essere di una potenza destabilizzante tanto fastidioso e’ l’argomento.
Con l’intento di criticare la societa’ cinese, cosi’ mirata al potere ed al business da banalizzare ogni forma di etica, il romanzo puo’ condurre a una serie di riflessioni a seconda della ricettivita’ del lettore che nel mio caso e’ stata prevalentemente orientata sulla difensiva, quindi poco redditizia.
L’autore coniuga realta’ e finzione in un gioco di specchi dove nulla e’ certo o scontato, inframezzando i capitoli con inserti di lettere e racconti inviati da un dottorando, il cui contenuto rimanda al testo principale.
Buona la penna, chi sa scrivere sa scrivere, ma la lettura mi e’ stata di una difficolta’ e di un malessere inauditi. Se la fantasia letteraria di Mo Yan conduce al coma etilico i suoi figli e si nutre de i suoi neonati, io auguro un buon pasto per educazione e mi inabisso in fretta sconsigliando di buon grado questo libro inquietante .
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La perdita di ogni ritegno
"Ecco il piatto più famoso della nostra città: Il bambino dono dell’unicorno. Lo serviamo agli ospiti stranieri per lasciare loro un ricordo indimenticabile e riceverne l’apprezzamento. Con questa pietanza abbiamo fatto guadagnare alla nazione preziosa valuta straniera. Lo serviamo agli ospiti di particolare riguardo e voi siete uno di questi". Come reagireste se, attendendo la portata principale di un pranzo che si preannuncia luculliano, vi vedeste servire a tavola un bambino? È mai possibile, nel ventesimo secolo e in un paese progredito come la Cina, che si pratichi ancora il cannibalismo? Esistono davvero genitori pronti a mettere al mondo figli con l'unico intento di farli crescere quel tanto che basta a rivenderli come agnelli o vitellini al mercato della carne? Nella Cina ancora scossa dai fatti di piazza Tienanmen, si vocifera che, dalle parti di Jiuguo, in una zona famosa per la distillazione tanto da passare sotto il nome di "paese dell'alcol", si serva sulle tavole più importanti succulenta carne di cucciolo d'uomo cucinata con la sapienza, l'estro e la maestria degli chef più rinomati. Un delitto che non è neanche possibile pensare di poter tollerare. Dalle più alte sfere del partito arriva quindi l'ordine di mandare qualcuno ad indagare, per mettere fine ad un simile scempio. Per una indagine così importante non si può non affidarsi al miglior investigatore della Procura suprema: Ding Gou’er. Lo sbirro si reca sul posto con il preciso intento di farla pagare cara ai terribili orchi. "Tremate, delinquenti e mostri disumani e voi giusti e onesti rallegratevi e applaudite al mio sparo! La giustizia trionfa! Viva la verità, viva il popolo, viva la Repubblica! Un evviva ai nostri preziosi figli, ai maschietti e alle femminucce, alle madri dei maschietti e delle femminucce! E un Evviva anche a me stesso! Viva, viva, viva!" L'indagine tuttavia prende subito una brutta piega e il nostro protagonista si troverà presto impantanato in un turbine di alcol, sesso, loschi affari. Esplicito esempio di quel "realismo allucinato" che tanto ha reso celebre l'autore portandolo fino al premio Nobel, questo libro di Mo Yan si prefigge il chiaro intento di mettere alla berlina, attraverso metafore, similitudini, non troppo velati riferimenti, una società cinese in cui la corruzione, il degrado morale, la sete di denaro e di potere, acquistano un ruolo sempre più rilevante. Il progresso, il benessere, la competizione, portano l'uomo ad avere bisogni sempre maggiori, per soddisfare i quali non bada a sacrificare i suoi simili, arrivando perfino a trasformare i suoi stessi figli in carne da macello. La satira dell'autore si muove in un continuo alternarsi di realtà e di finzione, di atmosfere a tinte forti e situazioni ai limiti della comicità, di momenti di grande tensione e altri di stasi emotiva, costringendo il lettore a tenere alta l'attenzione e a chiedersi di continuo qual è il vero messaggio di ciò che sta leggendo. Personaggi di ogni risma compaiono e scompaiono alternandosi, confondendosi, scontrandosi. Dal dirigente corrotto alla sexy camionista, dal nano ninfomane al dottorando di ricerca sull'alcol, dal bambino ricoperto di squame allo stesso Mo Yan che, ad un certo punto, ritroviamo dall'altra parte della penna a barcamenarsi anch'egli, come i personaggi da lui creati, in questa rocambolesca avventura in cui a farla da padrone è l'alcol con i suoi sapori, i suoi profumi, la sua storia, i suoi spesso incontrollabili e imprevedibili effetti. "Ma io sono un dottorando di ricerca sull'alcol e passo il mio tempo a esaminare i liquori, a sentirne l'aroma e a berne. Io e l'alcol ci abbracciamo, ci stringiamo e ci strofiniamo tutto il tempo: perfino l'aria che respiro è impegnata di alcol. Mi sono immedesimato nello stile e nel carattere dell'alcol. Quando si parla di nutrimento spirituale, e ci si domanda cos'è, eccolo spiegato. L'alcol ha nutrito e impregnato il mio spirito, e io non riesco più a conformarmi alle regole. Perché il tratto distintivo dell'alcol è la dissolutezza: si dà libero corso alle parole, perdendo ogni ritegno".
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Orrore del vero e del presunto....
Trovo obiettivamente complicato costruire una recensione esauriente perché' l' argomento trattato e' complesso, scabroso, ( si parla di cannibalismo ), la trama intricata, sconnessa, vi sono più' storie reali ed immaginifiche ed innumerevoli protagonisti che si intersecano e si avvicendano, oltre che diversi piani di lettura, e l'autore stesso diviene soggetto ed oggetto all' interno del racconto da lui creato.
Per questo vorrei anticipare l' epilogo recensivo chiarendo che il romanzo, pubblicato più' di venti anni fa, e solo oggi tradotto in Italia, e' una cruda ed iper- realistica costruzione estremizzata, macabra, paradossale, d' orrore vestita, oltre ogni logica ed umano sentire, di quello stesso autore che successivamente sara' premiato con il Nobel e lodato per un filone letterario ed espressivo, il realismo allucinatorio, che lo consegnera' a meritata gloria letteraria.
Qui si va oltre, ed è' questo il motivo per cui si deve guardare non solo alla semplice trama, ma individuare una chiave di lettura ed approfondire un testo che è' palesemente una miscellanea di allegorie, metafore, che si serve di un linguaggio volutamente crudo e crudele, oltrepassando una decenza di forma e di contenuti e perciò' unico e credibile, anche se eccessivo in ogni esternazione descrittiva e di trama.
È' un romanzo sicuramente originale, ma difficile da definire e collocare, se non con un occhio alla scrittura ed ai significati nascosti e trasversali abbandonando la linearità' della storia, che sarebbe fuorviante, piuttosto monocorde e a rischio monotonia.
Il racconto vede l' ispettore Din Gou'er indagare su un presunto traffico di neonati, la cui carne pare venga offerta come prelibata pietanza a selezionati clienti da alcuni ristoranti nella provincia di Jiuguo.
Durante il suo viaggio investigativo sarà' invitato in banchetti a base di alcool, a sua volta sperimentera' l' orrido cannibalismo, o presunto tale, o forse è' solo una credenza, e si imbatterà' in molteplici personaggi sui generis, farseschi, abominevoli, intriganti quanto manipolatori, malfamati, traditori, fiabeschi.
Contemporaneamente tra le pieghe del romanzo si narra il rapporto tra Mo yan e Li Yidou, dottorando in distillazione di alcolici ma aspirante scrittore, che invia all' autore vari racconti da lui scritti ciascuno con diverso stile e contenuto, e per finire vi è' un racconto dello stesso Mo Yan, che riassume e chiarisce la trama, oltre che diventare lui stesso soggetto narrativo.
La trama finisce per essere una intricata storia nella storia, con protagonisti e spettatori vicendevoli, scambi di ruoli, un alternarsi di realtà' e fantasia, orrore e giuoco di specchi, verità' ed apparenza, un susseguirsi isterico di assurde vicende ed inspiegabili crudelta', possibili ma improbabili.
Non abbiamo certezze evidenti, verità' e menzogna si mescolano di continuo, cosi' come ci ricorda l' autore.
Personalmente ho apprezzato maggiormente altri romanzi di Mo Yan, più' corali, meno eclatanti, con una migliore poetica descrittiva insieme ad una definizione più' completa di trama e personaggi.
Questo testo è' stato considerato come denuncia di una realtà' cinese fuorviata e paradossale, di un mondo al contrario, edonistico e capitalistico oltre che distopico, certamente ne esce una narrazione dai caratteri forti, una scrittura in cui l' autore e' sì' riconoscibile, ma ancora in un periodo di auto-definizione e sperimentazione, non ancora all' apice di espressione e produzione letteraria degli anni a seguire.
La lettura è' consigliata per lo stile narrativo, riconoscibile, non altrettanto per contenuti e piacevolezza d' insieme, tenendo presente le difficolta' d' uso ed il pericolo di perdersi tra vero e presunto senza ritrovare una via di ritorno.
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