Il morbo di Haggard
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Da quando c’è Spike
Il morbo di Haggard è un’opera nella quale ricorrono temi e ambienti cari a Patrick MacGrath: l’ossessione amorosa che sfocia nella mania, l’ambiguità sentimentale, l’ambientazione clinica e la spiritualità migrante si mescolano nella figura del medico Haggard, che si strugge d’amore per Fanny e, quando l’amante muore, trasferisce le sue attenzioni sul figlio della defunta: James, pilota di Spitfire in tempo di guerra contra la Germania nazista.
La treccia del romanzo viene imbastita con tre fili narrativi: l’ambientazione gotica in una villa (“Elgin sembrava ancora più grigia del solito… sottile e aguzza, tutta spigoli e sporgenze, tutta punte e angoli”) a strapiombo sul mare in tempesta (“Eravamo in cima alla scogliera, esposti agli elementi, e ricordo quanto la notte mi inebriassero gli ululati e i lamenti, gli improvvisi schianti, fragorosi e inspiegabili, e le possenti folate che facevano tremare le finestre e fischiavano giù per i camini…”); l’essenza di un dolore fisico (la zoppia di Haggard è personificata da una presenza costante “da quando c’è Spike” ) e psicologico, che neppure la morfina riesce a sedare; l’indulgenza al raccapriccio (“La tua presenza, ricordo, a volte mi sembrava un misterioso sussurro di negromanzia, come se in qualche modo infondesse spirito in un cadavere”) con venature accennate di necrofilia (“Sento l’umore dolce e fresco, la lingua ancora viva…”). Anche le circostanze e i particolari sono elegantemente macabri: Haggard conosce colei che diverrà la sua amante a un funerale e vede per la prima volta il figlio James al funerale di Fanny; per l’anniversario Fanny regala al giovane medico uno strano talismano: “Un pezzo di vetro dal fondo piatto, con una mosca dentro”.
Il sogno di prolungare l’amore spostando l’oggetto del desiderio dalla madre al figlio – oltre che il luogo da Jubilee Road a Elgin -incontra non poche difficoltà (“Non avrei potuto descriverti l’aspetto sessuale del nostro amore”) tra ambizioni mediche frustrate, deliri da morfinomane, ambivalenza di prospettiva: James patisce davvero un disturbo endocrino o non è piuttosto il dottor Haggard il vero malato? E se James è veramente androgino, cosa dobbiamo pensare di Haggard, che si aggira nel finale del romanzo indossando la pelliccia di Fanny?
Giudizio finale: ambivalente o addirittura trivalente come una vaccinazione, negromantico, lovercraftiano.
Bruno Elpis
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Forse
Scritto nel 1993,"Il morbo di Haggard",precede di tre anni la pubblicazione di "Follia" e,tutti e due i romanzi raccontano "storie d'amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale"(1).
Nel primo di questi due scritti,la dimestichezza dell'autore con la scienza medica,gli permette di indagare su una ipotetica disfunzione neuroghiandolare della quale FORSE è affetto James Waughan.
Costui è figlio dell'amante ormai deceduta del dottor Haggard,voce narrante del romanzo.
A causa di questo raro disordine endocrino (sindrome di Frohlich),il giovane James mostrerebbe agli occhi del medico,vari caratteri di femminilismo.
Abbiamo detto FORSE,perchè l'autore è molto abile a confondere le carte,facendo intravvedere nel corso della narrazione le più disparate ipotesi.
Prima di tutto c'è il diniego dell'interessato che "con un lampo di rabbia negli occhi" dice "Senta ,dottore, non parliamone più,d'accordo? Io sto benissimo,ha capito?" (2).Poi c'è l'ambiguità del dottore stesso che,per esempio,viene accusato di comportarsi "come una scolaretta" da una sua paziente e,viene deriso dagli amici del giovane che "shignazzano" quando uno di questi "tutto una mossetta" gli chiede con "un ammicco":"Le andrebbe di visitarmi dottore" (3).
Infine le ultime pagine di questa morbosa storia ,vedono Haggard circolare ovunque con una pelliccia nera di foggia femminile,simile ad una appartenuta alla sua amante morta.
Altra ipotesi suggerita è quella della trasfigurazione della madre nel figlio,anzi "nel passaggio del suo spirito nel suo corpo"(4),medita il medico in una notte insonne.Ma già al mattino quella eventualità è scartata da un'altra convinzione:"...più facile che si trattasse di immaginazione morbosa,ossessioni erotiche aggravate dalla morfina(di cui egli fa uso)".(5).
Un'altra caratteristica di questa storia maledetta che mi ha colpito,è la capacità dell'autore di fare corrispondere il mondo esterno con il mondo interiore, descrivendo diverse situazioni in cui il mare, la pioggia,il vento,gli scorci urbani,i sentimenti,le passioni e le allucinazioni si fondono in altrettanti paesaggi interiori ed esteriori ad un tempo.
Mi ha convinto meno il metodo narrativo,caratterizzato da una forma di colloquio alquanto improbabile, fra uno (il dottore) che parla sempre e un'altro (il giovane) che ascolta solo, dando oltretutto al lettore la spiacevole sensazione di chi vi assiste senza essere stato espressamente invitato a farlo.
(1)- Citazione da "Follia"
(2,3,4,5)- Citazioni da "Il morbo di Haggard"
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PATHOS E LOGOS
Siamo nel 1937, Inghilterra. Agli albori di una guerra , di cui inizialmente si scorge solo un lieve sentore tra le righe dei giornali e che poi lentamente si insinua nella quotidianita’ fino a coprire i cieli della Manica con flotte di aerei dell’armata di Hitler.
Un piccolo paese, un’ambientazione idilliaca, attraverso un fitto velo di pioggia profumata di mare scorgiamo una vecchia grande casa, i muri scrostati dalla salsedine , un giardino incolto, erba alta e sentore di abbandono, vitale, romantica la casa svetta solida a trenta metri da una scogliera a picco su un mare nero di tempesta. Una ripida scaletta con un centinaio di gradini che porta ad una spiaggia isolata popolata dai soli gabbiani.
Elgin. Questo il nome di un luogo la cui presenza passiva ci accompagnera’ in tutto il romanzo.
Un medico dalla camminata zoppicante viene avvertito di una visita.
Un giovane pilota vorrebbe parlargli. “ Penso che lei abbia conosciuto mia madre.”
Cosi’ inizia questo racconto di McGrath, dove un uomo e un ragazzo uniti dall’amore per una donna, amante dell’uno, madre dell’altro, gettano le basi per liberare la memoria del dottor Haggard e ripercorrere quello che fu una rovente passione, un folle amore impossibile.
Reputo Mc Grath un abile drammaturgo, riesce a dare un senso ovattato di disperazione anche in questo scritto, sembra distante, assopito il protagonista mentre racconta, quasi il dolore fosse ormai un elemento somatizzato,quotidiano, saldamente assestato , cagionevole in un doloroso abbandono alla realta’ immutabile.
Un grande amore disperato, feroce, fugace, urlante.
Poi il dolore fisico, che Haggard si porta addosso giorno dopo giorno, quasi fosse ammenda da pagare per non dimenticare i dolori del cuore. Una malattia che lo rende dipendente dalla morfina.
C’e’ qualcosa di folle anche in questo romanzo. Sottilmente folle.
Come un morbo senza nome , che impregna l’aria . E che impregna la mente di Haggard.
Buona lettura.
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L'amore è sofferenza
Della serie “anche l’influenza ha i suoi lati positivi perché ti regala molto tempo libero”, sono qua a recensire quest’opera di McGrath appena letta, per la precisione la mia seconda dopo Follia. A mio parere questo è un romanzo di livello inferiore rispetto a Follia, ma vi si ritrovano tutti gli elementi psicologici che caratterizzano lo stile dello scrittore.
Sullo sfondo di un importante avvenimento storico quale lo scoppio della seconda guerra mondiale, viene narrata la storia di un amore “proibito e segreto” vissuto tra un medico, il dottor Haggard, e Fanny, la moglie di un collega anatomopatologo che lavora nello stesso ospedale. Esattamente come in Follia l’amore tra i due è vissuto con grande passione anche se clandestinamente ed in maniera molto tormentata, fino al tragico epilogo finale (forse evitabile, come lascia intuire il protagonista nel narrare la vicenda).
A mischiare le carte i tavola su questa intricata situazione, compare fin dalle prime pagine del libro, il figlio di Fanny, arruolato come aviatore nella RAF allo scoppio della guerra e coinvolto nella battaglia d’Inghilterra contro la Germania nazista. E’ proprio grazie a questo “caro ragazzo” (come definito più volte dal dottor Haggard nel corso dell’opera), che si rivolge al medico per avere informazioni sulla madre, che il protagonista riesce a ritrovare quella gioia di vivere e quella speranza che lo avevano abbandonato, rendendo al contempo più sopportabile la permanente sofferenza fisica causata da un brutto incidente e diretta conseguenza della tormentata relazione con Fanny. Attraverso la somiglianza fisica infatti, Haggard riscopre nel figlio la madre, e rivive grazie a lui l’amore perduto. Emblematico il finale che nella sua tragicità, sintetizza i sentimenti provati dal protagonista.
In definitiva consiglio il libro a chi già conosce McGrath. La narrazione talvolta potrebbe risultare un po’ ridondante, ma il pregio è comunque quello di narrare la vicenda evidenziando il pathos (parola chiave più volte citata nel romanzo), la sofferenza emotiva ma anche fisica di una storia d’amore impossibile, arricchita con alcuni approfondimenti di medicina frutto della conoscenza di questa disciplina da parte dell’autore.