Il misterioso caso degli angeli di Alperton
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Un giallo che convince solo a metà
«Hai una chiave che apre una cassetta di sicurezza. Dentro c’è un plico di documenti. Devi leggerli e prendere una decisione. Riporli nella cassetta e buttare la chiave dove nessuno possa trovarla. Oppure rivolgerti alla polizia».
Dopo “L’assassino è tra le righe”, successo dalla portata internazionale, torna in libreria Janice Hallett con un romanzo giallo altrettanto enigmatico e intitolato “Il misterioso caso degli angeli di Alperton” (edito per Einaudi).
Amanda Bailey, dopo anni di gavetta, finalmente ha ottenuto la notorietà. È giornalista ma il successo è arrivato grazie alla pubblicazione di titoli dedicati a ripercorrere omicidi celebri ma irrisolti. Nel caso di specie questa si ritrova a indagare su quello che può definirsi un delitto rituale e cioè un suicidio di massa occorso all’interno di una setta nel vano tentativo di uccidere il figlio di due adepti perché figlio del male. Tuttavia, l’intervento della madre riesce a impedirne l’esecuzione e il neonato si salva. Adesso che sono trascorsi quasi diciotto anni ella vorrebbe intervistare il ragazzo. Non sarà da sola nelle indagini, il suo collega, nel dettaglio, sarà tutto tranne che partecipativo alle indagini.
Avrà inizio da questi brevi presupposti un romanzo che mantiene lo stile narrativo che già avevamo conosciuto in “L’assassino è tra le righe” ma che al contempo se ne distacca per struttura e ritmo narrativo.
Il trend che usa è molto moderno, non mancano mail, chat, riferimenti a libri inventati e funzionali alla storia e questo permette di creare un titolo in costante cambiamento di prospettive. Ciò mescola anche le carte portando il lettore a interrogarsi spesso su chi possa essere il colpevole, su quale possa essere realmente il mistero che si cela tra le pagine.
Tanti sono i colpi di scena presenti in “Il misterioso caso degli angeli di Alperton” ma non tutti convincono, alcuni sono di troppo e il lettore non fatica ad arrivare a quelle che sono le conclusioni più logiche che portano al naturale epilogo.
Non può certamente definirsi un’opera originale, c’è tanto di meta narrativa ma c’è anche qualcosa che non funziona e non convince nella sua interezza. Se in “L’assassino è tra le righe” prevaleva la critica alla buona borghesia inglese, qui si gioca più sull’enigma e la sua costruzione con anche una buona dose di cinismo ma calcando troppo negli intenti.
Un mistero che convince ma solo a metà.
Indicazioni utili
- sì
- no