Il lungo addio Il lungo addio

Il lungo addio

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Il lungo addio è il canto del cigno di Marlowe, nero come il peccato, nero come il genere che, con noncuranza, Chandler aveva inaugurato e portato ai massimi splendori. È il suo romanzo più complesso, più compiuto e sentito, e in uno dei protagonisti - lo scrittore Roger Wade - è dato leggere in filigrana un larvato autoritratto. Acquistare delicatezza senza perdere forza, si augurava Chandler a inizio carriera, e ora il dono è suo, è nelle sue mani. È anche un lungo addio al personaggio del detective malinconico e blasé, che per quante bevute si conceda, per quante sparatorie, pestaggi e tradimenti, inganni e disinganni debba subire, non perde mai l'ironico aplomb, né la battuta icastica. La sua inconfondibile silhouette in dissolvenza, con il fedora sulle ventitré e la cicca all'angolo della bocca, è forse l'ultima reincarnazione del cavaliere dalla malinconica figura. È un lungo addio, ripete in sottofondo la canzone che ci accompagna, struggente e sincopata, fino al termine del libro e della notte di Los Angeles. Un lungo addio da dire solo quando significa qualcosa, solo quando è triste, solitario... y final.



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Il lungo addio 2023-02-27 21:16:54 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    27 Febbraio, 2023
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Philip Marlowe

«Per certi versi aveva ragione. Terry Lennox mi ha portato un sacco di guai. Ma i guai, in fondo, sono il mio mestiere.»

Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1953 e vincitore nel 1955 del premio letterario Edgar Award, “Il lungo addio” è il sesto romanzo di Raymond Chandler che vede nuovamente come protagonista Philip Marlowe, il cui esordio letterario risale al 1939 nell’opera “Il grande sonno”.
Sin dalle prime pagine quel che emerge dal componimento è un profondo senso di noir e di malinconia. Philip Marlowe è definito e descritto con poche e rapide “pennellate” ma giunge al lettore con grande forza.
L’investigatore privato, protagonista, è quasi al termine della sua carriera e il suo spirito è affranto dalla consapevolezza che a breve scomparirà da quella che è la scena pubblica. Marlowe è un uomo in grado di risolvere anche i casi più complessi, si propone al pubblico come un perdente, ma è un personaggio che sa toccare le corde di chi legge e restarci.
Siamo nella prima metà del secolo scorso, siamo a Las Vegas, una realtà fatta da boss malavitosi, poliziotti, denaro che scorre. Le pagine si aprono con Terry Lennox ubriaco su una Rolls-Royce Silver Wraith davanti alla terrazza del Dancer. Una serie di vicissitudini lo riporteranno in quel di Las Vegas dove si ricongiungerà in seconde nozze con la moglie Sylvia figlia di Harlan Potter. Chiuso questo primo aspetto ci spostiamo ancora su Roger Wade, scrittore che non riesce a concludere il proprio romanzo, in preda all’alcolismo, a comportamenti violenti verso la moglie, a sparizioni e morti. Il compito di Marlowe è quello di vigilare al fine di far sì che il romanzo venga concluso, tuttavia, si susseguono morti per omicidio che vedono coinvolto lo stesso Wade e la stessa amante figlia di un rinomato possidente locale.
Il caso si infittisce, la polizia ha dei sospetti, la stessa comparsa di un personaggio dato per morto e il suicidio di una delle varie voci narranti porterà allo svilupparsi di altrettante sorprese. La trama, infatti, de “Il lungo addio” non è affatto semplice e al contrario si sviluppa come una rete fatta di elementi da scoprire e vagliare tra loro perfettamente collegati. Nulla è scontato, nulla è come appare. La stessa risoluzione del caso non sarà semplice e porterà Marlowe a ricevere conferma delle sue supposizioni a seguito di un nuovo evento postumo.

«Ha sorriso e si è stretto nelle spalle. Io ero ancora di cattivo umore, scendendo le scale, ma non capivo il perché, così come non capivo per quale ragione un uomo dovesse ridursi alla fame e a dormire per strada invece di impegnare il guardaroba. Doveva avere i suoi principi, e ci si atteneva con rigore.»

“Il lungo addio” è un libro che coinvolge e che spicca soprattutto per lo stile. Apprezzato dagli sceneggiatori, rinomato tra i letterati, Chandler non manca di proporsi al grande pubblico con una penna raffinata e precisa che sa essere tanto poetico quanto minuzioso ed evocativo, che sa stamparsi nella mente e rendere vivide le indagini. Il risultato è quello di un giallo gradevolissimo, dalle tinte noir e intriso di una malinconia e nostalgia che ben si mixano a quello che è un intrigo ben orchestrato.

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Il lungo addio 2023-01-29 07:51:54 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    29 Gennaio, 2023
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Marlowe, cavaliere senza macchia e senza paura.

Leggendo questo romanzo di Raymond Chandler ho colmato una lacuna. Non avevo mai letto nulla di Chandler, pur avendo visto diversi film tratti dai suoi romanzi, uno de quali interpretato da un affascinante ed enigmatico Humphrey Bogart: impermeabile, cappello floscio, sigaretta, un’icona di tempi passati, che mi sembra di rivedere scorrendo le pagine di “Il lungo addio” e rivivendo le vicissitudini di Philip Marlowe, l’investigatore privato protagonista, quasi al termine di una lunga carriera, rassegnato a scomparire lentamente dalla scena pubblica, sempre lasciando cuori infranti e segni indelebili dei suoi interventi: un perdente, all’apparenza, ma sempre in grado di risolvere i casi più complicati.
Siamo poco prima della metà del secolo scorso, in una Los Angeles viva e pulsante, una città in cui convivono miliardari, boss malavitosi, poliziotti corrotti in un intreccio inestricabile di interessi. La trama è molto complessa, riconducibile essenzialmente alle vicende di un celebre scrittore, Roger Wade, che, in preda all’alcoolismo ed a comportamenti violenti nei confronti della moglie, non riesce a terminare un suo romanzo: Marlowe è chiamato in aiuto, la vicenda si complica con gli omicidi dello stesso Wade e di una sua amante, figlia di un ricchissimo possidente locale. La polizia ha fondati sospetti: la comparsa di un personaggio dato per morto ed il suicidio di una delle protagoniste porrà fine a tutta la storia, che ha in serbo, lungo il suo dipanarsi, molte sorprese. Marlowe interviene da par suo, collaborando con la polizia, resistendo (ma non sempre) alla corte di donne affascinanti e, quando occorre, mettendo ko con colpi ben assestati pericolosi ceffi della malavita. Il personaggio è fondamentalmente malinconico, ligio alla convinzione che spesso il fine possa giustificare mezzi non proprio ortodossi: conserva sempre il suo aplomb, anche dopo bevute, pestaggi, sparatorie, con l’immancabile pacchetto di sigarette e qualsiasi tipo di bevanda alcoolica a disposizione. Alcuni critici hanno voluto vedere nello scrittore Roger Wade una sorta di autoritratto di Marlowe: stessi vizi, stessi tormenti, una malinconia di fondo rivelatrice di una sostanziale insoddisfazione nei confronti della propria vita e del proprio lavoro. Quello che Wade non ha è il ferreo autocontrollo di Marlowe, in qualsiasi circostanza: gli permette di sopravvivere, in un ambiente difficile, denso di pericoli.
Il romanzo è indubbiamente un capolavoro. La scrittura, ricca di spunti ironici e di profonde riflessioni, è ottima e scorre ora lenta e maestosa , ora impetuosa e piena di slanci improvvisi, con colpi di scena e trovate geniali.
Tra le curiosità, nel cap. 13 è descritto una specie di divertente catalogo, quasi completo a mio giudizio, di bionde: della tipologia fanno parte, secondo Marlowe/Chandler, la biondina graziosa che trilla e cinguetta, la biondona statuaria che ti tiene a distanza con un’occhiataccia azzurro ghiaccio, la bionda che ti guarda dall’alto al basso, la bionda tenera e disponibile (e alcolizzata!), la biondina briosa un po’ maschiaccio, la bionda pallida languida e ombrosa, la bionda sontuosa da esposizione che sopravvive ad almeno tre boss della malavita …
Ma non è tutta rose e fiori la vita di un investigatore privato. E, a conclusione della storia, ce lo spiega bene l’autore, con un memorabile ritratto di Philip Marlowe: “… e così è trascorsa la giornata di un investigatore privato. Che cosa spinga un uomo ad accettare una vita del genere, non lo sa nessuno. Non si diventa ricchi, non capita spesso di divertirsi: a volte ti pestano o ti sparano o ti sbattono in prigione. Ogni tanto, più di rado, si finisce perfino ammazzati. Un mese sì e uno no viene voglia di mollare tutto e di trovarsi un lavoro serio, almeno finchè si è in tempo e non si mostrano i primi segni di senilità …”.
Nonostante Chandler fosse più apprezzato dagli sceneggiatori cinematografici (quasi tutti i suoi romanzi sono stati tradotti in film) che dai critici letterari dei suoi tempi, “Il lungo addio” ha vinto nel 1955 il premio Edgar Award per il miglior romanzo giallo: a testimonianza sia del valore del romanzo nel campo del giallo investigativo, sia della raffinatezza della scrittura.




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Il lungo addio 2022-11-26 15:27:28 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    26 Novembre, 2022
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Chandler è un fuoriclasse di stile

Immagino che al terzo romanzo letto di un autore, si possa affermare se rientri nella schiera dei preferiti o meno. Bene, sono lieto di augurare il benvenuto a Raymond Chandler nella suddetta schiera, così come a Philip Marlowe tra i detective più affascinanti (se non il più affascinante) del panorama letterario e non solo. “Il lungo addio” è un romanzo che, posso dire, attendevo con ansia: era da mesi infatti che mi chiedevo quando Adelphi avrebbe (ri)pubblicato una delle indagini di Marlowe, mentre dentro di me temevo che, magari per uno scarso successo di pubblico, ciò non sarebbe accaduto. Per fortuna questo romanzo è arrivato in libreria e a questo punto, spero, sarà parte della ripubblicazione integrale dell’opera di Chandler.
Riguardo al fascino di Marlowe come personaggio, credo di essermi già espresso nelle recensioni de “Il grande sonno” e di “Addio, mia amata”: buca le pagine con la sua durezza, con la quale prova a camuffare una profonda umanità, che in un mondo “nero” come quello descritto sarebbe facilmente fagocitata da personaggi privi di ogni scrupolo. Certo, non mancano i tratti un po’ stereotipati (sebbene, secondo me, attutiti dal fatto che è stato lo stesso Marlowe, probabilmente, a creare questo stereotipo), ma il tutto è compensato da un’eccellente caratterizzazione e dall’estrema facilità con cui si empatizza col protagonista.
Ma il vero punto di forza di questo romanzo, come degli altri, è lo stile: meraviglioso, poetico, evocativo, e trovare uno stile così bello in un romanzo che nel suo essere di genere porta molti lettori superficiali a sminuirne il valore non fa altro che avvalorare la mia tesi: l’appartenenza a un genere letterario ben preciso e magari principalmente di consumo non intacca il potenziale letterario di un’opera! Ormai questa è la mia crociata e Chandler (così come Bradbury), ne è uno degli esempi cardine. La letteratura di genere è piena di spazzatura, ma lo è anche la letteratura non di genere; bisogna saper cercare.
Dopo questa piccola divagazione, va detto che Chandler non eccelleva tuttavia riguardo alla creazione di trame eccezionalmente originali: in quanto a eventi, infatti, “Il lungo addio” così come i suoi predecessori sono noir classici senza particolarità eccezionali, ma come dicevo la differenza la fanno lo stile e i personaggi, che rendono tutto vivo, coinvolgente, evocativo. Certo non mancano i colpi di scena, ma non sono cose da spaccarsi la mascella e secondo me, è meglio così. Un paradosso, penserete, e invece no: un’altra peculiarità dei romanzi di Chandler è proprio il fluire della storia, che procede come un fiume torbido ma placido, col suo ritmo compassato, in cui gli eventi procedono senza sconvolgere ma ci rapiscono, ci costringono a osservarli con attenzione, a riflettere.
È davvero una cosa difficile da spiegare, dunque non posso che pregarvi di leggere questo romanzo o quantomeno “Il grande sonno”. Parliamo di quanto di meglio il noir e il giallo hanno da offrire, credetemi.

P.S. Non vi ho parlato della trama, ma credo davvero non ce ne sia bisogno: la bellezza di questo libro sta in tutto il resto.

“Sono un romantico, Bernie. Sento delle voci che piangono di notte e corro a vedere cosa succede. Non si guadagna un soldo, così. Se hai un po' di buonsenso, chiudi le finestre e alzi il volume del televisore. O metti il piede sull'acceleratore e te ne vai il più lontano possibile. Meglio stare alla larga dai guai altrui: se ne ricava solo fango. L'ultima volta che ho visto Terry Lennox ci siamo bevuti una tazza di caffè che ho preparato io, a casa mia, e ci siamo fumati una sigaretta. Perciò, quando ho saputo che era morto, sono andato in cucina, mi sono fatto un caffè, ne ho versata una tazza anche per lui e gli ho acceso una sigaretta. E quando il caffè è diventato freddo e la sigaretta era tutta consumata, gli ho augurato la buonanotte. Non si guadagna un soldo in questo modo. Tu non lo faresti mai. E per questo che sei un bravo poliziotto e io sono un detective privato.”

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